Cerchiamo di comprendere il genere dei simulatori di sopravvivenza in tutte le sue sfaccettature più profonde
Il genere dei simulatori di sopravvivenza, o survival simulation, per dirla all'inglese, è un'allegoria naturale dei nostri tempi. Non vanno confusi con altri generi, come i survival horror, in cui la sopravvivenza conta, ma solo se legata a una storia con un inizio e una fine e solo se determinante per generare tensione e orrore nel giocatore.
Se è vero che l'idea del protagonista con risorse limitate rispetto ai suoi nemici viene da qui, il balzo concettuale è troppo ampio per poterlo ignorare e mettere tutto nello stesso calderone. Lo stesso discorso è fattibile per i giochi di ruolo. È vero che i simulatori di sopravvivenza ne condividono alcune meccaniche quando si parla di statistiche, oggetti e via discorrendo, ma l'utilizzo che se ne fa è molto differente. Diciamo che se in un titolo come Fallout trovare un fucile particolarmente potente è d'aiuto per concludere la propria missione, in un gioco come DayZ trovare il fucile è la missione. La situazione è simile per meccaniche come la necessità di nutrirsi o quella di costruirsi un rifugio, presenti anch'esse in altri generi; in un gioco di ruolo tradizionale sono entrambe una difficoltà in più per arrivare all'obiettivo finale, mentre in un survival puro sono obiettivi impliciti da perseguire, per quanto labili. Volendo riassumere, in tutti gli altri generi gli elementi survival sono un accessorio, mentre nei simulatori di sopravvivenza sono il fulcro dell'esperienza ludica. Per questo, nonostante titoli come Far Cry 3, gli ultimi Fallout e molti altri appartenenti ai generi più disparati, abbiano caratteristiche da survival, non saranno inclusi in questo speciale. Resta da capire come mai un genere oggi così di moda abbia faticato tanto a trovare la via del mercato, dove ha riscosso e sta riscuotendo un successo commerciale di dimensioni immense. Le carenze tecnologiche degli anni passati non sono una scusa, perché spesso non si tratta di titoli avanzatissimi (pensiamo a Minecraft o a Don't Starve). Sembra quasi che gli sviluppatori abbiano provato per anni a rifiutare l'idea che si potesse lanciare un gioco in cui, di fatto, conta più ciò che non c'è di ciò che c'è.
Unico obiettivo: sopravvivere
Definito brevemente nel paragrafo precedente cosa non è simulazione di sopravvivenza, in questo cerchiamo di capire cosa sia. Prendiamo un personaggio tipo, non importa quanto e come caratterizzato, e mettiamolo in un ambiente ostile, diventato tale in seguito a un disastro nucleare, o per virtù proprie (tipo una foresta popolata da cannibali).
Non diciamo cosa deve o non deve fare. Diamogli semplicemente degli strumenti, sotto forma di oggetti e interazioni con l'ambiente, e lasciamolo al suo destino. Dopo lo smarrimento iniziale, tipico di chi ha passato un evento così traumatico, il nostro inizierà a studiare i mezzi a sua disposizione e si regolerà di conseguenza. Se rischia di morire di freddo, cercherà dei vestiti o ucciderà qualche animale, dopo aver reperito delle armi, per farsi una pelliccia. Se ha fame, cercherà da mangiare. Se ha sonno cercherà un giaciglio su cui riposarsi. Se è conscio di essere braccato da creature che vogliono ucciderlo, si costruirà un rifugio e così via. Con il passare del tempo, e fatta una certa esperienza, la sopravvivenza spingerà il nostro personaggio all'espansione, ossia all'accumulo di risorse all'eccesso, per prevenire possibili momenti critici. Quindi il suo rifugio diverrà sempre più grande, il bottino accumulato crescerà sempre di più e le sue azioni diverranno più mirate, data la conoscenza acquisita sull'ambiente circostante, che gli ha permesso di sviluppare delle strategie d'azione.
