Sostituzione e rottura

Creato il 22 dicembre 2014 da Francosenia

TABULA RASA
- Fino a che punto è auspicabile, necessario o lecito criticare l'illuminismo -
di Robert Kurz

Non esiste una dialettica dell'illuminismo. Al di là del concetto hegeliano di Aufhebung
Queste riflessioni, tuttavia, riguardano anche la comprensione - fino ad ora positiva - della dialettica nelle teorie della critica sociale. Quando, per esempio, Adorno ed Horkheimer parlano di una "Dialettica dell'Illuminismo", certamente non si riferiscono ad una dialettica delle forme e dei contenuti, cioè, alla negazione della forma distruttiva (forma del soggetto) e alla trasformazione positiva dei contenuti culturali. Per esempio, si parla solo a margine delle famose "forze produttive". Gli ideologhi della "Scuola di Francoforte" hanno una chiara percezione del fatto che il richiamo a determinati artefatti, ai potenziali per quanto riguarda i contenuti, alle tecniche, ecc. sarebbe solo banale nel contesto della problematica sollevata, e passerebbe solo a lato della questione. Quando si parla della "Dialettica dell'Illuminismo", ci si riferisce essenzialmente ad una relazione, o ad un processo, che avviene all'interno della forma del soggetto. E' proprio in questo che consiste il carattere contraddittorio e la mancanza di coerenza del loro pensiero: da un lato vedono nell'astrazione reale che caratterizza a priori tale "forma soggetto", la tendenza alla distruzione ed alla dissoluzione di tutto il mondo sensibile, avvicinandosi così alla critica della forma in quanto tale. Ma, dall'altro lato, continuare ad affrontare la costituzione di questa forma come l'originale e vero punto di partenza per l'emancipazione, fa sì che il loro pensiero rimanga impigliato in un'aporia irrisolvibile.
Tuttavia bisogna ammettere che, in un tale contesto, la "Dialettica dell'Illuminismo" di Adorno ed Horkheimer rimane estremamente negativa. Non fanno i conti della serva per poter arrivare ad una "critica light del soggetto", ma assumono un'aporia che per loro non ha soluzione. Vedono il potenziale di emancipazione, ma solo nel passato irrecuperabile del soggetto, mentre nel presente appare loro come caratterizzato essenzialmente dallo sviluppo del potenziale distruttivo. In tal misura, la teoria critica sfocia senza dubbio nel pessimismo culturale, il quale, dopo tutto, non costituisce solamente una specialità del pensiero anti-illuminista di destra, ma è anche una possibile conseguenza dello stesso pensiero di sinistra che si trova ancora attaccato alla logica dell'illuminismo, dal momento che la sua riflessione è arrivata solo ad una certa altezza. Del resto, questo risultato è molto più onesto dei ragionamenti di tutti i pappagalli di Adorno i quali invocano positivamente il soggetto (soprattutto dopo l'11 settembre), e che capovolgono ancora una volta questa dialettica, e nella sua agonia intendono assegnare di nuovo alla forma del soggetto capitalista quel potenziale liberatorio che Adorno ed Horkheimer avevano visto sparire già quasi sessant'anni fa.
L'aporia può essere risolta solo attraverso la constatazione che non esiste una dialettica dell'illuminismo e che il soggetto moderno come tale dev'essere definito come puramente negativo (dal momento che in fondo l'illuminismo non significa altro che la riflessione positiva di tale forma). Se si dovesse parlare di una dialettica storica in un senso nuovo, completamente differente, che sia critica del valore e della dissociazione, per prima cosa si potrebbe unicamente trattare della relazione di contraddizione tra forma e contenuto; e, in secondo luogo, questa definizione si riferirebbe a tutta la precedente "storia delle relazioni di feticcio" e quindi non potrebbe essere una "dialettica dell'illuminismo" specifica. La comprensione moderna della dialettica si riferisce, tuttavia, solo alla dialettica formale del soggetto e dell'oggetto e, in fin dei conti, alla relazione col mondo del soggetto del valore e della dissociazione, e alla relazione di questo con sé stesso. Ed in tal senso convenzionale, la dialettica come qualcosa di emancipatorio, dev'essere rifiutata a monte; essa può solamente essere riferita in forma negativa al processo immanente di distruzione di sé stessa e del mondo della forma soggetto.
Nella sua "dialettica negativa", Adorno non smette di dire cose che in un certo modo vanno nel senso giusto; per esempio, quando nella prefazione afferma di ritenere che il suo compito consista nel "rompere con la forza del soggetto l'inganno della soggettività costitutiva". Ma qui egli arriva solamente al limite della sua aporia, senza risolverla, poiché il concetto di "forza del soggetto", nel suo riferimento puramente negativo alla forma soggetto, qui è concepito in maniera meramente implicita, senza mai diventare esplicito. La necessaria adozione della soggettività contro lo stesso soggetto non viene messa in evidenza, in quanto tale, nella sua definizione puramente negatoria, ma rimane intrappolata nel riferimento positivo alla "libertà autoritaria del soggetto", il quale soggetto deve poi sempre liberarsi sul terreno dello stesso soggetto non superato, come conseguenza distruttiva dello stesso. Così la ragione di questo stesso soggetto dev'essere accusata, incessantemente, di "proibire questo sviluppo verso la libertà che è contenuto nel suo concetto stesso". Ma fatto sta che in un tale concetto, e nella realtà che è alla sua base, non esiste "libertà" alcuna, ma solo la coercizione feticista formale.
