Emma Donoghue è una scrittrice, storica, commediografa irlandese, nata a Dublino nel 1969, sebbene da diversi anni si sia trasferita in Canada, paese di cui ha ottenuto la cittadinanza nel 2004, nel quale vita con la compagna e i due figli.
Dopo essersi laureata in Arte all'Università di Dublino e aver conseguito un dottorato in Inglese a Cambridge, la Donoghue inizia la sua carriera di scrittrice nel 1994 con Stir Fry, un romanzo di formazione sulla scoperta della propria sessualità da parte di una giovane donna che ricevette la nomination al Lambda Literary Award. Sempre a tema LGBT è la sua seconda opera, Hood (1997) che vinse quell'anno l'American Library Association's Gay, Lesbian and Bisexual Book Award.
A partire dal romanzo successivo, Il nastro rosso (Slammerkin, 2000), l'autrice si concentra maggiormente sulla fiction storica ricevendo diversi riconoscimenti, tra cui l'arrivo tra i finalisti dell'Irish Times Irish Literature Prize for Fiction e la vittoria del Ferro-Grumley Award for Lesbian Fiction nel 2002, sebbene il libro non tratti in realtà tematiche LGBT.
La consacrazione arriva però definitivamente nel 2010 quando la Donoghue pubblica Stanza, letto, armadio, specchio (Room), romanzo che la porta fino alla short-list del Man Booker Prize oltre che del Governor General's Awards canadese. Il libro, il secondo dell'autrice a essere tradotto in italiano, ha vinto inoltre il premio Rogers Writers' Trust Fiction Prize e l'Irish Book Award . Quest'anno Emma Donoghue ha pubblicato il suo ottavo lavoro, Frog Music, ancora un romanzo storico ambientato nella San Francisco di fine '800, ancora la storia di una donna forte e indipendente alle prese con un pericoloso assassino.
Recensione
Ogni tanto accendiamo la tv e scopriamo l'esistenza di qualche nuovo mostro che ha pensato fosse nei suoi diritti sequestrare una o più ragazzine indifese per tenerle chiuse in qualche scantinato, pronte a soddisfare i suoi capricci. Natascha Kampusch, Elisabeth Fritzl, Amanda Berry, sono nomi divenuti tristemente noti per la particolare crudeltà dei sequestri subiti e accanto alla gioia per la loro liberazione si affianca sempre l'orrore per le condizioni in cui sono state costrette a vivere e il dubbio se mai potranno avere una vita normale dopo un'esperienza di questo tipo.
Emma Donoghue decide di affrontare questo tema oramai familiare da una prospettiva del tutto originale, quella di un bimbo di cinque anni, nato e cresciuto "in cattività", frutto dei ripetuti stupri subiti dalla madre, segregata ormai da sette anni.
La vicenda, quindi, è interamente raccontata dal piccolo Jack, una scelta narrativa che è la principale responsabile dell'interminabile sequela di lodi ricevute da questo romanzo, che per i suoi fan ha il merito di riprodurre il modo di pensare e di esprimesi di un ragazzino appena cinquenne come nessun altro. Pur non avendo figli ho abbastanza esperienza con bambini di quell'età da poter dire che la Donoghue ha effettivamente fatto un buon lavoro nel ricreare il linguaggio e i pensieri di Jack: le deduzioni sorprendenti affiancate dalle più tenere ingenuità, l'inevitabile testardaggine ed egoismo, i capricci improvvisi e, ammettiamolo, l'occasionale pesantezza sono tutte caratteristiche che ritroviamo facilmente in un ragazzino di quell'età, anche se l'autrice a volte "si distrae" e immagina che il suo protagonista sia in grado di comprendere e gestire concetti come il sarcasmo e la depressione, il che mi è sembrato piuttosto improbabile.
