Speciale Bronte: Cime Tempestose di Emily Bronte

Creato il 31 luglio 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
EMILY BRONTË E  “WUTHERING HEIGHTS”
Emily Jane Brontë (1818-1848), l’autrice più interessante ed inquietante della narrativa inglese dell’Ottocento, insieme alla sorella maggiore Charlotte e alla minore Anne forma la più famosa triade di scrittrici sorelle della letteratura di ogni tempo e lingua, che hanno lasciato un’impronta incancellabile nella letteratura inglese. Fu autrice, oltre che di circa duecento poesie, liriche d’acceso romanticismo, talvolta anche melodrammatiche, intense e potentemente visionarie, scaturite in lei dal ripiego ostinato verso un mondo immaginario, spaventata/delusa dal reale (Ancora il mio cuore sfida il mondo/ […] ma ora so che vano è il mio sdegno/il mondo segue e seguirà il suo corso, poesia 115), di un unico romanzo, “Wuthering Heights” ("Cime tempestose"), ma quell'unica straordinaria opera la rese una delle scrittrici più singolari ed inquietanti della narrativa inglese ottocentesca.
Breve fu la sua vita, visse solo trent'anni, quasi tutti trascorsi nel rettorato di Haworth, situato in cima ad un villaggio di poche anime nella contea settentrionale dello Yorkshire. Orfana di madre, insieme alle sorelle e ad un fratello (altre due sorelle erano mancate in tenera età, dopo un infelicissimo episodio scolastico) fu allevata da una zia e dal padre, parroco anglicano di Haworth, secondo i rigidi dettami del calvinismo, in un isolamento non solo fisico, ma anche culturale, dal resto del mondo. Solo due volte Emily si allontanò da quest’ambiente, per un impiego come governante nelle vicinanze del paese natio e per un breve soggiorno a Bruxelles, dov’ era stata mandata con Charlotte ad imparare il francese, eventi che, però, in lei, contrariamente che in sua sorella, non lasciarono alcuna traccia, desiderosa solo di tornare a casa, dalla quale non  riusciva a vivere lontana, ammalandosi di nostalgia ogni volta che se ne distaccava. 


