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Sotto il diluvio, scalza, rannicchiata dietro un tavolo: la nuova frontiera della vergogna

Creato il 12 giugno 2012 da Taccodieci @Taccodieci
Che cosa fa una massaia diligente se il meteo, nonostante siamo ormai a giugno inoltrato, preveda tempo autunnale per il resto della settimana? Imposta la lavatrice affinchè compia il proprio dovere durante la notte e si propone di alzarsi di buonora per portare il malloppo fino alle asciugatrici a gettone prima di andare in ufficio.
Ecco, ieri sera mi sentivo un'eroina per questa trovata. Mi sembrava di avere avuto l'idea del secolo e di potermi permettere di sbeffeggiare tutte le altre casalinghe della domenica: e che ci vuole ad essere contemporaneamente una brillante donna di casa ed una sfolgorante findanzata in carriera? Pensavo di essere nata con il gene del multitasking.
Stamattina mi alzo presto e, come da previsione, piove.
Scarico la lavatrice in un cestone enorme, mi vesto, appoggio la borsetta sopra al cestone enorme e, con cestone, borsetta e sacco della spazzatura, scendo le scale.
Sant'Antonio da Padova mi aiuta e, nonostante abbia la visuale completamente bloccata dalla massa di biancheria e non veda una cippa di dove metto i piedi, arrivo sana e salva all'uscita del palazzo.
Poi mi rendo conto che non sta più piovendo: sta diluviando.
Poi mi rendo conto che non riuscirò mai, a meno di non farmi impiantare al volo un terzo braccio, a reggere contemporaneamente il cestone e l'ombrello.
Merda.
Corro fuori dal palazzo e sposto l'auto davanti al cancello. La lascio con la portiera posteriore aperta sotto il diluvio e, imprecando come una piccola scaricatrice di porto, recupero il cestone enorme che avevo lasciato in ingresso e lo piazzo sul sedile posteriore.
Mi metto alla guida e valuto i danni: Redaz bagnata fino al midollo, parte posteriore dell'auto bagnata fino al midollo, puzza di cane bagnato ovunque e la giornata deve ancora iniziare.
Merda (atto secondo).
Lungo la tangenziale il diluvio sembra dare tregua, ma quando arrivo a parcheggiare davanti alle asciugatrici, si riaprono le cataratte come se Dio avesse annunciato "al mio tre scatenate l'inferno" e il suo "tre" fosse coinciso con il mio primo piede fuori dall'auto.
No, ma sono una persona fortunata.
Scarico quindi il cestone in mezzo al diluvio e vi lascio solo immaginare la faccia con cui una signora, che attendeva che le si asciugassero le lezuola, mi guarda quando entro: pantaloni da strizzare, maglietta da strizzare, capelli che un'umidità feroce ha reso impresentabili ed un romantico sciabordio che proviene... da dentro le mie scarpe.Come una autentica signora svuoto tuttavia il cestone in una asciugatrice ed imposto trenta minuti di asciugatura.
Le lenzuola della signora si asciugano poco dopo ed io rimango sola nel locale.
Ho i brividi. Nonostante sia giugno, sono bagnata fino al midollo e ho un freddo di quelli che, secondo me, possono solo significare, nella migliore delle ipotesi, una giornata barricata al gabinetto. In particolare ho i piedi congelati.
Guardo sconsolata le mie scarpette, che sono un autentico pasticcio. Prevedo che, dal momento che non si tratta di scarpe di eccelsa qualità, si romperanno, si rovineranno o si inventeranno comunque qualcosa di irreparabile per lasciarmi durante la giornata e farmi vergognare in ufficio come poche volte mi sono vergognata nella mia vita.
Poi ho lo stesso colpo di genio che credo abbiano le scimmie durante gli esperimenti, quando improvvisamente realizzano che esiste un nesso causale tra il premere un pulsantone rosso e l'arrivo di una banana nella loro gabbia.
Ho le scarpe zuppe e di fronte a me ho tante asciugatrici: non ho forse la soluzione dei miei problemi giusto davanti al naso?
Avvicino uno sgabellino allo sportello dell'asciugatrice, tiro fuori la biancheria ormai asciutta, mi tolgo le scarpe e le infilo nell'asciugatrice stessa.
Tanto ormai che ho da perdere? Tra un paio d'ore saranno comunque scarpe distrutte e da buttare. Tanto vale tentare.
E poi nel locale non c'è nessuno...
Sotto il diluvio, scalza, rannicchiata dietro un tavolo: la nuova frontiera della vergogna
Mi rannicchio sullo sgabellino, scalza, dietro ad un tavolo ed inizio a piegare la biancheria asciutta, riponendola nel cestone.
Prego tutti i santi del cielo che non entri nessuno e che al massimo il proprietario dell'impianto si faccia quattro risate guardando i video di sorveglianza.
In fin dei conti ho impostato l'asciugatrice a potenza massima per soli cinque minuti, dovrei farcela a passare inoss...
"E questa che ginnastica è?!?", chiede una voce alle mie spalle.
Mi volto e mi trovo di fronte il titolare dell'impianto, incuriosito da una ragazza devastata dalla pioggia che se ne sta a piegare biancheria in precario equilibrio su di uno sgabello dietro ad un tavolo.
"No, non è ginnastica, è che diluvia... Le scarpe... Avevo freddo... Ho recentemente avuto un'infezione polmonare e...", balbetto io. Nella mia vita non mi è mai e poi mai capitato di biascicare, questa è in assoluto la prima volta che mi succede. E sì che nella vita mi è capitato di raggiungere livelli di imbarazzo ai quali solo poche ed elette persone hanno avuto l'ardire di arrivare.
"Non è iniziata molto bene la giornata, no?", chiede il tizio piegando la testa di lato.
"No. Direi proprio di no. E praticamente deve ancora iniziare."
Per chi se lo stesse chiedendo, quindi, la risposta è "no, non si può morire di vergogna" perchè ci ho provato con metodo scientifico e non è accaduto.
Sono sopravvissuta, ho indossato un paio di scarpe asciutte e calde e, sempre per chi se lo stesse chiedendo, le suddette scarpe hanno resistito all'asciugatura in maniera egregia.
Tiè.
La Redazione

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