Ma non è stato l’unico scrittore ungherese a riflettere così intensamente sull’amicizia. C’è qualcosa di peculiare nei romanzi ungheresi della prima metà del Novecento; una comune solennità nel trattare le amicizie fra uomini che, dopo I ragazzi della via Pál (1906), è emersa nelle opere di altri due autori: Ferenc Körmendi e Sándor Márai. Penso, rispettivamente, a Un’avventura a Budapest (1932) e, naturalmente, a Le braci (1942).
Di un ventennio più giovani di Molnár i due furono contemporanei e, come Molnár, appartenevano a quella borghesia mitteleuropea e multietnica che abitava il vasto Impero Austro-Ungarico fino al suo tramonto alla fine della prima guerra mondiale. In seguito alle ripartizioni territoriali di fine conflitto, milioni di ungheresi vennero annessi a Paesi quali Romania, Slovacchia e Jugoslavia, dove vissero da minoranze e furono vittime di pulizie etniche. Dopo una breve parentesi come monarchia, alla fine della seconda guerra mondiale l’Ungheria diventò una repubblica popolare sotto il comunismo sovietico, in cui il clima persecutorio e oppressivo continuò fino al 1989 quando, dopo la caduta del muro di Berlino, nacque una democrazia di stampo occidentale.
A causa delle loro idee liberali e antirazziste i tre scrittori furono “condannati” a un destino di esuli. Girarono il mondo e provarono più volte a far ritorno in Ungheria ma, bloccati dalle persecuzioni sovietiche, scelsero tutti e tre di risiedere nei democratici Stati Uniti dove restarono fino alla loro morte. Molnár morì a New York nel 1952. Prima di stabilirsi in USA, dove si suicidò a San Diego nel 1989, Márai visse in Germania, Francia, Svizzera e perfino in Campania (prima a Napoli e poi a Salerno). Per sfuggire sia al “terrore bianco”, sia alla dittatura del proletariato, Körmendi scelse invece l’Inghilterra e il Brasile prima di invecchiare nel Maryland.
Avranno pesato anche la malinconia per la patria, la nostalgia per la propria lingua madre, nell’esigenza di questi scrittori di riflettere così intensamente sulla natura delle relazioni umane e di scandagliare i cuori tormentati da ombre di egoismo e possesso che minacciano la purezza disinteressata di un sentimento nobile come l’amicizia. Amici erano Boka e Nemecsek ma anche Kádár e Kelemen in Un’avventura a Budapest e Henrik e Konrad ne Le braci.
Certo il rapporto di amicizia fra Kádár e Kelemen non è paragonabile alla amicizia fraterna dei due personaggi de Le braci, ma gli spettri dell’invidia sociale, dell’onore tradito e dell’orgoglio ferito sono fortemente presenti in entrambi i romanzi. Sono amicizie maschili nate durante l’infanzia e la prima adolescenza, riscaldate dal fuoco seduttivo dell’entusiasmo e dell’ambizione.
In Un’avventura a Budapest Kádár torna a Budapest in vacanza dopo un decennio in cui ha girato il mondo in cerca di fortuna e dopo aver trovato il suo riscatto sociale in Sud Africa, attraverso un matrimonio di convenienza e la costruzione di una buona reputazione come architetto. In realtà, il suo ritorno è "pilotato" da un gruppo di ex compagni di liceo che sperano di usare antiche amicizie per spennare il pollo, proponendogli investimenti, chiedendo prestiti, raccomandazioni e posti di lavoro. Non riescono ad accettare che proprio lui, il più povero e il meno promettente, fosse diventato una persona di successo mentre loro si vivevano addosso nel grigiore immobile del primo dopoguerra. Ma Kádár riconoscerà i sentimenti che muovono i suoi amici e non si farà risucchiare. Non senza dolore, però, perché l’invidia e il senso di vendetta che respirerà fra i suoi ex compagni sarà anche la stessa nausea per il suo passato di disperati espedienti da cui è riuscito ad affrancarsi. Salirà sull’Orient Express per non tornare più in patria.
I due amici de Le braci invece si conoscono a dieci anni nell’ambiente elitario del collegio militare. Henrik è ricco di famiglia e ha un patrimonio sconfinato a cui attingere, mentre Konrad proviene da una decaduta nobiltà polacca e si mantiene grazie al patetico sacrificio dei suoi vecchi genitori che vivono solo per l’onore di avere un figlio soldato. Tuttavia, da Henrik non vuole soldi, regali o privilegi e si rifugia nella musica e nel suo orgoglio, tastando il mondo esterno attraverso i modi di fare dell’amico estroverso e ben voluto da tutti. I due saranno inseparabili per ventiquattro anni: prima al collegio, poi da cadetti a Vienna e infine di istanza nei pressi del magnifico castello nella foresta ai piedi dei Carpazi dove Henrik vive con la moglie Krisztina.
Proprio quest’ultima innescherà un pericoloso triangolo di gelosie, vendette e silenzi che porterà Konrad a lasciare l’esercito e fuggire lontano, prima ai Tropici e poi nei dintorni di Londra e Henrik a ritirarsi in meditazione per quarantuno anni, in attesa del ritorno dell’amico di una vita, al quale chieder conto del suo abbandono. E nell’ultimo incontro di due vecchi ultrasettantenni che dura un’intera notte Márai regala, per bocca di Henrik e nei silenzi/assensi di Konrad, splendide riflessioni sull’amicizia, sulla sua rarità e sulla difficoltà di metterla al riparo dal desiderio di possesso e dall’aspettativa di fedeltà, dall’egoismo e dall’orgoglio.
Come le braci del camino davanti al quale siedono durante la lunga notte della resa dei conti, questi sentimenti oscuri dell’animo umano covano sotto il fuoco dell’amicizia e rimangono accesi a dare un senso alla vita di Henrik, il quale ha atteso per decenni di ascoltare la verità, che già conosce, dalla bocca dell’amico infedele. Ma il calore della memoria che ancora arde sotto quelle braci prima di diventare cenere è anche quello inestinguibile dell’amicizia fra due uomini che, nonostante tutto, sopravvive perché, come suggerisce Henrik, «alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l’intera esistenza».
E ancora, scrive Márai:
«Quanto vale un’amicizia che ambisca a essere premiata? Non abbiamo forse il dovere di accettare l’amico infedele esattamente come quello fedele e pieno di abnegazione?»