NOSTALGIA DI CASA
Sono stanca del College; vorrei starmene a casa...
Voce pomposa del maestro, odioso schiamazzo di compagni,
sparite!
Io passeggiar vorrei dove mi aggrada
e non tediarmi più con Greco, carta e penna.
Vedere il mio gattino giocare e la mia scimmia,
del mio pappagallo e usignolo la voce amata udire...
Non fa per me l'Inghilterra: così nevosa e fredda,
così diversa dal caldo splendore dell'Africa nera.
Tremo di giorno e batto tutta la notte i denti;
spenta e impaurita sono: una povera larva infelice!
Voglio il mio fratellino, il suo sorriso gentile,
le sue burle ad alleviare tanti giorni di dolore...
Io voglio la mia mamma, dolce cara adorata,
un'anima così grata dove potrò ritrovare?
Oh non c'è qui mio padre, non sento le sue braccia
difesa da ogni pericolo, d’ogni crudezza scudo…
Non sento la sua voce, non vedo più i suoi occhi
sorridere al mio cruccio; da chi potrò volare?
(Trad. S. Raffo) 
Amava, Emily, la sua casetta dall'austera semplicità, il suo villaggio, amava la brughiera che si stendeva per miglia e miglia, odorosa di erica, spazzata dai venti, adorava quel paesaggio dalla bellezza selvaggia, meta quotidiana delle sue lunghe passeggiate, che le offriva quella solitudine (corvo amante della solitudine1 Charlotte definì Emily) in cui la sua ardente immaginazione poteva meglio liberarsi, e molto amava la libertà, soffio della vita, senza la quale si sentiva morire. 
[…]Mia sorella Emily amava la brughiera. Ai suoi occhi, splendevano fiori più luminosi della rosa tra le più cupe distese d’erica; da un piatto avvallamento sul livido fianco di una collina la sua mente traeva un paradiso terrestre. La desolata solitudine nascondeva per lei molte amate gioie, prima fra tutte, la più amata, la libertà. La libertà era il soffio della vita per Emily; priva di libertà, si sentiva morire.…2 
Mia sorella non ebbe per natura un’indole socievole, le circostanze favorirono e alimentarono un’inclinazione alla solitudine: tranne che per andare in chiesa o per fare una passeggiata sulle colline, ella raramente varcava la soglia di casa…quanto la sua mente raccoglieva della realtà che le toccava, si riduceva troppo esclusivamente a quei tragici e terribili caratteri di cui la memoria…è costretta a recare l’impronta. La sua fantasia, che era più tenebrosa che solare, più vigorosa che giocosa, trovò in quei caratteri il materiale da cui trasse creature come Heathcliff, come Earnshaw, come Catherine…
Così Charlotte Brontë nella prefazione ad una riedizione uscita nel 1850, quando Emily era ormai morta, di “Cime tempestose”, pubblicato per la prima volta nel 1847 con lo pseudonimo ermafrodito di Ellis Bell. Ed in effetti non si può pienamente comprendere il romanzo se non si conosce la vita della scrittrice, la sua incapacità di affrontare il mondo, l’appassionato attaccamento alla brughiera che così prepotentemente confluì nel romanzo (…sapeva parlando della brughiera, far soffiare il vento e ruggire il tuono, scrisse Virginia Woolf nel suo saggio “Le donne e la scrittura”), 4 ai campi di eriche (dove soffiava quel crudele vento dell’est che non poco influiva sui polmoni e sul sistema nervoso delle sorelle Brontë), la sua inclinazione alla vita solitaria, il profondo affetto che la legava alla casa, alla famiglia, al cane Keeper, un enorme bulldog, feroce con tutti, mitissimo soltanto con lei, che seguì anche suo il funerale e a lungo, nei giorni successivi alla sua morte, guaì fuori della sua stanza, soprattutto il suo amore per la scrittura
Mentre il vecchio padre orbato e le due figlie sopravvissute seguivano la bara fino alla tomba furono raggiunti da Keeper, il feroce, fedele cane di Emily. Entrò a fianco degli accompagnatori in chiesa e vi rimase quietamente per tutto il tempo del servizio funebre. Tornato a casa andò ad accucciarsi davanti alla porta della camera della padrona e per molti giorni ululò lugubremente.3  
