Oggi Michele Brambilla sul quotidiano La Stampa ripercorre la parabola "mediatica" di Berlusconi, dal celebre discorso della discesa in campo nel 1994 all'ultimo videomessaggio di "ringraziamento finale": "Forse un giorno faranno un film su Berlusconi che si aprirà con "l'Italia è il Paese che amo" del 1994 e si chiuderà con il mesto "cari concittadini" delle sette di ieri sera. Tra i due videomessaggi sembra essere contenuta l'intera parabola dell'uomo che più di ogni altro ha segnato quella che passerà alla storia come Seconda Repubblica. Non ci sono solo i diciassette anni di differenza - e quanto si vedeva ieri, sul viso del Cavaliere il tempo trascorso - a segnare l'inizio e la fine di un ciclo. Perfino lo sfondo lo denuncia: allora un ambiente domestico stava a indicare l'uomo della società civile che annunciava agli italiani di scendere in campo; ieri l'uomo che parla invece dal Palazzo del governo nelle ultime ore della sua permanenza. Allora la finta libreria, le foto di famiglia rivolte verso le telecamere, la calza di nylon sull'obiettivo per dare l'impressione di un ambiente rassicurante; ieri le due bandiere dell'Italia e dell'Europa a dare il segno delle istituzioni. E poi le parole: tutte rivolte verso il futuro quelle di allora: vi prometto, faremo, un nuovo miracolo italiano. E quasi tutte rivolte verso il passato quelle di ieri: il nostro governo ha fatto, sono orgoglioso del lavoro svolto. Ieri sera come nel 1994, resta identico lo spessore del grande comunicatore. Qualcuno ha commentato, vedendo il video fatto trasmettere dai tg, che un Berlusconi così è ancora capace di stupire. Magari non di rivincere le elezioni, ma sicuramente di stupire. [...] Di certo quello di ieri è il videomessaggio di un uomo che appare più triste che arrabbiato. Proprio lui ha usato quella parola, "triste". "È stato triste - ha detto - vedere che un gesto responsabile e generoso sia stato accolto di fischi". Sul nuovo governo, poi, non ha posto paletti: "Siamo pronti a favorire gli sforzi del Presidente della Repubblica per dare al Paese un governo autorevole. Siamo pronti a fare il nostro dovere". Ha insistito sulla necessità di mettersi alle spalle una stagione di divisioni, di odi, di rancori: "Dobbiamo uniti far fronte alla crisi". La voce a un certo punto si è incrinata e Berlusconi è parso sinceramente commosso, sicuramente molto provato. La contestazione dell'altra sera ha lasciato il segno. Uomo che non si accontenta di comandare ma che vuole essere pure amato dai suoi comandati, Berlusconi ha passato la giornata di ieri sempre chiuso nella sua residenza romana di Palazzo Grazioli, nella speranza di ricevere più affetto che buone notizie politiche. [...] Nel videomessaggio di ieri, ha voluto fare un raffronto con quello del 1994 e ha ringraziato quanti lo hanno sostenuto in questi diciassette anni. È parso un ringraziamento finale. Con il videomessaggio di ieri, Berlusconi ha dimostrato di essere ancora un grande comunicatore. Ma non può sfuggire che il suo blitz a reti unificate, tanto temuto dal fronte antiberlusconiano, è in pochi attimi diventato solo la terza notizia sul web e in tv, preceduta da due altri videodiscorsi: quello del presidente incaricato Mario Monti e quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il primattore non è più lui, se non altro perché tutto cambia, prima o poi".
