Per il vicedirettore de La Repubblica Massimo Giannini “Quello che nasce dalle macerie del berlusconismo è un buon governo del Presidente. La sua qualità tecnica è da elogiare. La sua intensità politica è da dimostrare. Ma se l’Italia ha ancora una chance per salvarsi, quella si chiama Mario Monti. La formula migliore, per definire il suo esecutivo, la conia lui stesso. “Un governo innovativo”: così dice il presidente del Consiglio. Il nuovo governo che ha giurato ieri nelle mani del Capo dello Stato nasce effettivamente nel segno di una forte discontinuità. Per almeno tre motivi. Il primo motivo: un governo formato interamente da tecnici non ha precedenti nella storia repubblicana. […] Il secondo motivo è il rilievo che, nel nuovo governo, avrà l’economia. Il presidente del Consiglio, come previsto, tiene l’interim del Tesoro. Toccherà a lui il lavoro più duro: scrivere un’”agenda Monti” per il rientro dal debito pubblico. Ma al suo fianco, con un ruolo da superministro dello Sviluppo, che assomma anche le deleghe delle Infrastrutture e dei Trasporti, ci sarà Corrado Passera. All’ex banchiere di Intesa, in sostanza, spetterà l’altro compito speculare a quello del premier: mentre Monti si occuperà delle misure di risanamento dei conti, Passera si occuperà delle misure di sostegno alla crescita. È una scelta che indica fin da ora la priorità e l’emergenza che il nuovo governo si prepara ad affrontare. E anche questo fa giustizia delle sguaiate polemiche sulle “congiure giudo-pluto-massoniche” del “direttorio franco-tedesco” e sul “governo dei banchieri”. Una critica stupida, autarchica e provinciale, che alligna non solo in certe aree più radicali della sinistra, ma soprattutto in certe nicchie della destra sconfitta e sedicente “liberale”. Come se Tremonti fosse stato meglio di Passera. Come se al Tesoro, nelle condizioni politiche attuali, potesse andare Nichi Vendola. Oppure, sul fronte opposto: come se fosse stato “liberale” il gigantesco conflitto di interessi di Berlusconi. O come se il tanto lodato Gianni Letta non fosse a sua volta advisor della “Spectre” della Goldman Sachs, esattamente come Monti. Il terzo motivo è la presenza femminile. Tre donne sono poche, rispetto a diciassette incarichi ministeriali. Ma la Cancellieri, la Severino e la Fornero vanno ad occupare ministeri-chiave, come gli Interni, la Giustizia e il Welfare. […] Il governo Monti, dunque, può prendere il largo. È un governo allo stesso tempo forte e fragile. È forte della sua autonomia e delle sue competenze. E questa è una garanzia al cospetto delle cancellerie europee (che hanno già dato al premier un riscontro più che positivo) e dei mercati finanziari (che speriamo gli concedano nelle prossime ore una tangibile “apertura di credito”). Ma è anche fragile, per ragioni uguali e contrarie. I partiti (ad eccezione della Lega) lo sorreggono dall’esterno ma non lo innervano dall’interno”. Inoltre Giannini sottolinea che “a questa soluzione, qui ed ora, non c’è alternativa. Dobbiamo sapere che il governo del Professore non è neanche lontanamente paragonabile al governo del Cavaliere. E dobbiamo sapere che, se fallisse anche questo tentativo di traghettare il Paese fuori dalla tempesta, oltre al default politico ci toccherebbe anche quello economico. Resta un’incognita, insita nella natura e nella cultura del governo appena nato. Nonostante la qualità indiscutibile delle persone che lo compongono (o forse proprio in ragione di questa qualità), questo è un “governo delle élite”. Rettori e banchieri, giuristi e avvocati, prefetti e professori. C’è da chiedersi se questo “corpo” selezionato della migliore élite nazionale saprà dare voce e rappresentanza anche alla “gente normale”. Obiettivamente (e fortunatamente) il governo Monti è l’esatto contrario del governo Berlusconi. Da tutti i punti di vista. Compreso questo: che il primo, a differenza del secondo, nasce senza popolo. La sfida di Monti, proiettata sulla primavera del 2013, sta tutta qui. Deve riempire di politica il vuoto che può aprirsi tra una nuova oligarchia tecnicista e la vecchia autocrazia populista. Deve conquistarsi, voto per voto, il sostegno parlamentare. Ma soprattutto deve costruirsi, legge per legge, il consenso popolare”.