Fin da piccola Emily, alta, dagli occhi grigi azzurri ed i capelli rossi, femminilmente fragile eppure a tratti mascolina, era stata timida e ritrosa, però negli ultimi anni della sua vita si produsse un mutamento per cui si differenziò dalla se stessa di prima, ed il suo comportamento divenne simile a quello dei personaggi descritti nel romanzo, forse per l’acquisita consapevolezza di sé, delle sue idee, del suo talento. Cominciò, così, a staccarsi sempre più dal modo precedente di essere, ad affermarsi, a far valere anche in famiglia la sua personalità, esprimendo in ciò l'atteggiamento tipico dei poeti romantici, che tendevano a tradurre le teorie dei loro scritti in comportamento personale. Sempre secondo Charlotte, addirittura nell’ultimo anno di vita Emily era divenuta sprezzante, sdegnosa, inflessibile, quasi sovrumana, incurante della sua salute, incupita dalla malattia fatale, la tisi, che la stava conducendo verso la tomba, ma non piegata dal pensiero della morte imminente, che quasi cercò, esponendosi al freddo al funerale del fratello Patrick (dalla vita dissoluta, al quale si era ispirata per un personaggio del suo romanzo, Hindley, ubriacone e giocatore sempre in debito), rifiutando, poi, ostinatamente, di curarsi, infine abbandonandosi al male con voluttà.
L’unico romanzo composto da Emily Brontë, “Cime tempestose”, definito da Georges Bataille uno dei più bei libri della letteratura di tutti i tempi [...] forse la più bella, la più profondamente rapinosa storia d'amore, 5 fu subito condannato dalla critica, perché ritenuto immorale per la violenta passione dei protagonisti e per l’implicita denuncia della falsità della società civile, cui si contrappone la vita “selvaggia” ma “naturale” di Wuthering Heights. 
Tormentosa vicenda di solitudine, amore, odio e vendetta, matrimoni sbagliati, gelosie e tradimenti, sullo sfondo delle solitarie brughiere dello Yorkshire, è la storia d'amore più forte della letteratura romantica inglese, straordinariamente elaborata da una ragazza come Emily estremamente riservata e assolutamente ignara dell’amore, ma che, grazie ad un’autentica intuizione poetica, riuscì a descrivere le tumultuose passioni dei suoi personaggi in pagine intensamente emotive e a comunicare al lettore il senso tipicamente romantico del mistero e del soprannaturale, dando corpo poetico ai fantasmi elaborati dalla sua fantasia nei suoi vagabondaggi nella brughiera, alimentati sin dall’infanzia dai racconti del folklore locale della serva Tabby.
Questa, in linee generali, la trama: Heathcliff, un trovatello, viene allevato da Earnshaw, che ha due figli, Hindley e Catherine. Alla sua morte Hindley, che non ha mai accettato la presenza di Heathcliff, considerandolo un intruso, non perde occasione per umiliarlo, ma Heathcliff trova conforto in Catherine, che ha il suo stesso temperamento ardente, e se ne innamora. Rifiutato dalla ragazza, fugge, ma quando ritorna, ricco, dopo tre anni, la trova sposata a Edgar Linton. Heathcliff paga i debiti di gioco di Hindley, rileva Wuthering Heights e, per vendicarsi del tradimento di Catherine sposa, senz’amarla, la sorella di Edgar, Isabelle, che maltratta. Catherine, di nuovo innamorata di Heathcliff, muore di dolore dopo aver dato alla luce una bambina, Cathy. La rabbia di Heathcliff ora si scatena anche contro Hareton, il figlio di Hindley, ormai ridotto in suo potere. Infine anche Heathcliff morirà e i due ragazzi, la figlia di Catherine, Cathy, e Hareton, finalmente potranno vivere insieme felici.