Su La Repubblica il direttore Ezio Mauro racconta, nel suo editoriale, " Il governo del Presidente " Napolitano: "Nasce il governo del riscatto e dell'equità, per uscire dall'emergenza e recuperare la fiducia dei mercati, dell'Europa, dei cittadini. È l'impegno che si sono scambiati ieri Giorgio Napolitano e Mario Monti, nel momento in cui il Capo dello Stato - condotte a tempo di record le consultazioni - ha affidato al professore l'incarico di formare il governo che guiderà l'Italia nel dopo-Berlusconi. La crisi preme ma tono e forma ieri al Quirinale hanno segnato un cambio d'epoca, non solo di governo. Nessun sorriso, molta preoccupazione: ma anche la convinzione che l'Italia possa farcela, e il ritorno a concetti come "dignità", "scrupolo", "servizio", soprattutto "responsabilità" e "bene comune". Cambiano i protagonisti cambia il lessico e il contesto, con una svolta culturale e concettuale, dunque politica, che non poteva essere più netta. È un governo del Presidente, il ministero Monti, perché il Capo dello Stato ha cercato in tutti i modi di evitare il vuoto politico di una campagna elettorale in un Paese che da oggi ad aprile - come ha ricordato ieri - dovrà ricollocare sul mercato 200 miliardi di buoni del Tesoro che andranno in scadenza: e per farlo ha voluto affidarsi a un uomo fuori dalla mischia, la cui competenza è nota a tutta l'Europa. Ma è un governo che nasce nel pieno rispetto per il Parlamento e per i partiti, cui Napolitano e Monti si rivolgono per trovare sostegno a quello "sforzo straordinario" richiesto dall'emergenza, senza perdere altro tempo in "rivalse faziose" o "sterili recriminazioni". Basta dunque con lo scontro furioso dell'era berlusconiana, ormai conclusa. [...] Monti da oggi, con l'incarico del Quirinale, non è un supercontrollore dei conti, nemmeno un emissario di Bruxelles o un legato di Francoforte. È un Capo di governo che ha una missione urgentissima e prioritaria (uscire dall'emergenza finanziaria), e tuttavia ha e deve avere anche l'ambizione di una politica per il Paese. Non solo i numeri e gli spread, dunque, non soltanto la logica - indispensabile - dei parametri di Bruxelles e dei saldi di Francoforte, ma accanto al rispetto degli impegni e alle misure d'emergenza una ricerca autonoma e libera, nazionale e orgogliosa di ripresa e rilancio del Paese, a partire dalla sua affidabilità, dal recupero di fiducia interna e internazionale. Quella che il professore ha chiamato la "sfida del riscatto, che l'Italia deve vincere". [...]Il Cavaliere appoggia infine lo sforzo di Napolitano e sosterrà Monti, assicurando che non uscirà di scena. [...] ed è difficile pensare che accetti a lungo un quadro politico e istituzionale che riunendo le forze non contempla eccezionalità e non ammette anomalie, mentre recupera - finalmente - la Costituzione come orizzonte condiviso e comune. Ieri i toni del Cavaliere sono sembrati responsabili. Poi vedremo. Dipenderà da Monti, certamente. Ma anche da un Paese che sembra essersi risvegliato da un lungo sonno, riscoprendo la soddisfazione e il valore di una "democrazia d'alto stile" (come si diceva nei primi anni della Repubblica) guardando ieri il Presidente e il Professore al vertice del nostro Stato".
Anche per Stefano Folli, editorialista del quotidiano Il Sole 24 Ore, si tratta di un "Governo del Presidente", in cui Monti "avrà dalla sua il sostegno assiduo del presidente della Repubblica, autentico architetto della nuova stagione che si apre. Impegnato come non mai nel favorire il passaggio del fiume". Infatti, nell'articolo "La sfida della serietà", Folli scrive: "L'immagine di Mario Monti, sereno e serio, che riceve l'incarico di formare il Governo, ringrazia il capo dello Stato e impegna se stesso per il riscatto nazionale, è emblematica del passaggio politico straordinario che si è consumato in pochi giorni, da ultimo in poche ore. È un'immagine che rinvia all'"altra Italia" spesso evocata da Giovanni Spadolini, figura ben nota al presidente incaricato; e a sua volta Spadolini l'aveva ripresa da Ugo La Malfa, secondo un filo tenace e antico che risale indietro nel tempo e si può riassumere così: dal Risorgimento in poi l'Italia migliore trova il suo senso storico e la sua identità se riesce a proiettarsi verso l'Europa e a integrarsi in essa. È lì il suo riscatto. La missione di Monti consiste oggi nel riportare l'Italia nell'ambito europeo, spezzando quella sorta di cordone sanitario che si era stretto negli ultimi anni intorno al Governo di Roma per ragioni su cui si è già scritto tutto. È un compito di estrema difficoltà, a causa delle circostanze in cui il "Governo del Presidente" dovrà operare, ma rappresenta anche un'opportunità storica per tutte le forze politiche. Si è visto, del resto, che il populismo mediatico ha compiuto la sua intera parabola: ammiccante e seduttivo in una prima fase, portato a negare o sottovalutare i problemi reali, ha mostrato infine il suo lato più pericoloso. Le allusioni agli oscuri complotti dei poteri finanziari internazionali, veicolati dalla moneta unica, sono l'indizio che siamo molto vicini a un bivio pericoloso. Il populismo è prossimo alla sua fase suprema, si potrebbe dire. [...] Napolitano e il suo presidente incaricato costituiscono un binomio in grado da solo di restituire una porzione di credibilità al Paese". Sulle pagine de Il Sole interviene anche il presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi scrivendo che l'incarico che Napolitano ha conferito a Monti è "un'occasione da non sprecare, un tentativo di salvataggio per un Paese che non merita la condizione di inferiorità e sudditanza in cui è stato portato da una esperienza politica evidentemente fallimentare".
