“Sono tutte storie” di Nick Hornby

Creato il 25 marzo 2013 da Sulromanzo

Nick Hornby, il celebre scrittore inglese, tiene una rubrica mensile di letteratura sulle pagine della rivista The Believer e gli articoli apparsi tra il maggio 2010 e il dicembre 2011 sono contenuti nel libro Sono tutte storie, edito da Guanda nel novembre 2012 (il titolo originale dell’opera è More Baths, Less Talking, la traduzione è di Silvia Piraccini). Potrebbe apparire opinabile l’idea dell’editore di pubblicare tutti gli interventi in un volume unico, visto che le recensioni risalgono a più di un anno fa e molti libri di cui si parla non sono stati tradotti – e forse non lo saranno mai – in italiano. Tuttavia, non credo che leggere Sono tutte storie sia uno spreco di tempo: ciò che colpisce, infatti, è il modo coinvolgente e informale con cui Hornby  parla di libri e di letteratura in generale.

Il punta di vista è quello di un lettore forte che acquista e legge compulsivamente libri che trattano argomenti disparati: veri e propri tomi di cui pilucca alcuni brani, oppure volumi al di sotto delle duecento pagine. All’inizio di ogni intervento, Hornby annota nella colonna di sinistra i libri acquistati e nella colonna di destra i libri letti: i due elenchi non coincidono mai. Le sue letture procedono in maniera altalenante, assecondano l’umore, la poca disponibilità di tempo e anche la scarsa propensione per i classici, complice il pregiudizio che mille pagine equivalgano a noia sicura. I mondiali di calcio, poi, spengono del tutto la fame di letteratura. Ciononostante, «il tempo trascorso con un libro non è mai del tutto sprecato, nemmeno se l’esperienza non è stata felice: qualcosa da imparare c’è sempre». E ad insegnarci qualcosa è soprattutto la narrativa, nonostante Philip Roth abbia dichiarato recentemente ad un giornalista del Financial Times di non leggerla più.

Seguire il progetto inglese Mass Observation – un’inchiesta di storia sociale sull’Inghilterra del dopoguerra guidata da personaggi autorevoli, tra cui un antropologo, un poeta e un cineasta – può essere utile quanto leggere Dickens su un e-reader, oppure appassionarsi alla biografia di Montaigne. Hornby trascende i generi letterari e le considerazioni più propriamente stilistiche e accademiche; non è un critico di professione, bensì il lettore attento che divora o abbandona un libro e ci racconta cosa di quella lettura lo ha colpito. Nei suoi commenti, la lettura prevale sempre sulla scrittura. E ciò è tanto più rilevante, poiché a leggere è uno che di professione fa lo scrittore.

«Senza il servizio sanitario gratuito, non è che la gente morisse, ma la qualità della vita era straordinariamente e inutilmente bassa. Prima del servizio sanitario nazionale si brancolava mezzo ciechi, sdentati e infagottati in giganteschi pannoloni fatti in casa: possibile che nell’America del ventunesimo secolo ai poveri tocchi fare altrettanto? A proposito, era il Servizio Sanitario Nazionale a passare due degli articoli più caratteristici del look del rock. Gli occhiali preferiti di John Lennon erano i 422 Panto Round Oval, mentre Elvis Costello propendeva per i 524 Contour». È solo una delle tante annotazioni che Hornby fa e non è un caso che l’autore di Alta Fedeltà sia un lettore che usa la sua cultura musicale come ingrediente indispensabile per scrivere recensioni.

Questo libro non è un trattato di critica letteraria, né ha la pretesa di esserlo:  è una dichiarazione di amore imperituro per la lettura, perché, è bene dirlo, «quello che mette la palla in rete, la persona che conta davvero, è il lettore. È lui a calciare, è lui a segnare». 

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