Il titolo del romanzo in inglese, “Wuthering Heights”, denso di elementi gotici come le tempeste, i fantasmi, gli incubi, le maledizioni e le profezie, rimanda sia al tumulto atmosferico cui è sottoposta la casa in cui si svolge la storia, sia alle passioni violente cui soggiacciono i protagonisti. Due i personaggi fondamentali, entrambi dal carattere forte, impetuoso, ribelle, Heathcliff e Catherine, selvaggi, appassionati, legati da un legame morboso e ossessivo, che, come sfondo naturale alle loro passioni, hanno un paesaggio splendido e misterioso, di magica bellezza, tra i più romantici che mai siano stati creati: la brughiera. 


Heathcliff è istintivo, fatale, vendicativo, contraddittorio, in perenne lacerante conflitto tra natura e cultura, amore e odio, divorato dalla passione amorosa, sprezzante della società e della classe alla quale non appartiene e abile sfruttatore che riesce ad impossessarsi delle altrui risorse. Sapientemente disegnato da Emily, tanto da renderlo estremamente affascinante pur nella “diabolicità” (secondo le parole di Charlotte Brontë dalla disposizione perversa per natura, vendicativa e inesorabile), 6 Heathcliff sembra incarnare il principio del male che persevera sul suo cammino incurante di ogni ostacolo, ma verso di lui non si può non provare umana pietà considerando quanto abbia sofferto. In lui la scrittrice intese personificare la violenza naturale della tempesta che tutto travolge e sconvolge, simili la genuina collera dell'uomo e la violenza della natura, perciò non giudicabile sul piano morale. Eroe romantico per antonomasia, dominato dall’amore, dall’odio, dal desiderio di vendetta contro tutto e tutti, ma anche dal desiderio di riscatto sociale e di rivalsa per i torti subiti, in balìa di una demoniaca tirannia ed ignoranza, che forse solo la gentilezza avrebbe potuto umanizzare, soprattutto agitato da un’ardente passione amorosa, il suo spirito pervade l’intero romanzo.
Catherine, mutevole, capricciosa, divisa tra il mondo civile e quello selvaggio, rappresentato da Heathcliff e dalle Higlands, 7 attratta dalla ricchezza e dalla stabilità (espressi da Edgar), ma anche dalla libertà dalle convenzioni, tormentata dal rimorso per aver scelto di abbandonare l’uomo che ama e per il quale, al suo ritorno, muore, si pone ora come donna reale, ora come spettro, comunque sempre completantesi con Heathcliff, l’uno e l’altro legati da un amore intenso, che esclude l’unione sessuale ed è quasi mistico, oltre il tempo e lo spazio, in bisogno d’assoluto, unione appassionata di due individui che, pur conservando la propria identità personale, condividono tutto, due anime che si fondono a tal punto da diventare un’anima sola. I am Heathcliff”, Io sono Heathcliff dirà Catherine che, pur attratta da Edgar, in passione esclusiva, quasi narcisistica, ama Heathcliff intensamente e, forse, anche e solo se stessa, fino alla morte ed oltre.
A che scopo esisterei, se vivessi solo per me stessa? I miei dolori sono stati i dolori di Heathcliff, li ho indovinati e sentiti fin dall’inizio. Il mio pensiero vitale è lui. Se tutto perisse ed egli restasse, continuerei ad esistere; ma se tutto restasse ed egli perisse, il mondo mi diverrebbe estraneo: avrei l’impressione di non vivere più. Invece il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi: il tempo lo trasformerà, come l’inverno trasforma le foglie. Ma il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste e immutabili; invisibili ma indispensabili. Io sono Heathcliff! Egli è stato sempre, sempre nel mio spirito: non come un piacere, come, come non sempre io sono un piacere per me stessa, ma come la mia propria anima. Perciò non si parli di separazione: è impossibile!8
Catherine e Heathcliff si attraggono perché sono simili, entrambi “figli della tempesta”, nelle loro nature vi è una profonda affinità, che essi non sanno nè possono combattere, pena la disarmonia totale e la morte. 
Quando Catherine, ormai legata a Edgar, tenterà con tutte le sue forze di non soggiacere all'irresistibile passione verso Heathcliff, il suo equilibrio sarà talmente turbato da condurla alla morte (perché Chi tradisce il suo stesso cuore si uccide con le sue mani, afferma nel libro la scrittrice), pagando così tragicamente l’errore di aver seguito un capriccio (l’attrazione verso il gentile, tenero e colto Edgar) e non aver assecondato la sua inclinazione naturale: l’amore per Heathcliff. Ma anche Heathcliff soccomberà: la governante Nelly lo troverà morto assiderato nel letto di Catherine, di fronte alla finestra aperta.
La morte: altro elemento costante nel romanzo come fu ben presente in tutta la famiglia Brontë! La mamma morì quando lei aveva due anni, seguirono due sorelle (le due maggiori, Maria ed Elizabeth, che, insieme a Charlotte, erano state mandate in una scuola pubblica così maltenuta da lasciarci la vita, esperienza terribile riportata da Charlotte nell’infanzia di Jane Eyre), poi suo fratello, la stessa Emily, la sorella minore, ed infine Charlotte. 

MORTE CHE COLPISTI QUANDO PIÙ CONFIDAVO
Morte che colpisti quando più confidavo
nella certezza della Felicità a venire,
colpisci ancora, stacca il ramo del Tempo
dalla fresca radice dell'Eterno.
Le foglie, su quel ramo, crescevano radiose,
gonfie di umore e di argentea rugiada;
ogni notte gli uccelli vi cercavan rifugio;
ogni giorno le api sorvolavano i fiori.
La sventura passò e colse la bionda gemma,
la colpa spogliò il fogliame nel suo orgoglio;
ma gentile nel suo alveo trascorreva
il flusso ristoratore della Vita.
Poche lacrime sparsi sulla Gioia svanita,
sul nido vuoto, sulla canzone muta;
lì speranza ridendo mi svincolò dal pianto
sussurrandomi, «Presto avrà fine l'Inverno».
Ed ecco, dieci volte più prodiga la primavera
aggravò il ramo di bellezza;
mentre il vento la pioggia e la calura
profondevan la gloria nel suo secondo maggio.
Alto fìorì; nessun dolore alato lo poteva sfiorare;
il suo splendore spaventava il peccato:
l'Amore e la sua stessa vita sapevano serbarlo
contro ogni torto, ogni influsso maligno fuorché il tuo!
Morte spietata, le giovani fronde languiscono e si piegano!
L’aria gentile della sera potrà ridar la vita...
No: il sole del mattino deride la mia angoscia...
il Tempo per me non dovrà più gemmare!
Abbattilo, perché altri rami possano fiorire
Dove cresceva l’arbusto disseccato,
così che, disfacendosi la sua spoglia alimenti
l’Eternità da cui è germogliato.
(Trad. G. Bompiani)

Emily abitò in una casa desolata, con il cimitero in fondo al giardino. Insieme ai suoi fratelli ne vedeva quotidianamente i simboli, le lapide inclinate lambite solo dal vento dell’est (quel vento che tanto spaventava Charlotte, Mentre spirava di continuo lei, Charlotte, si lamentava del suo effetto: così nella lettera del 1847 di Anne Brontë ad Ellen Nussey), ma la morte per lei non era qualcosa di misterioso o di orrendo, era l’inizio e non la fine, era liberatrice, forse perciò, desiderando accelerare l’incontro, intaccata dalla tisi, infine si lasciò morire.

VEDO INTORNO A ME GRIGI SEPOLCRI 

Vedo intorno a me sepolcri grigi,
lunghe ombre lunghe che lontano.
Sotto le zolle che i miei piedi calpestano
Giacciono in solitudine e silenzio i morti
-Sotto l’erba- sotto il tumulo-nel freddo, sempre, e nell’oscurità-
e i miei occhi versano lacrime
che la memoria serba da anni svaniti,
poiché Tempo e Morte e Dolore mortale
feriscono di ferite insanabili -che io ricordi una parte
appena del dolore visto e provato laggiù
né il cielo- puro e benedetto
ha dato mai pace al mio spirito […]
(Trad. S. Raffo)
Qualche giorno dopo la morte di Emily  così Charlotte scrisse all’amica Elizabeth Gaskell: 