Detto in altri termini: si suppone che questa "forza" sia negatoria senza che essa neghi l'essenziale. La soggettività negatoria contro il suo stesso soggetto non viene intesa come un superamento trasformatore del soggetto ma, in fondo, come la sua (vana) auto-cura, cosa che ci potrebbe ricordare le famigerate "forze di autoregolazione del mercato". In questo modo,la negazione inconseguente finisce per tornare a produrre aporia mediante assalti sempre nuovi e torturanti, per esempio quando leggiamo: "Il dominio universale del valore di scambio sugli esseri umani, che impedisce a priori ai soggetti di essere soggetti, e che riduce la soggettività stessa ad un mero oggetto, rimanda ad un principio generale il quale dichiara di istituire il predominio del soggetto attraverso il dominio della mancanza di verità".
Qui, la negatività del valore di scambio appare definitivamente come esterna al soggetto, almeno nel desiderio, di modo che questa auto-oggettivazione realmente contenuta nel concetto di soggetto dev'essere immaginata come passibile di venire sottratta dal soggetto, il quale continua ad essere inteso come positivo, a condizione che gli venga sottratto il valore di scambio - come se solo in questo modo potesse o "dovesse" essere istituito il vero "predominio del soggetto". Ad ogni passo, Adorno torna ad inciampare nella stessa aporia, dal momento che non è possibile arrivare, nemmeno a caro prezzo, ad una definizione chiaramente negativa e trasformatrice della formazione del soggetto contro il soggetto, dovendo la negazione rimanere sempre sul terreno ontologico dello stesso soggetto positivo. In questo modo, lo stesso Adorno, nonostante la sua polemica contro la necessità ontologica, non riesce ad andare oltre questo luogo dell'ontologia, che è precisamente l'ontologia del soggetto (illuminista).
Quello che qui manca è la negazione della negazione in senso emancipatore, segnatamente la negazione della negazione del mondo compresa nella sua stessa forma del soggetto. A ben dire, Adorno vuole negarla, ma mom appena si appoggia ad un concetto positivo indeterminato della forma del soggetto, egli comincia a cadere, incessantemente, nella negazione capovolta della negazione emancipatrice. Così, in fin dei conti, non sfugge alla dialettica sistemica chiusa da Hegel, nella quale la negazione della negazione significa sempre e a priori affermazione della forma del soggetto e negazione del mondo sensibile.
Nella dialettica marxista volgare, la dialettica hegeliana viene continuata, senza alcuna rottura nella sua logica positiva, con la sola differenza che questa viene riferita all'ugualmente volgare materialismo delle forze produttive e delle condizioni della produzione, invece che all'idealismo oggettivo dello spirito del mondo e della storia della sua alienazione. In questo caso si crea l'apparenza per cui la negazione della negazione si riferisce ad un processo storico continuo, ora in versione materialista, dove una formazione risulta necessariamente da un'altra, quindi la nega, e così porta ancora con sé un poco di essa, in particolare le rispettive "forze produttive materiali" che sarebbero diventate troppo strette per la vecchia formazione.
Ma così come in questa logica si trova contenuto, inalterato e non compreso, il vecchio concetto illuminista del progresso e dello sviluppo, pienamente messo a punto da Hegel come momento della stessa costituzione borghese (invece della Storia nel suo complesso), allo stesso modo sfugge ai dialettici "materialisti" che essi mantengono così inalterata anche la logica della forma capitalista del soggetto. Gli è che, indipendentemente dal fatto che si tratti della versione oggettiva ed idealista o che si tratti della sua variante materialista: la negazione dialettica della negazione significa, nella realtà, la continuità della forma del soggetto che continua ad essere contenuto, in forma implicita, dalla versione materialista. La negazione hegeliana della negazione è da sempre una negazione della negazione emancipatrice, anche prima che questa venisse formulata come tale.
Mere forze produttive, artefatti, contenuti disparati, tecniche, ecc., non possono costituire alcuna dialettica, cosa che sempre viene conseguita attraverso la forma della coscienza. Solo nella sua acutizzazione, come forma moderna del soggetto, questa coscienza costituisce una dialettica soggettiva ed oggettiva, la cui struttura e dinamica Hegel ha messo in evidenza in forma affermativa. Il soggetto, tanto come forma degli individui, quanto come "soggetto automatico" del movimento sociale totale - che in Hegel appare come spirito del mondo, volontà, ecc. - si incontra, implicitamente contenuto, anche nella versione materialista, come portatore irriflesso dello "sviluppo delle forze produttive". In entrambi i casi, esso costituisce il vero supporto della dialettica e della negazione della negazione, designata come Aufhebung.
