Ferma restando la notevole capacità di fornire una compiuta analisi di costume, inserendosi nella tradizione della nostra migliore commedia, la disamina della realtà non trova più, infatti, il suo assunto di base nella rappresentazione di uno o più personaggi (l’ultimo tentativo al riguardo, volto a cercare il consenso del grande pubblico, dei suoi fans in particolare, risale a Grande, grosso e Verdone, 2008, vera e propria cartina di tornasole della necessità di un radicale cambiamento), bensì parte dalla narrazione di una storia, attraverso la quale il reale viene visualizzato, non trasmutato, tramite un particolare mix d’ironia, spunti riflessivi ed intimistici, fra malinconia ed un tocco di bonario cinismo.
Carlo Verdone
Se già le note macchiette degli esordi, ormai vere e proprie icone dell’immaginario collettivo, celavano, tra tic e vezzi vari, una malinconica e pacata riflessione sulle sorprese che la vita ci riserva (le occasioni mancate, quanto ci viene dato ed improvvisamente tolto, l’amore e l’impossibilità di viverlo nella sua “normalità”), ora Verdone esprime inedite maturità e sensibilità, tanto a livello registico, dove è evidente una minore staticità di ripresa, quanto attoriale. In tale ultimo caso, infatti, si rivela capace, alternando nevrosi e disincanto, di mettersi da parte, affidandosi ad una recitazione sobria, quasi dimessa, allargando lo sguardo e facendosi portatore di una sentita esigenza morale, svelando tutto ciò che non va nei rapporti umani, un “come siamo diventati” profondamente amaro.
Inoltre mantiene nelle caratteristiche del personaggio interpretato un candore di fondo da “comune mortale”, proprio di chi, consapevole dei propri errori, cerca di porvi rimedio nel tentativo di riproporsi nella sua primaria e più genuina essenza. Già la prima sequenza di Sotto una buona stella, dal tono metaforico, evidenzia la portata dei toni narrativi, quando veniamo introdotti all’interno di un lussuoso appartamento, dove è in corso di svolgimento una chiassosa festa di compleanno.
Eleonora Sergio
La festeggiata è la giovane Gemma (Eleonora Sergio), arredatrice, compagna di Federico Picchioni (Verdone), intermediatore finanziario, il quale pur nel ricevere una telefonata che lo rattrista fa fatica ad allontanarsi con decisione da quel clima festaiolo. Giunge così in ritardo, “come al solito” gli fa notare il figlio Niccolò (Lorenzo Richelmy), al capezzale dell’ex moglie, cui non riesce a rivolgere l’ultimo saluto.
Federico aveva infatti lasciato anni addietro la famiglia, l’altra componente è la figlia Lia (Tea Falco), ragazza madre, per intraprendere una brillante carriera ed una nuova vita con la citata Gemma, provvedendo certo al mantenimento materiale ma con imperdonabili lacune dal punto di vista affettivo.
Ulteriore tegola sulla testa, lo scandalo finanziario che travolge la società presso cui lavora, causa “allegre manovre” ad opera del presidente, con conseguente perdita del posto di lavoro, nonostante l’estraneità ai reati.
E così Federico, non potendo più pagare il loro affitto, si ritroverà in casa i suoi figlioli, poco più che ventenni, l’uno aspirante musicista, l’altra poetessa che tira a campare traducendo testi per una piccola società editrice, ed una nipotina, per essere infine piantato da Gemma, che mal sopporta la baraonda che si è venuta inevitabilmente a creare. La problematica convivenza, dopo anni di mancato dialogo, troverà inaspettate soluzioni grazie alla nuova vicina di casa, Luisa Tombolini (Paola Cortellesi), donna tanto bizzarra quanto dotata di buon senso pratico, professione risanatrice d’aziende, ovvero addetta al taglio del personale.
Paola Cortellesi
Girato per lo più in interni, il film smorza efficacemente l’impatto teatrale grazie ad una funzionale sinergia fra la suddetta fluidità registica ed il valido apporto offerto da scenografia (Tonino Zero) e fotografia (Ennio Guarnieri), tanto da conferire un’opportuna, e per certi versi inedita nell’ambito della commedia nostrana, correlazione ambiente-personaggi. Se l’appartamento di Federico, nella sua impostazione da manuale di tutto ciò che fa tendenza nell’ambito del design, ne riflette il benessere economico ma anche la mancanza di un’impronta ben definita, al pari dell’abulia caratteriale del personaggio, quello adiacente di Luisa, una Cortellesi sapientemente valorizzata e capace di offrire il meglio di sé, si dimostra molto più aperto e condivisibile negli spazi. Dà l’idea di qualcosa in divenire, al pari degli sbalzi umorali della donna, ora solare e scherzosa (vedi l’entrata in scena come tuttofare rumena), ora profondamente depressa (splendida la sequenza della rivelazione del suo passato e dei problemi lavorativi, mentre si alternano i sintomi della febbre e le conseguenze di una sbornia), ma comunque energica e vitale, capace ancora di lottare per determinati ideali (licenzia sì, ma di nascosto cerca di trovare nuove sistemazioni lavorative ai malcapitati, a mio avviso più un tono d’agognata speranza e fiducia nell’essere umano che l’assunto favolistico visto da alcuni).
Tea Falco e Lorenzo Richelmy
Verdone con toni ironici ed amari, venati da un lieve sentimentalismo, mette in campo una critica alla generazione d’appartenenza, i cui componenti, o almeno una buona parte, pur nella possibilità di mettere in atto un radicale mutamento dello status quo, si sono concentrati essenzialmente su se stessi, lungi dal prendere una posizione nella vita che non fosse il conseguimento di un personale benessere, e con fare accomodante hanno impedito un pur minimo ricambio generazionale.
Della conciliazione messa in atto nei confronti dell’ altalenante rincorrersi di vittorie, sconfitte, debolezze e nevrosi, ne hanno fatto le spese le generazioni successive, le quali, annaspando fra le macerie morali e culturali, provano a conferire un qualche minimo significato alla loro esistenza, fra sfiducia e volontà di mutare le cose. Emblematica al riguardo la sequenza relativa al come Federico, assistendo casualmente ad un provino musicale, prenda contemporaneamente coscienza delle capacità artistiche del figlio e dell’inettitudine degli esaminatori, intenti, con fare distratto, alla ricerca di spensieratezza a buon mercato da proporre in forma di ormai abituale oppio dei popoli.
Il buon Federico resterà quindi da solo, proprio quando sembrava ristabilito, fra riconciliazioni e punti d’incontro, un valido rapporto genitori- figli, nel rispetto e nella consapevolezza dei reciproci ruoli.
Per il nostro, uomo sostanzialmente onesto nella sua “normalità” volta ad affrontare le quotidiane ambasce, la vita ha però in serbo ancora qualche sorpresa, vi è una donna ormai innamorata di lui, e non attende altro che un suo “risveglio” per condurlo verso la condivisione di un’inedita, ed in fondo meritata, compiutezza esistenziale. Pur con qualche momento d’empasse, soprattutto iniziale (tutto si sblocca una volta entrata in scena la Cortellesi), e qualche incertezza nel delineare le figure giovanili (superata in parte dalle buone interpretazioni offerte da Richelmy, dolente ed arrabbiato, e dalla Falco, straniata e straniante in egual misura), Sotto una buona stella, almeno a parere dello scrivente, rappresenta il miglior Verdone da un po’ di tempo a questa parte, un artista capace di rinnovarsi offrendo un valido e vicendevole gioco di specchi fra realtà ed ironia, lambendo concretamente le sponde di entrambe.