Sorvegliateci i Maroni

Creato il 22 luglio 2010 da Andreaintonti

C.I.E. di Corso Brunelleschi (Torino) - Habib è stato costretto a scendere dal tetto. Qualche minuto dopo le sette di questa mattina, infatti, i vigili del fuoco sono intervenuti per porre fine ai sogni di libertà del 32enne tunisino che, se fosse riuscito a rimanere sul tetto fino a stanotte, sarebbe tornato ad essere un uomo libero, perché proprio domani scadevano i termini per la sua carcerazione nel C.I.E. Per lui, adesso, non sembra esserci altra soluzione che il rimpatrio in Tunisia. È questa la grande “civiltà” delle nostre forze politiche: quella di non avere neanche il coraggio di decidere sulla vita di cittadini stranieri ingiustamente prelevati e rinchiusi sul nostro territorio, così, come novelli Ponzio Pilato, si lavano le mani alla fonte della “civiltà e democrazia” mandando a morte le/gli immigrate/i nei loro paesi d’origine. Ma d’altronde cosa aspettarsi da un paese che – unico al mondo – ha ideato una cosa come il carcere ostativo (il famoso “fine pena mai”)?

«Io non voglio tornare in Tunisia, è un paese povero e io non ho niente. Ho speso duemila euro per tornare in Italia e ci voglio restare». Sono le parole di Habib (il cui nome “ufficiale” è Ben Asri Sabri) al telefono con i e le solidali fuori dal Centro. Habib-Sabri è arrivato nel nostro paese nel 2003, lavorando come pescatore ad Ancona. è stato prelevato al largo di Lampedusa, dopo essere tornato a trovare la famiglia in Tunisia. È stato ospite (come vengono definit* le/i reclus*) prima del Centro di Crotone – chiuso dopo l’incendio che i suoi stessi ospiti avevano provocato – e poi del C.I.E. di Corso Brunelleschi, del quale domani si sarebbero aperte le porte e Habib-Sabri sarebbe tornato ad essere un uomo libero, magari in viaggio verso il Belgio, meta scelta in caso di insuccesso in Italia. Conoscendo la mentalità fascio-borghese di gran parte degli italiani, so già che in questi ultimi minuti quelle poche facoltà intellettive non evaporate per il caldo si saranno inceppate sulla frase «Ho speso duemila euro per tornare in Italia» alla quale è seguita la solita domanda: «ma se era povero, come se li è procurati i soldi per venire in Italia?» Io la risposta la conosco benissimo, ma non ve la dico. Perché la risposta la potete trovare lungo le circa 500 pagine di Bilal, il meraviglioso libro di Fabrizio Gatti, giornalista de L’Espresso che ci ha spiegato nell’unico modo possibile come sia la vita da clandestino: diventando uno di loro.

Ed a proposito di libri, media e quotidiani, è semplicemente vergognoso l’articolo pubblicato su La Stampa (lo stesso foglio di regime che si schiera a favore dei manganellatori in Val di Susa e che spesso pubblica le cazzate di Yoani Sanchez, la blogger anti-cubana pagata dalla Casa Bianca) a firma Massimo Muma in cui, per consolidare l’opinione della società (in)civile della quale facciamo parte che chiunque viva/abbia vissuto un’esperienza dietro le sbarre – di un C.I.E. o di un carcere è indifferente – sia una persona da eliminare dalla società, ci racconta che le solidali ed i solidali che protestano a Torino in solidarietà con Habib-Sabri e tutt* le/i reclus* siano in realtà una masnada di rumorosi anarco-insurrezionalisti (mi raccomando: non anarco-comunisti, anarco-femministi o anarco-sindacalisti: tutt* anarco-insurrezionalisti. Evidentemente il nostro è andato a chiederlo a ciascuno di loro…) il cui unico scopo nella vita è quello di importunare il resto dell’umanità. Evitando commenti sulle evidenti distorsioni della realtà («Sono le 15,30 di ieri, sul tetto del Cie vagola ancora l’ultimo tunisino in attesa di essere rimpatriato nel suo Paese. Scende e sale. Quando gli va» come se un Centro di Immigrazione ed Espulsione sia in realtà un hotel a 5 stelle…), il nostro ci tiene a sottolineare come l’intervento dei soliti “delinquenti” anarchici davanti al C.I.E. disturbi la quiete pubblica importunando gli abitanti del quartiere. Non so se in mezzo ai solidali ci siano dei cultori di Errico Malatesta, di Michail Bakunin o di Pierre-Joseph Proudhon, quel che so per certo è che tutte e tutti quei solidali, così come tutte e tutti coloro che si battono per la distruzione dei Centri di Identificazione ed Espulsione e delle Carceri borghesi hanno un grado di civiltà ben maggiore di chi crede di essere “democratico” perché ogni tanto viene chiamato ad obliterare il diritto di qualche personalità dalla dubbia fama a poltrone in luoghi in cui transitano poco (leggasi alla voce Parlamento), auto blu, festini etc etc. Tutte quelle cose per cui ci si scandalizza ma contro le quali nessuno fa niente. Io credo che se davvero le e gli abitanti del quartiere fossero “civili e democratic*” sarebbero loro i primi a scendere in strada per chiedere la distruzione di quel Centro e di tutti i lager costruiti e di futura costruzione in questo paese. Perché si è “civili e democratici” difendendo i diritti di tutti i marginali, non solo di quelli appartenenti alla propria razza. Ma questo, chi bolla di “delinquenza” un anarchico, ancora non è in grado di capirlo.

