di Simone Provenzano
Sparatoria a Palazzo Chigi.
Causale o casuale ?
Inutile sottigliezza? Non direi proprio.
Anche questa settimana non posso svincolarmi dall’attualità. Il governo si insedia, firma e cerimoniosamente si lascia fotografare. Immagine del paese. A nostra immagine.
Fuori, una persona che ha perso l’equilibrio tra ciò che è lecito e ciò che non può esserlo mai, decide di sparare. Tenta un suicidio. Tenta di farsi uccidere riversando l’ultimo suo gesto di rabbia contro lo Stato.
foto giornalettismo.com
Se fosse un’operazione matematica sapremmo con certezza qual è il risultato: due carabinieri feriti, una passante ferita, l’attentatore che passerà il resto della sua vita in galera.
Facciamo ancora finta di essere in aula di matematica. Conosciamo il risultato e sappiamo che uno dei due addendi di questa operazione è la disperazione dell’attentatore. Ci rimane da trovare l’ultimo fattore, quello che sommato alle condizioni socioeconomiche e psicologiche dell’attentatore ha dato come risultante proiettili e sangue.
Possiamo fare 2 ipotesi. O ci troviamo di fronte ad un episodio casuale o esiste una o più cause.
Qui c’è vita in fermento, ma non disciplina, né ordine.
Ognuno pensa solo a sé, diffida dell’altro, è fatuo,
e a loro volta i capi di stato provvedono solo a se stessi.
Bello il paese…
Questo è quello che vede Goethe quando guarda all’Italia. È un piccolo estratto dagli epigrammi veneziani. Calcolate che il poeta era tedesco e che è morto nel 1832.
Non può essere frutto del caso qualcosa che si ripete da sempre. Se fossimo nella lontana India parleremo di karma e dharma di una nazione intera.
Non scrivo questo breve trafiletto perché ho una soluzione. Non lo scrivo per criticare. Lo scrivo per discriminare. Per dividere casualità e causalità. Per comprendere che serve consapevolezza, tenere gli occhi aperti, non nascondendosi dietro alla scusa che è stato solo il gesto di un folle.
Pensiamo alla nostra nazione come ad un sistema e facciamoci aiutare dal vecchio Newton: la quantità di moto in un sistema rimane costante, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo appena descritto è il terzo principio della termodinamica.
Non mi rivolgo a nessuna forza politica in particolare. Tutte, pur di accaparrarsi consenso, gettano benzina qua e là. La gettano sotto forma di odio, egoismo, insulti, aut aut. Siamo ricoperti di benzina. Non sono loro ad appicciare il fuoco, basta una scintilla. Come si può definire il risultato di tutto ciò? Casuale? Come si può pensare che sia solo il gesto di un folle?
Un folle per definizione non ha contatto con la realtà. L’attentatore, invece, ha fatto un’overdose di realtà.
Sun Tzu, nel suo L’arte della guerra, spiega che c’è solo un modo per far sì che i suoi uomini non abbiano più paura della morte, che compiano gesti che normalmente non farebbero mai. L’unico modo è fargli capire che non c’è altra speranza che combattere. Fargli capire che sono spacciati, che non c’è più speranza. Quando ci si pensa già morti, niente può più spaventarci.
Noi non siamo in guerra. Eppure la nostra politica, da quella più vecchia a quella più nuova, ci presenta la situazione come se fossimo un esercito accerchiato senza oramai più speranza. Accerchiati dalle bollette, dai politici corrotti, dalla burocrazia, dalla Germania, dall’euro, dai rifiuti, dall’inquinamento, dalla disoccupazione, ecc…
Non è così.
Questa è una visione che serve esclusivamente a compattare un consenso; a serrare le fila di un esercito senza guerra.
La realtà è che stiamo passando una crisi che non ha avuto eguali nella storia post seconda guerra mondiale. Si tratta comunque di un periodo. Di un arco di tempo che dovrà avere un termine. E per fare in modo che questo arco di tempo duri il meno possibile c’è bisogno di fare, non di fomentare, litigare. Questo è il momento del sostegno, della ricostruzione a partire dalle macerie.
Unione, bene comune, solidarietà.
Ricordiamoci che il nostro è un mondo di causalità.
La botta di culo è rara.
Raccoglieremo ciò che adesso stiamo seminando.
Concludo con una frase di un poeta nato nella bella Wroclaw e che mi ha stupito per la sua potenza evocatrice. Si tratta dell’ultimo verso dell’Angelus Silesius tratto dal pellegrino cherubico di Von Hofmannswaldau:
Uomo in quel che ami sarai trasmutato.
Dio diventerai se ami Dio, e terra se ami la Terra!
A proposito di causalità…
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