Sospesi, senza tempo

Da Vivianap @vpicchiarelli

Appena le nove di sera. Il silenzio ha spento il fuoco di un amplesso consumato con la solita avidità di tempi e spazi. Restiamo stesi sul divano di casa mia, il solito divano, testimone di incontri fugaci. Una serata come tante. Perché anche noi abbiamo una nostra quotidianità. Sebbene monca. Un paio di sere a settimana, la scusa della palestra. Una pizza al volo, sempre da me. Non si può rischiare di uscire, il paese è piccolo. Non facciamo neanche in tempo a rimettere a posto, è troppo il desiderio, il bisogno, quasi doloroso, di noi. Siamo chiusi in una bolla d’aria, finalmente liberi di toccarci, baciarci, esplorarci in abbracci e giochi multiformi. I nostri gesti sono liberi, ma si portano addosso il peso del quotidiano, di vite vere che esistono fuori dalla porta del mio appartamento.

Cerco con la mano il tuo cuore ancora in affanno, così come il mio respiro. È tutto irregolare, come la nostra situazione. Le regole sono fatte per essere infrante, ci dicevamo. Erano le nostre carezze, sempre più insistenti, con cui cercavamo di penetrare in desideri impronunciabili, a darci la misura della nostra colpa. Mi piaceva sentire il tuo corpo adagiato sul mio, mi dava calore e protezione. I tuoi occhi mi davano luce, mi ipnotizzavano mentre le gambe, perfettamente incastrate nel nostro segreto meccanismo, si cercavano, si perdevano, si davano piacere. Le mie labbra cercano il tuo odore, dietro al collo, in quel punto che ti fa impazzire, sul petto possente, e poi, giù, fino in fondo, o all’inizio di tutto. Lo sguardo risale, per cercare il tuo, per avere conferme, per scrollarci di dosso, per un istante, il resto. Poi balliamo, insieme, al ritmo ancestrale del mondo, ogni volta come se fosse la prima. Sempre sul limbo. Sempre in bilico, un pericoloso quanto vitale border line.

Non hai bisogno di chiedere, non ho necessità di fermarti. Entri ed esci da me, senza mai smettere di scavarmi l’anima attraverso quello sguardo che sembra trasfigurato in quegli interminabili istanti.

Poi il risveglio, brusco, amaro, un rigurgito di vita che ora no, non voglio riesumare. Ma è lì. “Sei con me”? Mi chiedi. “Come sempre”. Rispondo io. Riprendo possesso del mio corpo e ristabilisco l’equilibrio. In silenzio. Mi piace stare in silenzio, dopo. Ti accarezzo la testa, al ritmo di una nenia che solo io conosco. Lo faccio come avrei forse potuto farlo ad un bambino. Che non c’è. Perché non può esserci e forse mai ci sarà.

“Stai bene?”
“Si”
“Ti sento distante”
“Sono solo un po’ stanca, il lavoro, i problemi a casa, sempre tutto di fretta”
“Capisco”
“Cosa capisci?”
“Capisco che questi attimi servono a distrarti solo per breve tempo”
“Già, esattamente per il tempo che mi concedi”
“Sai che non posso fare diversamente… almeno per ora”
“E’ curioso”
“Cosa”
“Come la percezione del tempo sia così diversa tra noi”
“Non ti seguo”
“Il tempo”
“?”
“Il tempo è una convenzione, è lineare, misurabile, oggettivo”
“Continuo a non capire”
“C’è un prima e un dopo, c’è lo ieri, l’oggi e il domani, l’anno scorso e l’anno prossimo. Non si può sbagliare, non si può equivocare”
“Senti, non mi sembra il caso di addentrarci in questioni filosofiche a quest’ora e dopo quello che abbiamo fatto, dai su!”
“Nessuna questione filosofica. Era semplicemente per farti capire che abbiamo due diverse concezioni del termine “ora”. Per me significa, “adesso”, “in questo momento” e forse, se devo essere più elastica, due, tre mesi. Per te, “ora”, significa da cinque anni a questa parte. Sembra quasi che per te il tempo sia rimasto sospeso. Complimenti. Hai scoperto il segreto dell’eterna giovinezza…”
“Non essere acida. E soprattutto non ricominciare”
“No, non ricomincio. Ho solamente risposto alle tue domande.”
“Senti, io non ti lego, non ti vincolo, non ti obbligo, sai che non posso muovermi diversamente”

Non riesco a continuare. Mi alzo di scatto, raccattando qualche indumento per coprirmi, chissà poi perché visto che basta un suo sguardo per spogliarmi dentro. Mi infilo in bagno e faccio scorrere l’acqua del lavandino e della doccia in contemporanea. Non voglio che senta alcun rumore. Sono bravissima, però. Urlo dentro, fino a restare senza fiato. La rabbia mi divora. Stupida, come sempre. Sei tu ad avere in mano le redini di tutto. Sei tu a dover e poter decidere cosa, quando e come. Sei tu ad aver ipotecato il tuo passato recente e il tuo presente in nome di un futuro nebuloso. Sei tu a voler vivere sospesa, senza tempo perché in fondo è solo così che riesci a vivere. E non è un sopravvivere, no, questo mai. È piuttosto un vivere al contrario. È un vivere in stand by in cui il tempo si dilata e non si dispiega in maniera razionale. Perché forse il domani non esiste. Almeno per noi sembra essere così. Conta solo il qui e ora. E non c’entra nulla il mantra del carpe diem. È una necessità. È così e basta. Chiudo l’acqua, libero lo specchio dalla patina del vapore e mi guardo. Sfatta e senza trucco, ma stranamente serena. Sorrido, compiaciuta. Torno da lui. Per ora.


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