Nel suo famoso e triplice significato, il concetto di Aufhebung corrisponde esattamente tanto alla metafisica illuminista della storia promossa a teoria dello sviluppo, quanto anche al requisito, associato a questa, di un movimento spontaneo, solo immanente, del soggetto del valore e della dissociazione.
Com'è noto, Aufhebung significa, in primo luogo, l'atto di proteggere o conservare (Aufbewahrung oder Konservierung): è qui che si trova codificata l'identità continua, che viene mantenuta a dispetto di ogni alterazione del soggetto del movimento di sviluppo (precisamente, quello dello spirito del mondo di Hegel e quello del "soggetto automatico" della valorizzazione del valore di Marx, inclusa la riflessione cosciente del soggetto, maschile e contemplativo, della conoscenza, che vi si trova associato). Questo soggetto rimane unito a sé, a dispetto della sua disposizione a tornare a sé stesso come qualcosa che deve essere "per sé".
In secondo luogo, Aufbehung significa elevazione (Höherheben), l'atto di ascendere ad un nuovo grado, sia dello sviluppo oggettivo che della conoscenza (che per Hegel sono la stessa cosa). Il ritorno del valore e del soggetto del valore all'alienazione, attraverso un'identità mai superata, avviene come processo di un "divenire per sé" a livelli sempre più elevati, finché non viene raggiunto lo stadio finale illuminato dalla forma "riflessa in sé" e della sua coscienza "in sé e per sé", cosa che è di fatto identica all'annichilimento del mondo, l'Armageddon della storia dell'imposizione capitalista.
In terzo luogo, Aufhebung designa anche in un certo qual modo l'eliminazione (Beseitigung) o il superamento (Überwindung), più precisamente non del protagonista di tutto questo spettacolo, ossia, del soggetto. Ciò che viene eliminato poco a poco ed a livelli sempre più elevati, è il mondo ed il riferimento sensibile ad esso. Il soggetto formale vuoto, o la "forma soggetto", al contrario, non si trova nella prospettiva di una rottura, ma solo e sempre nella prospettiva della continuità, così come essa gli viene garantita dagli altri livelli del significato del concetto di Aufhebung. La riconversione materialista di questo concetto da parte del marxismo non altera un tale carattere auto-affermativo ed intrecciato all'identità del valore del movimento dell'Aufhebung; e questo alla fine corrisponde al carattere affermativamente immanente, che si riferisce al mero riconoscimento nella forma, del marxismo del movimento operaio.
Come il movimento immanente, anche il risultato è tautologico: alla fine della linea non troviamo una rottura con la forma del soggetto e con la logica del valore e della dissociazione, ma troviamo la "coscienza riflessa in sé stessa" della stessa forma del soggetto, la sua stessa coscienza positiva, ossia, la realizzazione oramai cosciente della costituzione feticista, finora solo naturale. E questa sarebbe la fine abbastanza ingloriosa della storia, l'Aufhebung della coscienza del feticcio in sé, il paradosso di un'incoscienza cosciente. Nella versione marxista, si tratterebbe del "venire a sé" delle categorie capitaliste sotto forma di Stato operaio, della supposta immobilità delle categorie come "riflesse in sé" e, nella realtà, dello stato del mondo fisicamente in rovina. A livello del soggetto della conoscenza, sarebbe lo Stato del re dei filosofi "riflesso in sé" che può concordare con tutto dal momento che sa tutto e che non deve fare niente di sua propria iniziativa; ossia, in un certo qual modo è entrato nel nirvana della contemplazione di sé stesso.
In quanto concetto positivo della critica, il concetto di Aufhebung si applica solo alla storia dell'imposizione immanente, allo sviluppo della relazione del valore e della dissociazione, sul suo stesso terreno e nell'ambito dei limiti della sua identità feticista, essendo così solo un altro nome per la "modernizzazione", o per la progressiva definizione del mondo in termini di valore e per la progressiva dissociazione fino allo sviluppo della pulsione di morte in essa contenuto, contro l'esistenza stessa. Perciò non si tratta di un concettualismo, arbitrario ed estremista, che riguarda una mera discussione intorno alle parole, ma quello che qui è in causa è la cosa in sé, quando rifiutiamo il concetto di Aufherbung (superamento), usato fino ad oggi in maniera non problematica nei testi critici del valore e della dissociazione, per parlare invece di Überwindung (sostituzione) e di Bruch (rottura).
Il che sarebbe anche il fine della dialettica moderna, la sostituzione del movimento soggetto-oggetto che sfocia nell'autodistruzione. In tal senso, la "dialettica dell'illuminismo" non sarebbe la contraddizione tra un contenuto in sé emancipatore del soggetto ed il suo rovescio distruttivo - che in questo senso non esiste - ma non sarebbe altro che il movimento spontaneo del soggetto, che in sé da sempre è distruttivo; movimento questo che dev'essere fermato. La continuità identitaria della forma del soggetto dev'essere spezzata, per far saltare i vincoli della logica illuminista e sfuggire al suo potenziale di induzione alla cecità. Ceterum censeo subjectum delendum esse.

- Robert Kurz -

- 11 – fine -

fonte: EXIT!


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