Northanger Abbey è considerato uno dei romanzi minori di Jane Austen. Ebbene, dichiaro subito che non sono d’accordo con questa valutazione. Sin dalla prima volta che l’ho letto l’ho trovato divertente.Divertente, sì. Avete letto bene, non sentimentale o intimo. In questo romanzo, lo spirito della Austen è caustico, graffiante persino, e regala attraverso la storia di una ragazza e della sua “educazione sentimentale” una critica sociale e di costume che è senza pari nelle sue altre opere.La protagonista, Catherine, ha i sogni, le idee confuse e lo sguardo velato dall’ottimismo senza patemi, tipico degli adolescenti di ogni epoca; di contro, gli altri personaggi rappresentano degli archetipi concreti, dei caratteri umani che ognuno di noi ha incontrato nella propria vita: l’amica opportunista, la compagna fedele e sincera, la madre invadente, l’amica di famiglia parvenu, e infine il grande amore della vita, saldo e forte ma non per questo meno appassionato e memorabile. Ognuno di queste figure scaverà la personalità di Catherine fino a spogliarla dai sogni infantili di complotti metafisici per trasformarla in una giovane donna assennata e matura. Questo avviene senza traumi o dolori inconsolabili ma con una serie di passaggi graduali.In questo senso, si può dire che Northanger Abbey è anche un romanzo di formazione, per quanto atipico possa apparire. Se si guarda al di là dell’ironia e della satira sociale, la Austen descrive la crescita di Catherine e il suo passaggio all’età adulta con una forza tale da impressionare il lettore. Questo si nota attraverso il mutamento dello stile, che nell’ultima parte del romanzo diventa meno frizzante per trasformarsi in un flusso maturo, ma non per questo noioso. È un romanzo che può esser letto su diversi piani e con diverse chiavi di lettura: satira di costume, satira letteraria, romanzo di formazione e infine, forse, romanzo d’amore.
Catherine è la primogenita di una famiglia della piccola borghesia terriera; i suoi familiari sono terribilmente prosaici, la sua vita piatta, i suoi vicini, gente ordinaria. Per spezzare questa monotonia, la ragazza si rifugia nella lettura dei romanzi gotici tanto in auge in quel periodo: lei per prima “sa” di essere un’eroina, sebbene le sue origini e la sua vita siano quanto di più lontano dall’idea di eroina gotica. Non ha ancora lasciato alle spalle la sua adolescenza ma nello stesso tempo, aspira a essere qualcosa di più e di diverso. Ecco come l’Autrice parla della sua eroina: “Nessuno che avesse conosciuto Catherine Moreland nella sua prima infanzia avrebbe mai supposto che il suo destino sarebbe stato quello di essere un’eroina. Tutto era contro di lei: la posizione sociale, il carattere del padre e della madre, il suo aspetto fisico e persino le sue inclinazioni. (…) Al presente tuttavia non era consapevole della sua miseria, dal momento che non aveva un innamorato da ritrarre. Aveva raggiunto l’età di diciassette anni senza aver visto alcun amabile giovanotto che avesse attratto la sua sensibilità, senza aver ispirato alcuna vera passione, e persino senza aver suscitato alcun sentimento di ammirazione che non fosse assai moderato e transitorio. Che cosa strana! Ma le cose strane si possono ben spiegare quando se ne cerchi attentamente la causa. Non c’era alcun lord nel vicinato, e neppure un baronetto. Non c’era nessuna famiglia tra le loro conoscenze che avesse raccolto e allevato un bambino accidentalmente trovato sulla porta – non c’era anzi, alcun giovanotto le cui origini fossero ignote. Suo padre non aveva pupilli e lo squire della parrocchia non aveva figli.Ma quando una giovane donna è nata per diventare un’eroina, la pervicacia di quaranta famiglie del circondario non glielo impedirà.”Già da questo passo tratto dal primo capitolo, si nota come in questo primo romanzo di Jane Austen, scritto nel 1803 ma pubblicato nel 1811, l’Autrice è assai più tagliente e ironica di quanto non sia nei suoi altri romanzi. In quel periodo, imperava, anzi, impazzava la moda dei romanzi gotici di cui Ann Radcliffe era la maggiore autrice. Jane Austen, invece, descriveva in modo preciso il quotidiano di quella gentry cui lei stessa apparteneva: non per nulla è considerata la più importante autrice di domestic novels, quei romanzi che descrivono il quotidiano e che, ovviamente poco o nulla avevano a che fare con le atmosfere tetre e raccapriccianti dei “Misteri di Udolpho” o “The Monk”.
