di: C. De Caro
con: V.Di Benedetto, C. Di Sante, S.Tosti, R.d'Andrea.
Commedia - ITA 2013
85 min
Tra un "de profundis" e l'altro,
Senza scadere nell'esaltazione stucchevole e ridicola del "pauperismo" (che e' bello e nobile soprattutto se lo praticano gli altri) che, per quanto il Cinema sia uno dei principali campi di applicazione dell'innovazione tecnologica, alla lunga, da risorsa diciamo così "creativa", diventa solo e unicamente indigesto impasto di frustrazioni, osserviamo subito che nel caso di De Caro penuria di mezzi (una manciata di giorni per le riprese, set "per gentile concessione" di parenti e amici), freschezza e stretta attualità della storia, necessita' di ribattere a colpi d'idee (non solo alle angustie produttive ma anche e - forse - soprattutto all'attualità di cui sopra, tanto all'apparenza "liberale" e dispensatrice di promesse di affermazione o di affrancamento, quanto, assai spesso, amalgama ostile e appiccicosa costituita da sempre nuove combinazioni di antichissimi collanti quali l'accidia, il menefreghismo, l'omertà, i ricatti e le convenienze incrociate, le mere mascalzonate et.), si danno allegramente di gomito infondendo vita ad un insieme semplice, senza fronzoli e per bei tratti pure divertente.
D'altro canto, l'occhio fisso e ravvicinato del regista sulle vicissitudini paradossali se non fossero così autentiche di un gruppo di giovani (nel caso, romani) la cui precarietà al punto in cui siamo (già... a proposito: a che punto siamo ?) non e' più la variabile negativa dei rapporti di produzione ma un vero e proprio modo di vivere - se lo si può definire tale -, giunto, ad esempio, a mettere sul piano di un grottesco aut-aut l'opzione di un piatto di pasta o di una pizza e l'acquisto di un paio di scarpe pena il fallimento delle economie personali, nei confronti del quale l'unica alternativa rimasta sembra essere la totale emarginazione o lo spaccio (quest'ultimo nei modi e negli esiti più vicini ai "Soliti ignoti", tanto per capirsi, che, per dire, alle prospettive iperboliche e supercool delle "Belve" di Stone), e nonostante i toni spesso spassosamente frenetici della commedia tutta dialoghi mordaci e ruspante cattiveria (alla cui riuscita concorre in maniera determinante l'uso per una volta coerente e ben cadenzato del dialetto) contrappuntati da improvvisi silenzi, aiuta a contestualizzare meglio le psicologie e gli atteggiamenti di tutti i personaggi, di certo non esenti da fragilità tanto epidermiche nella loro oggettività quanto incistate in una prassi che pulsa sottotraccia e oscilla oramai quasi solo tra disimpegno e opportunismo. Uomini e donne angustiati ma allo stesso tempo come sollevati dagli orizzonti ristretti di una vita che un po' e' diventata, un po' non si e' impedito che diventasse "a corto raggio". Persone orgogliose, in fondo, di quella indipendenza di ritorno come risacca dell'individualismo narcisistico di massa alla "me-myself-and-I", eppure a stringere sole e disarmate appena una porta si chiude, ad un imbarazzo non segue motto ed il riflesso condizionato che si oppone ad un rifiuto finisce per essere invariabilmente un mutismo perplesso e in parte vittimistico.
Chiaro che, in un esperimento
Se questa e' la prospettiva - e fermo restando la chirurgica riuscita degli "assolo per due voci" di Cristian e Valerio (potremmo parlare di un film a parte) che ricordano i micidiali battibecchi tra Dante e Randall in "Clerks" di Smith - diventa giocoforza più conciliante la valutazione circa la ripetuta frammentazione del montaggio all'interno dell'inquadratura, che nulla aggiunge in termini di'"instabilità" perenne delle vicende di quanto già non facciano, e più palpabilmente, le frequenti sfocature (casomai, nell'insistenza, quella sottrae qualcosa alla spontaneità d'assieme come all'accorto uso della luce naturale). Identico discorso si può applicare all'ultima parte del film, in cui speranza e ottimismo sembrano più "cercati" che consequenziali alle premesse, in leggero attrito col compatto realismo che permea buona parte degli ottantacinque minuti di quest'opera che si sta facendo strada unicamente in ragione della sua irresistibile impertinenza e di un contagioso passaparola.
TFK
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