L’aggettivo che ricorre più frequentemente nell’ormai cospicua e variegata letteratura sul “fenomeno Vargas” è atipico.Che Fred Vargas sia un personaggio alquanto sui generis, del resto, lo dice in primo luogo il suo nom de plume: maschile, latineggiante, dal sapore avventuroso. Frédérique Audouin-Rouzeau, questo il vero nome della regina del noir d’oltralpe, lo ha adottato in omaggio alla sorella gemella Joëlle, pittrice contemporanea meglio conosciuta come Jo Vargas (Vargas, a proposito di scelte atipiche, è il cognome del personaggio interpretato da Ava Gardner nel film La contessa scalza). Ricercatrice di archeozoologia presso il Centro Nazionale Francese per le Ricerche Scientifiche (C.N.R.S.) ed esperta in medievistica, Fred Vargas si è occupata a lungo dei meccanismi di trasmissione della peste – la Morte Nera, sì, avete capito bene – dagli animali all’uomo; altra scelta singolare ma di sicura rilevanza ove si consideri che, come ha avuto modo di ricordare la stessa scrittrice in un’intervista rilasciata qualche tempo fa, “per mille anni nessuno ha messo in dubbio che la peste fosse stata inviata sulla terra da Dio per punire i nostri peccati”. Come a dire: ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio...
Fred Vargas
I romanzi della Vargas, che hanno costituito (e tuttora costituiscono) un elemento di assoluta originalità nel panorama letterario poliziesco moderno, sono figli di questo vissuto, rispecchiano fedelmente il particolare background culturale dell’autrice. Atipici nello stile: lirico, musicale, evocativo (e divertente, in barba alla scarsa propensione alla sperimentazione linguistica che ha contraddistinto la narrativa noir degli ultimi anni). In una parola: unico. Atipici, persino, nella gestazione: si narra (verità?, leggenda editoriale?) che la loro stesura venga completata in soli ventun giorni.Atipiche sono poi le storie che racconta, cupe e misteriose ma sempre velate d’ironia.La Vargas attinge a piene mani da miti e leggende popolari e mette a frutto le conoscenze che le derivano dalla sua professione per costruire trame avvincenti che superano i cliché più sfruttati del genere senza tradire, tuttavia, lo spirito del giallo tradizionale. Atipici, infine – poteva essere altrimenti? – i personaggi, che costituiscono, a mio parere, il segreto del successo della noirista francese. I lettori, si sa, e gli appassionati di narrativa criminale in particolare, amano i personaggi seriali; la Vargas ne fa largo uso, tanto da aver dato vita a due filoni letterari ben distinti: il cosiddetto “ciclo Adamsberg”, che ruota intorno allo stravagante commissario del XIII arrondissement parigino e al suo altrettanto stravagante entourage, e la bizzarra serie degli “evangelisti”, incentrata sulle peripezie di tre giovani storici disoccupati e perennemente al verde.
Il ciclo Adamsberg
- Risolvi i casi spalando nuvole?- In un certo senso, - disse Adamsberg con un sorriso.