Questa breve descrizione, valida un po' per tutti i simulatori di sopravvivenza, a parte qualche distinguo, ci permette di sottolineare due aspetti molto importanti del genere. Il primo riguarda la natura stessa delle azioni simulate: gettato al livello zero della civilizzazione, il giocatore si trova a combattere per se stesso in un ambiente in cui le uniche regole valide sono quelle dettate dalla natura. Siamo alla massima esaltazione dell'egoismo umano, in cui l'unico fine delle nostre azioni è la preservazione di noi stessi, che diventiamo in un colpo solo il nostro castello da espugnare, la principessa da salvare e il boss da abbattere. In sostanza siamo l'obiettivo finale, sempre presente, di ogni nostra azione. Questo è tanto vero sia nei titoli per giocatori singoli, sia in quelli per più giocatori. E qui arriviamo al secondo aspetto, che deriva dal primo. Molti si lamentano di come spesso, titoli come DayZ o Minecraft, abbiano dei lunghi momenti morti in cui non si fa nulla o in cui si compiono azioni meccaniche di nessun rilievo. Se però osserviamo questi giochi partendo da quanto sopra illustrato, diventa chiaro che ogni azione, anche la più blanda, non va letta in termini assoluti, ossia legandola soltanto a se stessa in quanto tale, ma va inquadrata all'interno del quadro complessivo.
Scavare in Minecraft è un'operazione noiosissima, ma solo se non ho una prospettiva a cui legarla e se non mi aiutasse a percepire la fatica dell'atto, che poi è fondante per mantenere alto il senso di oppressione dell'ambiente. Se sin da subito si avessero a disposizione tutte le risorse, siano essi materiali pregiati o armi potentissime, verrebbe meno l'unico elemento che lega il giocatore al gioco, ossia la paura di essere costantemente esposti al pericolo, che è poi foriera della soddisfazione di averla fatta franca per un giorno ancora. Quanta angoscia riesce a comunicare in Minecraft il semplice calar del sole quando si è lontani dal rifugio? E quante volte in DayZ ci si trova disarmati e soli di fronte a un agglomerato di case e si ha paura di compiere un singolo passo perché si sa che gli edifici potrebbero ospitare degli zombi? D'altro canto, quanta soddisfazione dà vedere i creeper impotenti contro le mura che abbiamo tanto faticato per erigere? E quanta ne deriva dall'aver accumulato abbastanza risorse e contatti in DayZ da poterci permettere esplorazioni di aree più remote e pericolose, alla ricerca di bottino migliore?
Gli albori: Robinson’s Requiem
In realtà i simulatori di sopravvivenza non sono giovani come sembrano. Già negli anni ottanta e novanta c'erano stati dei tentativi di fondare il genere, più o meno coscientemente.
Lasciamo stare i moltissimi giochi con elementi survival, ma non necessariamente ascrivibili al genere, e concentriamoci su quello che può essere considerato a tutti gli effetti il primo simulatore di sopravvivenza sulla piazza videoludica: Robinson's Requiem. È probabile che molti di voi non lo abbiano mai sentito nominare, anche perché uscì nel 1994 su Amiga (sistema già morente all'epoca), PC e 3DO, sviluppato dalla sfortunatissima Silmarils,software house che tante novità introdusse nel mondo dei videogiochi senza che nessuno gliele abbia mai riconosciute. Il giocatore interpretava i panni dell'ufficiale Trepliev, scampato miracolosamente al sabotaggio della sua astronave, schiantatasi sul pianeta Zarathustra. Il suo obiettivo era ritrovare la sua ciurma e tornare a casa, ma per farcela doveva riuscire a sopravvivere all'ambiente circostante, davvero pericolosissimo. Robinson's Requiem evocava il genere survival sin dal titolo, facendo un riferimento diretto al personaggio prototipo di tutti i sopravvissuti. Il sistema di gioco era davvero realistico, con il buon Trepliev che per sopravvivere doveva bere e mangiare, evitando l'acqua contaminata e il cibo avariato. Le meccaniche più spinte, comunque, erano quelle che riguardavano il suo stato di salute. Le ferite erano localizzate sul corpo e, nel caso fossero troppo profonde o non curate, rischiavano di finire in gangrena, costringendo il giocatore a tagliare l'arto per cavarsela. Un altro esempio di meccanica di sopravvivenza estremamente avanzata era l'avvelenamento, che richiedeva l'uso di un laccio emostatico per bloccare il flusso del sangue e poi aspirare il veleno con un apparecchio dedicato, non disponibile sin dall'inizio dell'avventura. Avrete capito che Robinson's Requiem era un survival davvero estremo, addirittura oltre quanto si possa pensare. Gli sviluppatori si spinsero al punto da prevedere un numero limitato di oggetti reperibili nel mondo di gioco, in modo da inserire il fattore tempo: se Trepliev non fosse riuscito a compiere la sua missione in un certo periodo, sarebbe inevitabilmente morto per mancanza di risorse. Nonostante le meccaniche originalissime, quello che oggi sarebbe probabilmente accolto come un titolo interessante da una grande massa di videogiocatori, all'epoca fu snobbato e vendette poco. Molti fanno fatica anche ad attribuirgli la paternità del genere, di cui aveva tutti gli elementi (e anche qualcuno di più). Comunque Silmarils realizzò un altro titolo dello stesso filone, chiamato Deus, che ottenne anch'esso uno scarso successo.
