Arrivato nelle librerie il 28 aprile, Ultimo quarto di luna è l'ultima fatica della scrittrice cinese Chi Zijian. Premiato nel 2008, anno di uscita in Cina, con il prestigiosissimo Mao Dun, il massimo riconoscimento letterario cinese, Ultimo quarto di luna ci porta alla scoperta delle fredde terre nord-orientali della Cina dove la vita degli evenchi scorre ai ritmi lenti e cadenzati della caccia e dell'allevamento delle renne.Un mondo che perde la sua purezza a contatto la barbarie della guerra, un popolo che vede sottratta la sua libertà dopo l'invasione della Manciuria e l'ingresso forzato nella Repubblica Popolare Cinese, una donna che vuole mantenere le sue radici. Un romanzo su quanto grande può essere l'amore per la propria terra.
Lungo il fiume, fuori dal tempouna donna racconta al nipotela storia di un mondo che non c'è più.
La trama:
«A me non piace l’idea di dormire in una stanza dalla quale non si vedono le stelle...» A parlare è una donna di novant’anni. Una evenchi, appartenente al popolo delle renne che si muove lungo il fiume Argun, all’estremo confine nord-orientale della Cina. Per secoli, la sua gente è vissuta a contatto con la natura, godendone la bellezza e subendone la crudeltà. Link, il padre della voce narrante, è il miglior cacciatore della tribù; Damara, la madre, è la donna più bella e la più abile danzatrice; Nidu, lo zio, è il capo della tribù e lo sciamano. Ma con l’invasione giapponese della Manciuria, gli evenchi vengono stanati dalle foreste e, loro malgrado, si trovano a fare i conti con una realtà estranea.Dopo la guerra, entrano a far parte della nuova Repubblica Popolare Cinese, che li incoraggia a trasferirsi nelle città, a smettere la loro esistenza nomade per abbracciare la «civiltà». Alcuni si integrano, altri si trovano emarginati in una società che non capiscono. Intanto le loro foreste vengono abbattute, divise dalle strade. Chi sceglie di tornare alla foresta si sente ormai senza radici, senza identità, straziato dalla consapevolezza che non esiste più un posto per lui. E anche ora che è alla fine, solo la narratrice sa di dover rimanere là dove la sua storia ha avuto inizio.
Un brano:
"A me non piace l’idea di dormire in una stanza dalla quale non si vedono le stelle, per tutta la vita hanno accompagnato il mio sonno. Se mi svegliassi nel cuore della notte e sollevassi lo sguardo verso l’oscurità del soffitto, mi sentirei disorientata, come se avessi perso la vista. E le mie renne non hanno colpe, non voglio vederle accovacciate dentro a una «prigione»; poi diventerei sorda, se non potessi sentire il tintinnio cristallino come acqua delle loro campanelle; e rimarrei paralizzata, perché le mie gambe e i miei piedi, ormai abituati ai tortuosi sentieri accidentati di montagna, si indebolirebbero al punto da non potermi più sostenere se dovessero camminare ogni giorno per i vicoli pianeggianti della città; e sicuramente mi sentirei soffocare se dovessi annusare la puzza pestilenziale delle auto, giù a Busu, io che ho sempre respirato l’aria fresca e pura delle terre incontaminate. Il mio corpo è dono degli spiriti e rimarrò tra le montagne per renderlo agli spiriti."
L'autrice: