Un'indagine sul modello di business che continua a crescere su PC, dispositivi mobile e con meno enfasi su console. A quali giocatori si rivolge? Quali sono le sue armi "seduttive"? Quali le tattiche per indurre al pagamento?
Nicolò Pellegatta va matto per il chinotto, i fumetti europei (anche quelli francesi), non sopporta le code. Ha un debole per i videogiochi giapponesi, ma Kojima proprio non gli sta simpatico. Apprezza i giochi di breve durata, ma poi finisce sempre per iniziarne uno da 40 ore! Dissuadetelo su Facebook, Twitter o su Google Plus.
Col digitale è tutto più facile. Estraendo dalla tasca uno di quei cosi chiamati smartphone si può aver sott'occhio le mail dell'ufficio e gli appunti universitari, fare un po' di movimenti bancari e - diavoleria- acquistare in men che non si dica su Amazon un oggetto che ci è appena passato per la testa.
Col digitale i costi sono praticamente nulli. Ci sono delle tendenze in informatica secondo le quali ogni 18-24 si dimezza il costo di un processore e di un hard disk, raddoppia la velocità di connessione nominale. Significa che oggigiorno, considerando un'app da 50 MB, paghiamo veramente poco per farla girare su una frazione del nostro PC oppure condividerla su Internet e magari farcela pubblicare da Apple o Google.
Quando si dice che gli smartphone hanno cambiato il nostro modo di vivere nessuno può dargli torto e in appena 10 anni ci troviamo a fare cose in mobilità che prima nemmeno ci sognavamo. Per esempio giocare, tanto e con titoli dalla grafica in tre dimensioni: su queste pagine vi abbiamo parlato di esperienze magnetiche come Monument Valley, Lara Croft Go e Badland tra le altre, ma come dovreste aver capito semplicemente sbirciando sui "5 pollici" altrui i videogiochi mobile che vanno per la maggiore sono Candy Crush, Minion Rush, Angry Birds, Clash of Clans.
Free-to-play insomma. Ma, ehi, piano con le facili conclusioni: allargare la base di persone che si divertono con i videogiochi non sembra affatto un male ed offrire loro un divertimento disimpegnato può essere un punto di contatto anche piuttosto soft, che magari in futuro si aprirà verso esperienze più corpose. D'altro canto il gratuito è il miglior biglietto da visita per convincere anche i più distanti, poi magari all'aumentare del coinvolgimento si può cominciare a guadagnare, pochi centesimi, uno dopo l'altro: è una tendenza che grazie proprio al digitale ed alle app si farà sempre più largo nei prossimi anni. Accorciando difatti i tempi di acquisto (automatici e spersonalizzati) sarà sempre più facile effettuare acquisti, revocarli, rinnovarli e posticiparli: se WhatsApp con tanta sicumera ci chiede un euro per chattare, vedrai in futuro come ai servizi bancari e assicurativi da base si aggiungeranno servizi extra nel momento del bisogno (tariffe per l'estero, auto in panne...).
Chi paga nei free-to-play? Scopriamolo insieme...
Nei videogiochi, però, è tutto più difficile. Pensate sopratutto ai titoli multiplayer free-to-play: in questo caso sia chi paga che chi non paga devono avere le stesse chance di vincere, devono cioè mostrare un'abilità paragonabile. Chi paga lo fa anche per ergersi al livello dei giocatori più forti, la bravura degli sviluppatori sta nel non eccedere il limite invisibile tra eguale abilità e frustrazione. I giocatori di World of Tanks dicono che ormai dopo svariati anni di bilanciamento i bielorussi di Wargaming abbiano individuato proprio quella barriera: un novizio può fare carte false per comprare dei proiettili più performanti, ma poi in battaglia dovrà comunque prendere la mira con il suo occhio e gestire la sfida con le proprie conoscenze. Piuttosto un veterano che paga e sa fare buon uso dei bonus a pagamento può fare veramente male...
Altri free-to-play, sopratutto multiplayer, invece evitano di impegnarsi nel fine-tuning del gameplay per proporre l'acquisto di costumi per i personaggi/campioni, skin per i diversi livelli/schemi ed in generale salva-vita per poter avere una chance in più. Sono scappatoie che hanno poco influenza sul gameplay, ma invero funzionano e raggiungono una minoranza di giocatori che si dimostrano ben disposti a pagare per un costume bavarese: sembra scatti un meccanismo di ricompensa dell'impegno degli sviluppatori, da "ricompensare" pagando per qualche cotillon di contorno. Ma questa è beneficenza o un modello di business?
Da alcuni anni tampino le persone chiedendo ora perché pagano di tasca propria oggetti inutili e pure immateriali all'interno di giochi gratuiti da scaricare, ora perché rifiutano di pagare per rimuovere la fortuna dalle variabili di uno schema in Candy Crush. Con la scusa di dovermi laureare prima o poi ho esteso queste sommarie domande prima a 7 ignari intervistati, che mi hanno raccontato vita morte e miracoli del loro gioco su smartphone: alcuni erano già giocatori appassionati, altri lo sono diventati di recente (uno era appassionato di carri-armati...), altri ancora sono proprio contrari con gli acquisti in-app e vogliono subito la versione premium, altri (altre...) i videogiochi prima proprio non li calcolavano e senza i free-to-play mai si sarebbero avvicinati a questo mondo (ma poi giocano a Minion Rush) e ritengono i videogiochi qualcosa per cui assolutamente non vale la pena pagare.
Avete viste quante casistiche in appena 7 ragazzotti? Voi in quale vi rispecchiate? Siete tra quelli che "pagare per un videogioco gratuito proprio no" oppure "massì, se proprio non riesco a superare questo livello 1 euro glieli do"?
Potete dirmelo compilando il questionario che trovate di seguito. Cliccate qui per compilarlo seduta stante (su PC o Smartphone) oppure scansionate il QR code per una roba più smart e tecnologica. I risultati verranno pubblicati su queste pagine, dopo aver estrapolato i dati. Vi ruberà tra i 5 e 10 minuti del vostro tempo, che secondo me sottrarreste volentieri ai pranzi festivi con i parenti. Aiuterete questa povera persona a rispondere alla domanda numero 2 del momento...
La numero 1 è [SPOILER] come ci è arrivato il Millenium Falcon su Jakku?
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