Ammettendo comunque che la scrittrice abbia raggiunto un risultato decisamente sorprendente, viene però da chiedersi se la sua sia stata una scelta felice. Per quanto sia convinta che molti lettori abbiano considerato il piccolo Jack "dolcissimo e carinissimo" sono altrettanto certa che un altro grosso gruppo a lungo andare si sia un po' esasperato nel dover leggere un libro dalle tematiche così complesse attraverso le parole di un bambino dell'asilo. Confesso candidamente di appartenere alla seconda categoria: per quanto abbia trovato il punto di vista di Jack tenero e sorprendente, dopo alcuni capitoli non ho potuto fare a meno di trovarlo un tantino irritante, anche perché il vedere tutto dal suo punto di vista mette un grosso filtro alle emozioni e alle sofferenze della madre che il bambino giustamente può comprendere solo in parte, riuscendo solo a condensarle in un emblematico "Ma' è furiosa".
Quello che si percepisce bene è l'evidente esasperazione della donna, rinchiusa per sette anni in un capanno per gli attrezzi di pochi metri quadri con la sola compagna del figlio che assolutamente non comprende la drammaticità della situazione e perché la madre sia così infelice di vivere nella Stanza. La sua vera sofferenza però, la sua costante paura per se stessa e per il figlio, il suo precario equilibrio psicofisico arrivano solo a tratti e sicuramente il racconto non rende la claustrofobica sensazione che vivere in uno spazio tanto limitato sicuramente comporta (anche se, da questo punto di vista, la mia ansia ringrazia).
Per Jack infatti, che ignora che al di là delle sue quattro mura esiste un mondo vastissimo, vivere nella Stanza non è una sofferenza così grande: è il mondo là fuori che lo terrorizza letteralmente, quando finalmente scopre che ne esiste uno. L'autrice fa sicuramente un lavoro molto migliore nel mostrare le difficoltà del bambino a integrarsi con la realtà una volta liberato, la sua incapacità di comprendere cosa è vero e cosa non lo è, la sua paura di tutto e tutti e la suo rifiuto di staccarsi da una mamma con cui ha praticamente vissuto in simbiosi dalla nascita rispetto a quanto fa per la madre, verso la quale non possiamo avere però che la più profonda stima per la sua capacità di non perdersi d'animo e per i suoi tentativi di far vivere al figlio una vita il più normale possibile.
Tuttavia, l'impressione generale, terminata la lettura, è che quasi ogni aspetto di questa storia sia stato trattato con una certa dose di superficialità, a partire dalla rocambolesca fuga dei due, un po' troppo facile per esser vera e decisamente al di sopra delle capacità di un bimbo problematico come Jack, fino al tempo relativamente breve che madre e figlio impiegano per reinserirsi nella società. A questo riguardo, ho trovato l'atteggiamento degli adulti del romanzo verso i limiti "sociali" di Jack sia incredibile che scioccante; se da un lato è facile capire che Ma', già schiacciata dai suoi problemi, abbia poca pazienza per gestire le idiosincrasie del figlio, il modo in cui tutti gli altri adulti rimangono ciechi o insensibili alle difficoltà del bambino è veramente irritante e incredibile: possibile che nessuno si senta in dovere di dare un paio di spiegazioni in più a questo povero ragazzino ogni volta che si trova di fronte a qualcosa di nuovo, in modo che non sia sempre terrorizzato da tutto?
Emma Donoghue ha sicuramente fatto una scelta originale e per certi versi coraggiosa, ma a tratti mi sono chiesta, un po' polemicamente, se l'autrice non abbia forse optato per la via più facile lasciando che fossero le parole di un bambino di cinque a anni a descrivere una situazione molto complessa dal punto di vista psicologico, giustificando in questo modo un certo grado di semplificazioni e superficialità.
Stanza, letto, armadio, specchio rimane un libro molto accattivante che si finisce facilmente in pochi giorni ma sono decisamente convinta che si potesse fare di più.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Stanza, letto, armadio, specchio
- Titolo originale: Room
- Autore: Emma Donoghue
- Traduttore: Chiara Spallino Rocca
- Editore: Mondadori
- Data di Pubblicazione: 2010
- Collana: Scrittori Italiani e Stranieri
- ISBN-13: 9788804603214
- Pagine: 341
- Formato - Prezzo: Copertina rigida - Euro 19,50