Svagato, contemplativo, sognatore: il commissario Jean-Baptiste Adamsberg, poliziotto di spicco dell’Anticrimine parigina, assesta un colpo durissimo al mito dell’investigatore onnisciente e iperrazionale à la Hercule Poirot. Lento, lunare, quasi evanescente, Adamsberg rifiuta con trasognata noncuranza l’impiego dell’analisi logico-deduttiva ed è refrattario ai ragionamenti troppo complessi: spala nuvole, vagheggia, si perde in lunghe e confuse passeggiate e finisce immancabilmente – anche grazie a un formidabile intuito e a doti empatiche fuori dal comune – con l’inciampare nella verità. “Doveva camminare, guardare, contemplare. Senza peraltro approfittarne per riflettere in modo coerente. Formulare un problema per trovare una soluzione era un procedimento diretto a cui aveva rinunciato da tempo. In lui, le azioni precedevano i pensieri, e mai il contrario.”. Anche il suo aspetto esteriore sembra riflettere la sua personalità: “sì, era bello, eppure nessuno dei suoi tratti preso separatamente avrebbe fatto pensare a un risultato simile. Nessuna regolarità, nessuna armonia e nulla d’imponente. Una perfetta impressione di disordine, ma di un disordine che produceva un caos affascinante, sontuoso a volte, quando s’infervorava.”.La razionalità e le capacità di analisi che mancano al commissario sono tutte concentrate in un'altra figura a dir poco formidabile: il capitano Adrien Danglard, vice di Adamsberg. Bruttino (“poco favorito dalla natura – per dirla con parole sue – ... faceva assegnamento su un’eleganza impeccabile per compensare i lineamenti senza struttura e le spalle cascanti, e per conferire un vago fascino inglese al suo corpo molle... ”), coltissimo (“quando non sai qualcosa, devi chiedere a Danglard” suole ripetere, come se fosse un mantra, il commissario), è convinto che le uniche idee apprezzabili siano quelle scaturite dalla ponderazione e diffida di qualsiasi forma di intuizione informe. “Amante della carta in tutte le sue forme, dalle più nobili alle più umili – fascicoli, libri, rotoli, fogli, dall’incunabolo alla carta da cucina – , era ... un tipo concentrato che pensava standosene fermo, un ansioso dal fisico molle che scriveva bevendo e che, con il solo aiuto della sua inerzia, della sua birra, della sua matita mordicchiata e della sua curiosità un po’ fiacca, produceva idee schierate in assetto di marcia, di un genere del tutto diverso dalle sue”, che somigliavano piuttosto ad “ammassi di alghe”.Completa la triade Violette Retancourt, personaggio che, al pari del capitano Danglard, compensa l’immaterialità di Adamsberg con la sua dirompente fisicità. A dispetto del nome di battesimo, che evoca romantici effluvi floreali, il tenente Retancourt è quel che si dice una femme formidable. Ecco come la descrive la sua creatrice in Sotto i venti di Nettuno (romanzo di cui Violette è protagonista indiscussa): “donna impressionante, trentacinque anni, un metro e settantanove per centodieci chili, tanto intelligente quanto forte, e capace, come aveva spiegato lei stessa, di trasformare l’energia a proprio piacimento. E in effetti la varietà di mezzi di cui Retancourt aveva dato prova ... , con una forza d’urto sbalorditiva, aveva fatto del tenente uno dei pilastri dell’edificio, la macchina da guerra polivalente dell’Anticrimine, adatta a ogni frangente, celebrale, tattico, amministrativo, combattimento, tiro di precisione”.
La regina del noir d’oltralpe non si fa mancare neppure il triangolo amoroso (che si consuma tra lo svagato commissario, la sua eterna “non-fidanzata” Camille e il tenebroso tenente Veyrenc dai capelli rossi e bruni e l’eloquio in versi); cliché dei clichés, si dirà, ma il multiforme ingegno della Vargas lo rielabora con grande originalità, rendendolo appetibile anche per i lettori più esigenti. Triangolo aperto, fluido – e atipico, ça va sans dire – , perché a ben guardare le spalano un po’ tutti, le nuvole, nell’universo scaturito dalla penna di Fred Vargas.Perfino l’irresistibile mascotte del commissariato, l’abulico gatto Palla, sembra coltivare un legame assai peculiare con il mondo che lo circonda e con la specie umana: “... era l’incarnazione stessa della dipendenza e del sonno permanente... . Agli antipodi dell’animale totem di una squadra di poliziotti ... Palla passava gran parte della giornata sdraiato sul coperchio tiepido di una delle fotocopiatrici, che non si poteva più utilizzare per non infliggere alla bestia uno choc mortale”.
