Ma chi è Ilaria Catani? Una ragazza abruzzese di ventidue anni, diplomata al liceo scientifico e laureanda in Lettere e Filosofia. È abituata a raccogliere molte idee, lasciarle maturare e, quando sono pronte, farle uscire tutte insieme: la scrittura non è una mansione quotidiana, ma Ilaria ha la capacità di svolgere in una settimana un lavoro che richiederebbe come minimo alcuni mesi. Sicuramente Un ricordo, la storia che l'ha fatta entrare nella cinquina finale del Campiello, trabocca di spunti e suggestioni, ma già dalla trama si capisce che alla base c'è anche una storia di dolore e sofferenza. La protagonista, Gina, è un'anziana signora, rinchiusa in una casa di riposo e isolata da tutti, perché ritenuta pazza. Un giorno, riceve una visita, un suo coetaneo, che ella stenta a riconoscere: è Filippo, il primo, grande amore della sua vita. Ripercorrendo con la memoria l'infanzia di Gina, scopriamo una vicenda fatta di abusi da parte del padre, il quale, per separare la figlia da Filippo, la rinchiude in un ospedale psichiatrico, dicendo poi al ragazzo che Gina ha deciso di prendere i voti. Ma l'amore, si sa, è pieno di risorse e arriverà anche per i due innamorati il momento di rincontrarsi, chiarirsi e, per Filippo, scoprire un'inattesa verità.
Abbiamo fatto qualche domanda a Ilaria, soprattutto per capire meglio com'è nato Un ricordo.
Ilaria, da dove è arrivata l'idea di base per il tuo racconto? È stata casuale, oppure qualcuno o una vicenda in particolare ti ha ispirata?
Come tutte le idee che prendono piede nelle mia mente, anche questo racconto è giunto improvviso, inaspettato. Un momento prima ero tranquillamente impegnata nello sciogliere un cucchiaino di zucchero nel caffè e un momento dopo… pam, tutto diverso! Mi era bastato sentire un brandello di conversazione perché la mia mente venisse letteralmente intasata da scene di violenza. Il caffè non mi andava più, ero letteralmente sbigottita dall’atrocità di cui può farsi protagonista il genere umano. Rimasi impressionata per giorni; di violenze sulle donne ne sentivo tante, purtroppo, ma mai mi sarei aspettata che un padre potesse far rinchiudere una figlia sana, sanissima, in un ospedale psichiatrico! Credo, infatti, che l’aspetto più terrificante di questa storia non si nasconda tanto dietro la violenza, ma più che altro dietro ad un tempo impietoso, che ti lascia ad osservare, inerme, mentre il tuo corpo viene abbandonato dalla giovinezza e da tutte le speranza di vita. «La vita è una» mi ripete spesso mia nonna, ma questo non vale per la scrittura. Ero decisa a dare a questa donna un’altra chance. Si meritava un lieto fine.
Infatti, stiamo parlando di una storia d'amore, ma anche di violenza. Negli ultimi tempi si è sentito parlare spesso di violenza sulle donne da parte, soprattutto, dei loro compagni; tuttavia, anche la violenza di un padre su una figlia è una cosa terribile e purtroppo non si tratta di episodi isolati. Pensi di essere riuscita ad affrontare con la giusta sensibilità questo argomento?
Essendo cresciuta in una famiglia dove d’amore ce n’è a bizzeffe, non so con precisione cosa siano il dolore, l’incomprensione, l’indifferenza. Spero però che la mia sensibilità mi abbia aiutata adeguatamente a rivestire i panni di questi personaggi. Avere a che fare con Gina non è stato semplice; come può sentirsi una ragazzina violentata dal padre? Spaventata, terrorizzata o improvvisamente spavalda, come se ormai nulla nella vita potesse farle paura? Matura, sicuramente. Costretta a crescere in fretta. Cinica. Ma come sarebbe diventata Gina da adulta? Come sarebbe diventata la donna che si affacciava alla vita prima di essere rinchiusa? Isterica e intimidita? Chiusa in se stessa, in un bozzolo protettivo, o forse disinibita? Gina è una ragazza come tante, intelligente, restia al dolore e pronta a innamorarsi, a cui la vita ha solo destinato un fardello più grande, ma le sue spalle minute sono rimaste diritte. Non è impazzita, non è fuggita, non si è fatta schiacciare. È rimasta se stessa; una donna dopo una violenza rimane una donna. Con le sue domande, con le sue paure e speranze. Con la voglia di dimenticare e di continuare a vivere. Filippo è stato un altro discorso: ingenuo, buono e follemente innamorato. Elemento sempre positivo, ma non per questo meno vittima.