A strappare Catherine dalla sua noiosa esistenza arriva l’invito di un’amica di famiglia, Mrs Allen, che porta Catherine con sé a Bath. La città termale viene descritta in modo spietato, privata dal quella patina di charme a cui noi lettrici moderne siamo state abituate dai romance. Un esempio? Il ballo che si svolge nelle Upper Rooms: è caotico e affollato, la ragazza passa del tutto inosservata e si trova a far tappezzeria in perfetta solitudine. Il soggiorno diviene assai più interessante quando entrano in scena dei personaggi che cambieranno per sempre la vita di Catherine: Isabella Thorpe e Henry ed Eleanor Tilney. Jane Austen ha avuto una maestria straordinaria nel tratteggiare le due figure amiche di Catherine: sono costruite per antitesi, l’una rispetto all’altra. Tanto Isabella è charmante e socievole, tanto Eleanor Tilney appare riservata e silenziosa, persino opaca.Nel corso della vicenda, Isabella svela il suo vero carattere: dietro tutto il suo fascino si cela una giovane donna arrivista, piena di sé. Un’amica inaffidabile, in una parola, che delude Catherine, costringendola ad aprire gli occhi su quelle che erano state le reali intenzioni e il fondamento della loro amicizia e riservandole la prima vera, grande delusione della sua vita. Isabella si era legata sentimentalmente al fratello di Catherine, James, ritenendolo un ricco possidente, ma lo abbandona per il fratello maggiore di Eleanor, il capitano Tilney… salvo essere abbandonata a sua volta dall'ufficiale, un donnaiolo privo di scrupoli.D’altra parte, Eleanor, così impeccabile da sembrare algida, si rivela affidabile e dotata non solo di buone maniere ma di una grande sensibilità, coerenza e dolcezza.Il personaggio che attira maggiormente l’attenzione di Catherine, però, è Henry Tilney. Fratello minore di Eleanor e del capitano, viene presentato dalla Austen come un giovane uomo, che parla di mussola e di economia domestica senza però risultare poco credibile o effeminato. È la perfetta incarnazione di eroe beta: sicuro di sé ma non spaccone, dotato del fascino rassicurante del quotidiano, della solidità e del buon senso.Vediamo un po’ come Jane Austen lo presenta: “Fecero (Catherine e Mrs Allen, ndr.) la loro apparizione alle Lower Rooms e qui la nostra eroina ebbe miglio fortuna. Il maestro delle cerimonie le presentò infatti un giovane gentiluomo il cui nome era Tilney, perché le facesse da cavaliere. Sembrava avere all’incirca ventiquattro o venticinque anni, era abbastanza alto e piacevole di modi, aveva lo sguardo vivace e intelligente e, se non era proprio bello, c’era abbastanza vicino.”A differenza di Mr Darcy, Henry Tilney non è altero, né particolarmente ricco: è un giovane attento, arguto, dotato di uno spirito tagliente che in più di un’occasione mette in difficoltà l’ingenua Catherine. “Il giovane parlò fluentemente e con spirito e nei suoi modi c’erano una malizia e un’arguzia che la incuriosirono sebbene non le capisse del tutto.”Tra il signor Tilney e la signorina Moreland s’instaura un legame che non è sentimentale quanto piuttosto intellettuale. Il giovane tiene con lei un atteggiamento che a prima vista sembra frutto di condiscendenza ma che solo a una seconda, più attenta occhiata si qualifica come tensione affettiva. Lui è incuriosito da quella figura così fresca e ingenua, eppure così vitale. D’altra parte, Henry non può non prendere in giro la mania di Catherine di cercare misteri e maledizioni in ogni dove, visto che questa causa alla ragazza delle memorabili figuracce.
Il finale è un happy end in cui si assiste, più che al trionfo dell’amore, al trionfo della maturità. Catherine e Henry si sposano contro la volontà del generale e finalmente la giovane, ormai divenuta una donna, capisce qual è ciò che davvero conta per lei: “Incamminarsi sulla via della perfetta felicità a ventisei e diciotto anni è cosa piuttosto positiva e professandomi in più convinta che le ingiuste interferenze del generale, lungi dall’essere dannose alla loro felicità, furono forse piuttosto favorevoli a essa, contribuendo a migliorare la loro conoscenza reciproca e aggiungendo forza al loro attaccamento, lascio da stabilire da parte di chi possa essere interessato, se la tendenza di quest’opera sia a raccomandare la tirannia dei genitori o a ricompensare la disobbedienza dei figli."
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