di Valerio Fabbri
La storia dei fratelli Starostin – Aleksandr, Andrej, Pëtr e Nikolaj, nati fra il 1902 e il 1909 – è anche quella dello Spartak Mosca, squadra di calcio russa nata nelle strade del quartiere Krasnaja Presnja della capitale e celebrata anche dal poeta Vladimir Majakovskij. Perché l’epopea di questi fratelli riassume, per certi versi, la vicenda di un’ideologia, quella sovietica, e della sua dissoluzione.
La classe operaia si identifica a tal punto nella squadra di calcio che, nel 1936, la Piazza Rossa diventa teatro di una partita dimostrativa fra la prima e la seconda squadra dei biancorossi davanti a Stalin in persona. Nemmeno la Dinamo aveva mai ottenuto tanto. Il passo è breve affinché lo Spartak Mosca finisca per rappresentare la squadra proletaria per eccellenza, nella quale si identificano i russi e non solo. Un perfetto modello sovietico, in teoria. Un pericoloso precedente “borghese”, in pratica. È l’inizio della fine.
Lavrentij Berija, capo dei servizi di sicurezza dal 1938, responsabile delle repressioni staliniane, appassionato di calcio e presidente della Dinamo, fa arrestare e condannare a 10 anni di lavori forzati i fratelli Starostin, colpevoli del proprio successo e rei di avere troppe volte sconfitto la sua Dinamo in campionato. Tutti e quattro i fratelli vivranno una seconda vita, ma chi rimarrà legato al club è Nikolaj, responsabile tecnico del club fino alla morte nel 1992. Lo Spartak ha continuato a far bene anche senza di lui, anche se la sua morte ha segnato la fine di un pezzo di storia del calcio russo, ora dominato da squadre nuove – Zenit San Pietroburgo, Anzhi Makhachkala, Rubin Kazan, per citarne alcune – spirito del tempo moderno.