Puoi darci qualche anticipazione per il futuro? Nuovi progetti letterari all'orizzonte?
Ho tanti progetti! Alcuni devono essere ancora definiti, altri sono ormai maturi. Ad Aprile ho pubblicato il mio primo romanzo, intitolato Ghevril e i popoli magici. È di genere fantasy, ma pur ambientato in una cornice totalmente immaginaria, ha risvolti che richiamano la quotidianità, perciò confido che piacerà anche a coloro che spesso affermano: «A me i fantasy non piacciono». Spero di continuare su questa stessa strada con almeno altri due romanzi, le avventure di Ghevril quindi continueranno, ma ho anche altre idee in cantiere. Il mio prossimo traguardo sarà scrivere un romanzo storico sul mio paese, Corfinio.
Ho letto che ti piace leggere – e portare con te nei tuoi viaggi in treno – libri di quasi mille pagine. La maggior parte dei lettori fatica ad approcciarsi sistematicamente a opere così lunghe, c'è un motivo per cui tu le prediligi? E c'è un genere particolare che ti intriga di più?
La maggior parte dei lettori evidentemente non legge per passione, altrimenti non si lascerebbe impressionare dal numero delle pagine. In molti, troppi, ignorano le emozioni che un buon libro ti può donare. Quelli che si accostano alla lettura a un’età più matura rimangono in genere stupiti di quanto delle pagine nero su bianco riescano a trasmettere, e di quanto tempo abbiano sprecato senza leggere. «Non lo leggo, tanto ci faranno il film». È una frase ridicola; chi pensa di gustarsi in questo modo tutto il piacere senza la fatica, sbaglia di grosso. Il piacere sta tutto nella carta, tra le virgole e punti interrogativi, tra l’immedesimazione nei personaggi e tra lo spazio che viene lasciato alla fantasia. E questo mi riporta alla prima domanda: prediligo i libri lunghi perché vorrei che una storia non finisse mai.
Per quanto riguarda il genere, invece, non ne ho proprio uno preferito. Mi accosto un po’ a tutti i tipi di letture, anche se, pure dopo otto ore di studio, c’è sempre posto per un fantasy o un romanzo storico.
In questo periodo, leggere è diventato un po’ un’avventura, perché il tempo a mia disposizione non è molto. Tra lo studio, le lezioni e impegni vari, mi ritrovo puntualmente a leggere nei momenti e nei luoghi più impensabili; in piedi ai bordi di un binario, alla fermata dell’autobus, nel bar dell’università. Tutto questo per non rinunciare al piacere della lettura. In questo momento, mi sto dedicando al terzo e al quarto volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin, una piacevole scoperta; ma anche nella lettura, come nella scrittura, sono abbastanza versatile. Gli ultimi libri che ho letto sono stati: Storia delle mie disgrazie di Abelardo, Il tiranno di Valerio Massimo Manfredi e La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini.
E a proposito di letture, c'è qualche autore che è per te fonte di ispirazione? Hai qualche consiglio di lettura da dare ai nostri lettori?
Autori che proprio mi hanno ispirata, forse non ce ne sono. Questo perché l’amore per la scrittura è nato prima di aver affrontato qualsiasi lettura che, in seguito, mi avrebbe saputo rapire. Sicuramente ci sono stati autori che hanno cambiato il mio modo di pensare una storia, che hanno indirettamente trasformato il mio modo di scrivere. La mia giovane mente ha sicuramente registrato il tono scorrevole e diretto della Rowling, facendolo proprio, e sta sicuramente apprezzando il ricco lessico di Martin, che su un milione di parole è in grado di scegliere sempre quella più appropriata, che veste alla perfezione ogni situazione. Il fatto di essermi accostata in principio alla lettura di fantasy, mi ha portato a scrivere un romanzo dello stesso genere, ma questo, come ho già detto, non mi preclude la possibilità di dar vita ad altri tipi di storie. Esempio ne è Un ricordo. Non ho letture da consigliare, ognuno ha i propri gusti. Raccomando però di leggere, leggere e ancora leggere.
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