I quotidiani filo-berlusconiani vanno all’attacco del nuovo Governo Monti. In particolare il Giornale apre con “I nuovi padroni. Governo di larga (banca) Intesa” con un riferimento esplicito all’ingresso di Corrado Passera che cambia lo scenario: infatti, come scrive il direttore Alessandro Sallusti, “Il 25 luglio (data emblematica) scorso il Giornale titolava così la prima pagina: «La trappola dei banchieri». Sottotitolo: «Contro Berlusconi, De Benedetti, Bazoli, Prodi e Passera sponsorizzano un governo Monti ». Ricordo che il mattino successivo da Banca Intesa arrivò una secca e sdegnata smentita: ma che cosa vi inventate, noi siamo una banca non facciamo politica. Ovviamente nessun giornale riprese la notizia, il farlo avrebbe disturbato il piano. Che da ieri si arricchisce di un tassello fondamentale: l’ingresso al governo di Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa. Ce la potranno raccontare in mille modi, ma nessuno riuscirà a convincerci che il primo banchiere d’Italia, con un reddito che ha anche superato i sei milioni l’anno, molli tutto per andare a fare qualche mese (al massimo 16) il ministro a 150mila euro l’anno. Va bene lo spirito di servizio, va bene salvare la Patria in difficoltà, va bene essere sobri, ma qui nessuno è fesso. Usciamo di metafora. Corrado Passera in cuor suo e non solo suo, punta diritto a essere il prossimo presidente del Consiglio, magari in coincidenza con il passaggio di Mario Monti al Quirinale (i tempi delle due elezioni coincidono)”.
Su La Stampa Mario Calabresi afferma che ieri, al giuramento della nuova squadra di Governo al Quirinale, è andata in onda “la fine della politica spettacolo: nessuno dei presenti era un personaggio già reso famoso dalla televisione, noto per una litigata, per le sue battute o per gesti eclatanti. Per scoprire chi sono questi ministri bisogna andare a spulciare i curriculum o cercare negli archivi. E questa è già una rivoluzione. Naturalmente ogni stagione ha la sua rappresentazione e in tempi di crisi è indicato mostrarsi sobri e asciutti. Ma, al di là dell’immagine, la sensazione positiva che offre il governo Monti si lega a quattro parole: credibilità, crescita, coesione e ricerca”. Per Calabresi “Abbiamo bisogno di guardare avanti, di scommettere sulle energie delle nuove generazioni, di dare una possibilità qui a chi fino a oggi ha preferito emigrare. Ci sarebbe ora da ragionare sul quadro politico e sulla possibilità che questo governo possa procedere spedito in un Parlamento che è lo stesso della settimana scorsa, così si potrebbe essere tentati dal pessimismo, ma di fronte a qualcosa che nasce si ha l’obbligo di sperare. Intanto non possiamo che registrare con stupore l’energia di un Capo dello Stato che ha impresso una tale spinta da essere riuscito a garantire all’Italia un nuovo governo in meno di una settimana. Ora che il governo c’è, il premier non sottovaluti l’attesa degli italiani per un segnale forte e chiaro: i primi tagli devono essere indirizzati verso le spese e i privilegi della politica, esempio virtuoso che renderebbe accettabile tutto il resto”.