Emily non soffre più di dolore o debolezza, ormai. Non soffrirà mai più in questo mondo. È morta dopo una dura, breve lotta. […]Pensavo che fosse possibile che rimanesse con noi per settimane ancora; e poche ore dopo, era nell'eternità. Sì, non c'è più Emily nel tempo, sulla terra, ormai. Ieri abbiamo deposto quietamente la sua povera spoglia terrena sotto il pavimento della chiesa. Siamo molto calmi. Perché dovrebbe essere altrimenti? L'angoscia di vederla soffrire è passata; lo spettacolo delle pene della morte è finito; il giorno del funerale è alle nostre spalle. Sentiamo che è in pace. Non è più necessario tremare per la dura gelata e per il vento pungente. Emily non li sente. È morta in un periodo pieno di promesse. L'abbiamo vista strappata a noi nel fiore dell'età. Ma è stata la volontà di Dio e il luogo dov'è andata è migliore di quello che ha lasciato. […]9 
All’uscita del romanzo, sempre Charlotte, così commentò:
Ellis (pseudonimo di Emily) ha una mente forte ed originale, ricca di un potere cupo e strano. Quando scrive poesie quel potere si esprime in un linguaggio concentrato, elaborato e raffinato al tempo stesso, ma in prosa erompe in scene che, più che attrarre, traumatizzano.10 
Ma l’originalità dell’autrice era già stata rilevata nel luglio del 1846 dal critico dell’ Athenaeum che aveva recensito le sue poesie ed affermato: 
Un’ispirazione che può ancora trovare un pubblico nel mondo esterno. Quest’ultimo (riferito ad Emily) rivela uno spirito acuto ed originale che può avere da dire cose che gli uomini saranno felici di sentire, ed un’evidente capacità di raggiungere altezze cui nessuno finora è riuscito a salire. 11
Stranezza, violenza, originalità; inizialmente “Wuthering Heights” non ebbe consensi immediati, i critici definirono l’opera perversa, brutale e cupa, ed i lettori ne furono scioccati, ma via via che ne aumentò la comprensione si accrebbero sia il fascino dell’autrice che quello del romanzo, ed anche il cinema ne fu molto attratto, colpito dalla presenza di elementi forti: eros e thanatos, disperazione e vendetta, lo scenario aspro e selvaggio, la furia degli elementi naturali in metaforica rappresentazione della bufera suscitata dalle passioni negli animi degli esseri umani. 
Vita e morte, amore e odio, storie tormentate o impossibili, passioni fatali e aspirazioni ad esistenze normali, disperazioni e vendette, ricerca di purezza, sogni, illusioni, il passato che ritorna allucinatorio in sembianza di fantasma, punizioni crudeli, redenzioni, rinascite, eccesso di sentimenti nella gioia e nel dolore: furono questi, sia in letteratura che a teatro e al cinema, sempre descritti a forti tinte, sovente in sospensione fra romanticismo e spiritualità, i temi del melodramma, il cui elemento costitutivo, come affermato dallo studioso Denis De Rougemont, fu sempre l’impedimento amoroso. E spesso il melodramma cinematografico predilesse la trasposizione di opere letterarie che sostenessero una concezione ultraromantica dell’amore, con storie di autodistruzione dove, in inscindibile binomio, fossero legati eros e thanatos, ambientate in scenari aspri, selvaggi, cupi e primordiali, in cui gli elementi naturali si scatenassero con furia in metaforica rappresentazione delle bufere suscitate dalle passioni umane, per questo non poteva non amare il malinconico e travolgentemente passionale romanzo “Wuthering Heights" di Emily Brontë.
NOTE
1) Curatore Raffo S., “Anne, Charlotte, Emily Brontë, Poesie”, Oscar Mondadori, Milano 2004.
2) Op.cit.
3)E. Gaskell, “La vita di Charlotte Brontë”. 
4)V. Woolf, “Le donne e la scrittura”, Jane Eyre e Cime tempestose.
5)G. Bataille, “ HYPERLINK "http://www.ibs.it/code/9788877106537/bataille-georges/letteratura-male" \t "_blank" La letteratura e il male”.  
6) Op.cit.
7) Regione montuosa bella e scenografica della Scozia.
8) Emily Brontë, “Cime tempestose”.
9) Op.cit.
10) Op.cit.
11) Op.cit.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Spark M., “ Emily Brontë- La vita”, Le Lettere, Firenze 1999.
Curatore Raffo S., Anne, Charlotte, Emily Brontë, Poesie, Oscar Mondadori, Milano 2004.
Brontë E., “Cime tempestose”, Garzanti Libri, Milano 2008.
Brontë E., “Cime tempestose”, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma 2004.
Brontë E., Poesie, Oscar classici Mondadori, Milano 1997.   
Gaskell E., La vita di Charlotte Brontë, La Tartaruga edizioni, Milano 1987.
Childe E. e Pinamonte G. J., L'amore al femminile, Mondadori, Milano 1990.
Woolf V., Le donne e la scrittura, La Tartaruga edizioni, Milano 1981.
Curatore Stella F., “Poesia Straniera Inglese” II parte, La Biblioteca di Repubblica, Firenze 2004.
Cinema dal muto ai giorni nostri, Corriere della Sera, Art Servizi Editoriali, S.r.l. Bologna.

Francesca Santucci

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