La serie degli evangelisti
L’ordine cronologico prima di tutto: al piano terra l’ignoto, il mistero originale, il disordine generale, il magma primordiale, insomma le stanze comuni. Al primo piano, vago superamento dei caos, qualche modesto tentativo, l’uomo nudo si raddrizza in silenzio, insomma, tu, Mathias. Risalendo la scala del tempo ... , scavalcata l’antichità, l’agevole ingresso nel glorioso secondo millennio, i contrasti, gli ardimenti e gli stenti medievali, insomma, io al secondo piano. Dopodiché, al piano superiore, il degrado, la decadenza, il contemporaneo. Insomma, lui, - proseguì Marc scuotendo Lucien per un braccio, - lui, al terzo piano, che con la sua vergognosa Grande Guerra chiude la stratigrafia della Storia e della Scala. Ancora più su il padrino, che in un modo tutto suo porta avanti lo scardinamento del presente.Mathias “San Matteo” Delamarre (archeologo specializzato nella preistoria), Marc “San Marco” Vandoosler (medievista) e Lucien “San Luca” Devernois (storico della Grande Guerra) condividono miserie e speranze nell’angusta “topaia” parigina di rue Chasle. Poveri in canna e dotati di un talento tutto speciale per le investigazioni, i tre sono legati alle rispettive materie di studio al punto da esserne condizionati nei comportamenti quotidiani... persino, come si evince dal brano citato - da Chi è morto alzi la mano, Einaudi, 2006 - nella razionalizzazione degli spazi di casa!
Il solaio della stamberga è temporaneamente riservato a Vandoosler “il Vecchio”: padrino di Marc, ex poliziotto corrotto che “con la giustizia e con la vita si prende le sue libertà”, Vandoosler guida e protegge i tre “evangelisti”, poco avvezzi alle insidie del mondo del crimine. Si tratta di un personaggio di grande fascino, così descritto dal nipote Marc nel romanzo che dà il via all’epopea dei tre storici investigatori per caso: “qualunque posto non goda della sua presenza gli sembra un luogo desolato che gli tende le braccia. Dopo quarant’anni di onnipresenza, non sa più bene a che punto si trova, e nessuno lo sa. In realtà è un conglomerato di migliaia di padrini concentrati in uno. Parla normalmente, cammina, fa la spesa, ma se vai a rovistare non sai mai cosa salterà fuori. Un fabbro, un grande sbirro, un traditore, un robivecchi, un creatore, un salvatore, un distruttore, un marinaio, un pioniere, un barbone, un assassino, un protettore, un poltrone, un principe, un dilettante, un fanatico, insomma, tutto quello che vuoi”. Si uniranno poi alla sgangherata “famiglia” di rue Chasle una prostituta dal cuore d’oro, il poliziotto in disarmo Louis Kelweihler soprannominato “Il Tedesco” e un adorabile rospo di nome Bufo.
Spalatori di nuvole anch’essi, a ben vedere, aggrappati al sogno più che al mondo reale.
Vien da pensare che spali nuvole a volontà anche la loro creatrice: voce perennemente fuori dal coro, noirista ancorata alla tradizione del poliziesco continentale ma dispostissima a sacrificare una trama gialla a orologeria se minacciasse di compromettere la musicalità del linguaggio. D’altro canto la signora lo ha messo in chiaro sin dall’inizio: “il poliziesco è una specie di favola, ironica o tragica o cerebrale”. E negli ultimi due decenni ce ne ha regalate parecchie, di favole: tragiche, talvolta celebrali, sempre narrate sul filo dell’ironia: sette romanzi – L’uomo dei cerchi azzurri (1991), L’uomo a rovescio (1999), Parti in fretta e non tornare(2001), Sotto i venti di Nettuno (2004), Nei boschi eterni (2006), Un luogo incerto (2008) e La cavalcata dei morti (2011) – e un trittico di racconti (Scorre la Senna, 2002) del ciclo Adamsberg, e tre romanzi dedicati alle avventure degli evangelisti – Chi è morto alzi la mano (1995: leggi la nostra recensione), Un po’ più in là sulla destra(1996) e Io sono il Tenebroso (1997) – che Einaudi ha riunito nella silloge I tre evangelisti (2010).Nel 2012 Einaudi ha inoltre pubblicato, nei Super ET, la uniform edition comprendente I casi dei tre evangelisti e I casi del commissario Adamsberg.
Una curiosità: i due filoni s’incontrano in Parti in fretta e non tornare, romanzo nerissimo e d’impatto cinematografico nel quale Adamsberg e Marc Vandoosler si vedono costretti a fronteggiare, tra simboli misteriosi dipinti sulle porte delle case e incomprensibili missive, lo spettro del Medioevo e della Morte Nera... ovvero le principali materie di studio della sua inventrice.
Ed ecco che il cerchio – atipicamente? – si chiude.
Simona Tassara