Per Francesco Merlo cala il sipario sui talk show: infatti, come scrive su La Repubblica, “Forse si farà un talk show sulla morte del talk show ma è sicuro che Mario Monti non andrà a cucinare il risotto da Bruno Vespa, che l’ammiraglio Giampaolo Di Paola non frequenterà ‘Servizio Pubblico’ di Santoro per litigare in diretta con i pacifisti e che la signora Anna Maria Cancellieri non chiederà a Fabio Fazio di recitare anche lei, per par condicio, il suo bravo elenco. E non è solo un problema di buona educazione, di un altro stile, di una diversa antropologia. I nuovi ministri sono funzioni e non carriere politiche, sono capacità e competenze tecniche e non casacche, sono gatti che devono solo acchiappare il topo e dunque non hanno colore. E si capiva benissimo ieri quando Monti ha presentato il governo e ha risposto alle domande con lunghe frasi molto corrette ma evasive, immobile, le mani bianche bianche, senza alcuna emozione, mai niente fuori posto, una funzione appunto quasi incorporea. Il governo del Presidente cala dunque il sipario sull’era del dibattito pulp. Perde di interesse il confronto-scontro tra Alfano e Bersani e non solo perché entrambi i segretari appoggiano Monti ma perché, pur mantenendo i loro importanti ruoli, hanno perso la vetrina ed è probabile che diventino persino cerimoniosi. Sicuramente vanno nell’ archivio delle memorie d’epoca i <dovresti vergognarti> e <i mi consenta>, i vaffanculo, quello di La Russa e quello di Vendola, le urla di Rotondi, gli strepiti della Santanché, il <vada a farsi fottere> di D’Alema. Finisce lo spettacolo di sbranamento e calci in bocca che più di tutto ha convinto gli italiani di essere migliori dei loro rappresentanti politici e ha legittimato lo stesso ricorso ai tecnici”. Merlo inoltre aggiunge che “Escono dunque dalla scena della televisione italiana, insieme a Berlusconi, grande regista della comunicazione truccata e al tempo stesso sbracata, le telefonate in diretta contro <le cosiddette signore>, l’invito a Iva Zanicchi di lasciare subito lo studio, e diventano duri i tempi non solo per i presenzialisti come Di Pietro, Cicchitto, Gasparri, Gelmini, Casini, Polverini…, convinti che la loro importanza politica si misuri in minutaggio televisivo, ma anche per i conduttori che perdendo i loro campioni esaltati non avranno più la garanzia dello share, dell’audience, dell’ascolto. Hanno costruito la loro fortuna con le esibizioni dei gladiatori realizzando spettacoli indimenticabili di pop politico, e basta ricordare il dialogo stralunato tra la Santanché e Celentano. Ma adesso, non potendo più ricorrere ai paroloni e alle parolacce di Brunetta e alle rispostacce della Bindi, i bravissimi colleghi potrebbero finalmente dimostrarci che si può fare giornalismo politico anche senza eccitare con il forcone il divo, il mezzodivo o la mezzacalzetta. E potrebbero dunque farci vedere, magari solo per un po’, quei bellissimi programmi che certamente sanno fare e che tante volte hanno promesso”. Conclude Merlo: “Certo, ci sono almeno due rischi. Il primo è che possa sparire non solo lo show ma anche il talk. E’ ovvio che i tecnici si chiudano nella gravitas, in un impegno che è serio e che non consente chiacchiere. Debbono realizzare risultati senza tenere calda la piazza, senza rendere conto alla propria tifoseria. L’afasia naturale di un esecutivo che ha poco da dire e molto da fare potrebbe diventare mancanza di trasparenza con i cittadini ridotti come i parenti che aspettano fuori dalla sala operatoria. Arriverà il referto. Prima, solo bollettini sanitari, solo comunicati. Poi c’è un altro pericolo. Tecnici, saggi, professori, esperti: la politica e’ un’ infezione che in Italia ha sempre contagiato tutti. Giulio Tremonti per esempio era un tecnico, eletto nelle liste del Patto Segni cominciò a trasformarsi in un politico. Altri come Antonio Martino e Giuliano Urbani subirono l’ operazione chirurgica sui divani di Montecitorio, come era già capitato del resto a Bruno Visentini e a Giuliano Amato, allo stesso Giovanni Spadolini, a Giuliano Vassalli, a Guido Carli, a Carlo Azeglio Ciampi, e persino a Francesco De Lorenzo, medico e professore illustre che fu, come si dice, prestato alla politica, divenne ministro della Sanità e Dio sa se fu un errore. Ma in fondo la televisione servirà anche a questo: a mettere a dura prova le eventuali fragilità di questi tecnici, perché <la vanità - dice Al Pacino – è il mio peccato preferito>. Indimenticabile fu Lamberto Dini che non solo sbarcò in tv, ma portò pure la sua signora”.