In questi momenti intanto, nella capitale, si sta svolgendo un presidio di solidarietà agli otto reclusi processati per le proteste a Ponte Galeria (il C.I.E. romano) del 3 e 4 giugno scorsi. Di seguito il comunicato che lancia la giornata:

IN SOLIDARIETÀ CON CHI SI RIBELLA ALL’INTERNO DEI CIE

GIOVEDÌ 22 LUGLIO ORE 10.00
APPUNTAMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE DI PIAZZALE CLODIO

Di seguito l’appello che lancia la giornata.
«Fino a quando gli immigrati annegano nei nostri mari oppure si accontentano di raccontare storie lacrimevoli e commoventi, il buon padrone bianco sente il dovere di indignarsi e magari di protestare. Ma non appena essi mostreranno di prendere l’iniziativa senza chiedere il permesso, ben pochi saranno disposti a seguirli».
La macchina delle espulsioni messa in atto dagli stati, oltre a creare un business economico intorno alla condizione di immigrazione forzata, serve ad accrescere il grado di ricattabilità degli individui, immigrati e non, costringendoli ad accettare infime condizioni di vita e di lavoro. Per guadagnare al massimo, il padrone ha bisogno di creare una categoria di persone da tenere sempre in pugno, sotto continua minaccia (l’internamento e la deportazione ne sono un esempio). Prima sfrutta i futuri migranti fino all’osso nei loro paesi e poi li attende nei cosiddetti paesi civili per continuare a speculare sulle loro spalle: in questo contesto il padrone ha sempre a disposizione una forza-lavoro terrorizzata e pronta a tutto per sopravvivere e in oltre sa bene che ogni sfruttato pur di non rimanere escluso dal mondo del lavoro si ritrova nella condizione di abbassare costantemente la testa.
Così, sotto il ricatto delle leggi e dalla propaganda razzista gli immigrati continuano ad essere messi all’angolo e resi schiavi: prima sfruttati come manodopera a basso costo fino quando il mercato lo richiede, poi reclusi e infine deportati, nei loro paesi d’origine. Tutto questo al fine di garantire continuità al privilegio della classe dominante, ad un sistema economico che non potrebbe trovare sviluppo se non ci fossero ampie masse di uomini e donne da sfruttare. Per questo motivo ovunque nel mondo nascono rivolte spontanee ed autorganizzate per opporsi alla schiavitù, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, allo sfruttamento dell'uomo sulla terra. Oppressione, controllo sociale, odio per il "diverso", guerra tra poveri, sono elementi indispensabili per chi ha intenzione di non rinunciare ad arricchirsi sulle spalle dei poveri e mascherare la propria ingordigia tra le maglie della cosiddetta democrazia.
Lager dunque, nuovi lager della democrazia vengono definiti i Cie, la loro essenza e la gestione che ne consegue ricordano quelle dei campi di Hitler e Stalin (paragone che qualche immigrato detenuto osa fare per definire la sua prigione). Luoghi sorvegliati costantemente dalla presenza di squadrett (polizia e militari armati) in cui vengono rinchiuse persone rastrellate dalle strade senza che neanche loro ne comprendano il motivo. Tenute costrette in delle gabbie in condizioni vessatorie a subire continue umiliazioni.