La ferocia dei cubi: Minecraft
Il balzo è netto e brutale, ma non possiamo fare altrimenti, perché è Minecraft che ha definito il genere.
In realtà Markus "Notch" Persson pensava a tutto tranne che a rivoluzionare il mondo dei videogiochi, quando lo stava sviluppando nel tempo libero che gli rimaneva dal suo lavoro alle poste. Oltretutto non era partito nemmeno da una sua idea , visto che i prodromi di Minecraft possono essere reperiti in vari altri titoli indipendenti, primo fra tutti Dwarf Fortress, cui egli stesso ha riconosciuto la paternità di alcune meccaniche. Eppure il mix tra ricerca di risorse, indeterminatezza degli obiettivi e ambiente ostile, soprattutto di notte, ha reso il gioco il successo che è. Senza stare a fare la solita conta delle copie che ha venduto tra tutte le versioni, è facile affermare che il suo successo planetario è stato un volano importante nell'affermazione di certi elementi di gameplay, prima considerati tabù. Ad esempio era inconcepibile che venisse realizzato un sistema di crafting così avanzato senza infilarlo in un mondo definito e, soprattutto, dotato di missioni e obiettivi. Eppure è stata la sua fortuna, sia a livello di gioco in sé, sia a livello di diffusione degli scenari che venivano realizzati nella modalità libera e diffusi nel web, soprattutto tramite YouTube. Mettiamola così: anche se non originale di per sé, Minecraft ha scoperchiato il vaso di Pandora dimostrando che il divertimento non nasce necessariamente da quegli elementi riportati sui manuali del buon designer, ma da un rapporto più profondo dell'individuo con l'opera che sta fruendo, rapporto determinato dalla società di riferimento e dai suoi valori. Minecraft è gioco e creatività, ma è anche comprensione di un mondo tutto da decifrare, senso di solitudine, esplorazione, paura e gratificazione personale costruita con le proprie forze. In un certo senso è una forma di rito di iniziazione a cui la nostra epoca non riesce ancora a sottrarsi, visto che il successo continua ad arridergli e non esiste piattaforma da gioco che non abbia la sua versione.
L’ombra della bestia: DayZ
Se da una parte Minecraft ha dato il là al genere dei simulatori di sopravvivenza, definendoli nella loro essenza, è DayZ di Dan Hall ad averli svezzati in multiplayer, rivelando anche un lato angosciante della natura umana, fonte di grosso dibattito non solo nel mondo dei videogiochi.
Nato come mod di Arma II, e motivo principale del successo del simulatore militare di Bohemia Interactive (prima di DayZ aveva venduto un numero di copie risibile, al confronto di quante ne ha vendute dopo l'uscita della mod), diventato quindi un titolo stand alone vendutissimo (da quando è stato pubblicato in versione accesso anticipato, non è mai uscito dalla top 10 di Steam), DayZ ha definito alcuni canoni dei simulatori di sopravvivenza multigiocatore, attualmente considerati irrinunciabili. Tra questi la possibilità di uccidersi tra giocatori umani, che ha comportato il determinarsi di alcune dinamiche sociali inaspettate, quanto interessanti. Se già all'epoca dei primi MMORPG erano state sperimentate le conseguenze della mancanza di regole etiche imposte dal sistema (basti pensare a quanto succedeva nelle prime versioni di Ultima Online), è con DayZ che emerge la crudeltà del giocatore medio e quanto questa possa divertirlo, una volta svincolato da imposizioni sociali e obblighi morali. DayZ è sopravvivenza allo stato puro, ma più che dagli zombi dall'umanità stessa, al punto che qualcuno afferma che gli zombi sono spesso più umani degli umani. Una società individualista che basa ogni prospettiva di felicità sull'accumulo di beni come la nostra, non poteva che trovare il suo sfogo in un gioco in cui l'individuo trova la sua massima espressione nell'autodeterminazione, potendo di volta in volta scegliere se essere collaborativo con gli altri o, semplicemente, sfruttarli per poi eliminarli e razziare i loro cadaveri. Il fine è l'accumulo, a ogni costo.
