Pubblicato il 25 settembre 2012 con Nessun Commento
Sogno e realtà nell’ultimo film di Matteo Garrone dal titolo Reality. Dopo Gomorra per il regista romano era arrivato il momento di misurarsi con una commedia: “Volevo fare un film diverso, cambiare registro, levarmi di dosso il peso di Gomorra, ritrovare il piacere del divertimento”. Il film racconta la storia di Luciano, un pescivendolo napoletano, che un giorno, spinto dai familiari, partecipa ad un provino per entrare nella casa più famosa d’Italia, quella del Grande Fratello, da quel momento la sua percezione della realtà sarà distorta, trasfigurata. Tutt’intorno una Napoli colorata e chiassosa, fatta di eccessi e stenti, nella quale il paesaggio culturale e i personaggi si fondono donando allo spettatore una percezione di magico realismo.
Una storia nata da un’idea semplice, che svela con amarezza le trappole del sistema dell’apparire, di quella macchina tritacarne che dispensa sogni, del labile equilibrio tra realtà e immaginazione.
La frase chiave: “Never give up – Mai mollare i sogni”
La recensione
Di fronte ad un genio cinematografico come Matteo Garrone è lecito aspettarsi di tutto. Ci ha incantato e colpiti con due opere inusuali e rarefatte come L’Imbalsamatore e Primo Amore, e l’avevamo lasciato con un capolavoro, quasi, assoluto come Gomorra: una pellicola talmente potente da essere in grado di oscurare nella sua perfetta composizione e autonomia il celebre e forse troppo pubblicizzato romanzo di Roberto Saviano.
A ben vedere da un romanzo del genere sembrava pressoché impossibile riuscire a trarne un film della tenuta di due ore e magnificamente orchestrato, ma Garrone, forte forse di una sua purezza scevra dalle regole di marketing e del box office, ci è riuscito alla grande.
Si attendeva quindi con molta aspettativa il nuovo film del regista romano, sia perché dopo un capolavoro è lecito aspettarsi sempre di più, sia perché il tema del reality rimane comunque argomento di discussione continua.
Con soddisfazione possiamo dire che Garrone ha centrato nuovamente l’obiettivo, sfornando una pellicola che, se apparentemente traccia un percorso diametralmente opposto a quello di Gomorra, in realtà non fa che amplificare il senso d’ipertrofismo narrativo e visivo, tipico di un autore oramai consolidato.
Croce e delizia dei nostri tempi culturali, il format del Reality show è divenuto oggetto dei più svariati studi e delle più ardite, quanto spesso, ridicole dissertazioni pseudo colte. Non si può non tener presente l’impatto che questo ha avuto sul cinema, sia sotto un profilo artistico (concorrenti divenuti attori), sia sotto quello prettamente ritmico: tempi sempre più stringati, esaltazione dell’attimo e del futile, sensazionalismo voluto e non naturale.
Garrone decide saggiamente di raccontare il reality come fosse una fiaba, colorata e multiforme, dove tutto sembra accadere per magia e i personaggi non sono altro che delle pedine in mano a qualcosa di più grande di loro. Stavolta i connotati diventano dark e malefici, molto più che in Gomorra o nell’Imbalsamatore, anche perché non c’è nulla di più oscuro delle creazioni del tubo catodico. Come in tutte le fiabe di matrice classica, anche Reality ha un suo protagonista che si trova immerso in una serie di vicende paradossali cui pero egli stesso sembra smanioso di farne parte, in primis il desiderio spasmodico di far parte del Grande Fratello, e su cui la macchina da presa si scaglia violenta e claustrofobica, quasi volesse rubargli l’anima.
Il resto è un tripudio bello e smagliante di kitsch e grottesco, dove il comune senso del pudore sembra spesso mancare ma che rimane puro piacere visivo per lo spettatore, che capisce alla fine come l’intento del regista non è quello di mostrare un classico apologo moraleggiante ma di compiere una sterzata violenta e profondamente sociologica sulla débâcle culturale in cui è immerso il nostro paese. Coadiuvato da attori magnifici e “puri”, non si possono non menzionare le musiche del bravo Alexandre Desplat e soprattutto la smagliante fotografia del compianto Marco Onorato, perché anche se prettamente tecnici, questi reparti amplificano e sorreggono la grandezza del film.
A cura di Katya Marletta e Gabriele Marcello