Come nel resto del mondo, visto che la macchina delle espulsioni è mossa da interessi globali e ha dunque prigioni sparse in giro ovunque sul pianeta, anche in Italia, in particolare dall'introduzione delle norme varate con il pacchetto sicurezza, molti/e reclusi/e nei Cie hanno alzato la testa scegliendo di non subire passivamente e nel quotidiano i soprusi del potere. Poco più di un anno fa si consumava una rivolta durante la quale veniva incendiato e reso inagibile il Cie di Lampedusa. Da quell'episodio in poi, non è praticamente passato giorno durante il quale non si siano registrati atti di protesta e rivolta all'interno dei Cie di tutta Italia. Nel corso del tempo e a seconda dei contesti i/le reclusi/e hanno risposto in maniera diversa alla miseria della loro condizione e all’infamia dei loro aguzzini. Scioperi della fame, della sete, atti di autolesionismo come tagli sul corpo o l’ingoio di oggetti, evasioni, gesti individuali di ribellione e vere e proprie rivolte collettive.
Rivolte come quella avvenuta a Roma il 15 marzo 2010, dove sono stati procurati centinaia di migliaia di euro di danni alla struttura oppure a Gradisca d'Isonzo dove, dal 2006, i reclusi hanno distrutto gran parte del centro collezionando più di un milione di euro di danni materiali. Devastazione dell'inferno nel quale sono costretti a sopravvivere che in alcuni casi ha portato alla chiusura della struttura stessa, come nel caso del lager di Caltanissetta e quello di Crotone.
A questi episodi sono susseguite violente reazioni da parte delle forze dell’ordine che non si sono mai risparmiate, hanno pestato a sangue (attività comunque praticata indiscriminatamente e in continuazione all’interno dei Cie, come altrove del resto) e messo in pratica vere e proprie persecuzioni nei confronti dei presunti "responsabili" dei disordini, i quali sono stati trasferiti, rimpatriati, minacciati, incarcerati. La segregazione, come strumento empirico della repressione e del controllo sociale, si rinnova fino a progettare nuovi Cie a prova d'evasione: proprio quando il recluso viene chiamato "ospite del centro" e l'evasione non può essere considerata un reato, il sistema si inventa un nuovo inferno tecnologicamente avanzato. Da qui nascono i nuovi progetti di costruzione e ristrutturazione dei Cie su tutto il territorio nazionale e nel caso del lager di Ponte Galeria, bottino della cooperativa Auxilium, inizia in questi giorni una ristrutturazione della sezione maschile che comporta, nella prima fase, il trasferimento e il rilascio "con foglio di via dall'Italia" di tutte le persone rinchiuse.
Il 22 luglio al tribunale di Roma verranno processati gli otto immigrati imputati per la rivolta del 3 giugno all'interno del lager di Ponte Galeria a Roma mentre, dopo tre mesi, è ancora in corso il processo per i diciannove immigrati incolpati per quella scoppiata il 15 marzo. Queste denunce si vanno ad aggiungere alle innumerevoli manovre repressive dello stato in cui vengono trascinati i migranti che osano ribellarsi, come chiunque osi con atti coscienti o istintivi opporsi alla brutalità del dominio. Dunque, in un sistema in cui la normalità sono i militari nelle strade, le assoluzioni degli assassini in divisa, lo sfruttamento dell'uomo e della terra e in cui solo una piccola parte di eletti ha diritto a far sentire la sua voce, è naturale e umano che chi viene schiacciato si ribelli con ogni mezzo, con quello che in quel momento ha a disposizione.

Per tutto questo noi scegliamo di sostenere i rivoltosi di Ponte Galeria.

22 LUGLIO 2010
ORE 10:00
DAVANTI AL TRIBUNALE DI ROMA
(PIAZZALE CLODIO)