I racconti di gioco di DayZ sono numerosi, spesso inquietanti. Si racconta di vere e proprie bande di videogiocatori che hanno formato blocchi di potere sui server, fondando la loro forza sul numero e sulla fedeltà reciproca. Si racconta di player killer che si appostano per ore in punti di vantaggio e che si divertono a sparare a chiunque gli capiti a tiro. Si parla di prove crudeli perpetrate da gruppi organizzati a giocatori singoli, trattati come bestie da macello per mero divertimento. Insomma, DayZ in quanto gioco non è solo il racconto di una catastrofe irreversibile per la razza umana, ma anche la dimostrazione pratica che in assenza di regole, ossia in mancanza di conseguenze negative tangibili per le proprie azioni, gli esseri umani sono in grado di tirare fuori il loro lato più bestiale, che sia solo per gioco o per espressione di una volontà più profonda. Quindi DayZ non è interessante solo come gioco in sé, ma anche per la possibilità che offre di studiare (e vivere, perché no) le diverse interazioni umane in condizioni estreme e irriproducibili (si spera) nella realtà. Che poi è quello che tutti i grandi media narrativi hanno sempre tentato di fare.
Dove passare le vacanze da sopravvissuti
Definiti gli aspetti principali e fatto un excursus storico parlando di tre titoli rappresentativi del genere, in questo paragrafo non ci rimane che consigliarvi qualche altro simulatore di sopravvivenza da tenere in considerazione. Paradossalmente molti di questi sono ancora titoli in accesso anticipato (pur essendo tutti titoli di grande successo), ossia in versione alpha, pre-alpha o beta (alcuni in stato semplicemente pietoso), ma sono stati comunque arrisi dal successo.
The Forest - Endnight Games (accesso anticipato)
Partiamo dal più recente. The Forest è uno dei titoli più interessanti del momento. Incentrato sul single player, richiede di sopravvivere in una foresta popolata da mutanti cannibali. Per farcela occorre costruirsi un riparo usando la legna degli alberi, esplorare grotte, accendere fuochi per riscaldarsi, costruirsi armi e così via. Non manca un sistema di simulazione della furtività, che permette di evitare i nemici, spesso troppo forti per essere affrontati direttamente. Dalla descrizione avrete capito che non si tratta di un titolo molto originale, ma sicuramente la cura riposta nella realizzazione dei suoi elementi ci porta a consigliarvelo.
Rust - Facepunch Studios (accesso anticipato)
Realizzato dal team dietro al Garry's Mod, Rust è un survival incentrato sulla costruzione.
Di fatto gli autori non avevano ben chiaro come indirizzarlo, a parte il sistema di costruzione, al punto che hanno cambiato i nemici in corso d'opera. Comunque, per sopravvivere i giocatori devono costruirsi un rifugio, cacciare, accendere fuochi e collaborare... anche contro gli altri giocatori (un po' come avviene in DayZ). Di fatto non ci sono obiettivi da raggiungere, ma poco importa visto il genere.
The Stomping Land - SuperCrit (accesso anticipato)
Potremmo descrivere The Stomping Land copiando le parole scritte per The Forest e Rust e aggiungendo soltanto che invece di zombi, cannibali, alieni o mutanti bisogna fuggire da dei dinosauri. In effetti è proprio così. Se vogliamo ha qualche bug in più della concorrenza e anche meno contenuti, ma potrebbe interessare gli amanti dei lucertoloni scomparsi.
Don't Starve - Klei Entertainment (completo)
Don't Starve, nomen omen. Lo scopo del gioco è non morire di fame e sopravvivere in una terra selvaggia generata proceduralmente.
Il protagonista in questo caso ha un nome, Wilson, che come i suoi epigoni anonimi degli altri titoli citati dovrà riuscire a sfruttare l'ambiente ostile in cui si trova per trovare un modo di tornarsene a casa. Da notare lo stile grafico fumettoso, nonostante il mondo sia 3D (Wilson invece è in 2D) e la descrizione ufficiale del gioco fatta dagli sviluppatori, che è un po' il manifesto del genere dei simulatori di sopravvivenza: "No instructions. No help. No hand holding. Start with nothing and craft, hunt, research, farm and fight to survive."
State of Decay - Undead Labs (completo)
Epidemia zombie in corso. I superstiti non possono fare altro che collaborare per provare a sopravvivere. State of Decay è un action game in terza persona più canonico rispetto agli altri titoli citati nell'articolo. Al punto che alcuni non lo includerebbero nemmeno nel genere dei simulatori di sopravvivenza. Certo, sicuramente è più strutturato rispetto agli altri giochi elencati, ma richiede comunque di fare incursioni in cerca di cibo e munizioni e la sopravvivenza è la preoccupazione principale del giocatore. Insomma, vale la pena provarlo nel caso piaccia il genere.