Roberto Saviano su La Repubblica racconta " Il ventennio dell'Arabesco ": "Esiste una parola che più di tutte descrive ciò che il governo Berlusconi è stato per l'Italia, ciò che lo ha davvero caratterizzato in senso politico ed economico, questa parola è immobilismo. Negli ultimi venti anni non è successo niente per il Paese. [...] Ironia della sorte, proprio Silvio Berlusconi, che si è sempre vantato di aver creato un impero dal nulla, di aver incarnato il sogno americano del self-made man, che si è sempre considerato campione di numeri e denaro, è stato sopraffatto dove si sentiva onnipotente, in quello che ha sempre detto essere il suo stesso elemento: dal mercato. È stato commissariato da un'economia che della sua gestione non poteva più fidarsi. Ennio Flaiano diceva: in Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco. I vent'anni di governo Berlusconi sono stati un arabesco: la linea più lunga possibile tra il vecchio e il vecchio che si vestirà di nuovo. Quante bugie in questi venti anni, quante mistificazioni. Dalle false, umili origini, perché in lui l'italiano medio potesse identificarsi, alla menzogna più grande di tutte, passata di bocca in bocca e progressivamente svuotata di ogni significato, secondo cui un uomo che ha creato un impero, che è ricco e a capo di aziende floride - o che floride apparivano - non ha bisogno di rubare, di sottrarre denaro pubblico al Paese, come avevano fatto i partiti nella prima Repubblica. Un sogno fondato su menzogne ed equivoci perché, fatti fuori i padrini politici, occorreva che Berlusconi prendesse in mano la situazione. Del resto lui stesso ripeteva che il suo ingresso in politica avveniva per tutelare i suoi interessi. Suoi personali e delle sue aziende. Ed è esattamente quello a cui abbiamo assistito nei venti anni in cui è stato protagonista indiscusso della scena politica italiana. [...] Anche se l'uomo Berlusconi sembra finito, il berlusconismo non è ancora morto. Sta lì, paziente, aspettando di risorgere, pronto a dire "senza di me è stato peggio". I suoi protagonisti aspettano di speculare sui momenti difficili che l'Italia vivrà, fingendo di non esser stati anche loro a generarli. Già adesso, alcuni surreali ex neo-con e ora neo-keynesiani (alla bisogna) maître a' penser mistificano la realtà, difendendo l'indifendibile e reclamando libere elezioni, ovviamente senza spendere una sola parola sulla legge elettorale in vigore, dalla stessa uscente maggioranza introdotta e significativamente definita, dal suo medesimo estensore, porcellum. L'impressione è che, ancora una volta, ci sia spazio per tutto tranne che per il talento e per la volontà di ricostruire davvero un Paese che più ancora che economicamente è piegato nel morale, nella fiducia e nella speranza che si possa tornare a essere felici e realizzati senza dover andar via. In Italia ancora una volta il rischio è che si faccia piazza pulita perché si possa più agevolmente tornare indietro".
Su Il Giornale Marcello Veneziani si chiede se la democrazia è "ancora una priorità assoluta, un bene primario da tutelare, oppure sta lentamente ma inesorabilmente declinando" in riferimento soprattutto a quello che sta accadendo in Italia, "col Parlamento che si arrende alla Borsa e abdica alla sovranità politica in favore di quella tecnico-economica, invocando un premier che il popolo sovrano non ha mai votato". Infatti, scrive Veneziani, "Le emergenze che si affacciano nel futuro, legate all'ambiente, all'energia, alla Borsa, alla salute, alla sicurezza, ai flussi migratori, esigono decisioni rapide, talvolta autoritarie e spesso impopolari. O diventano sontuosi alibi per giustificare il restringersi della libertà nel nome della sicurezza. La democrazia rischia così di essere commissariata tramite golpe bianchi e dorati, magari provvisori, ma le emergenze sono così molteplici e consecutive da rischiare di cronicizzarsi e di esigere governi che usino la democrazia come un rivestimento. Non si tratta di evocare congiure di poteri oscuri e dietrologie pittoresche. E non si tratta nemmeno di assestarsi a difendere ad ogni costo la sovranità popolare; la democrazia non è un valore assoluto, un principio teologico. È semplicemente la forma che ci pare la meno dannosa di tutte, perché consente di rimediare agli errori, di avvicendare chi è al potere e di rendere il più possibile trasparenti le decisioni e gli assetti di potere. Non esistono governi dei popoli, tutti i governi sono governi dei pochi; la vera differenza è che ci sono governi dei pochi nell'interesse dei molti e governi dei pochi negli interessi di pochi. [...] La tendenza verso cui stiamo andando, e qui torno al caso italiano, è esattamente opposta: i parlamenti possono impallinare i governi ma poi non offrono governi alternativi e dunque consegnano la sovranità a poteri che non sono legittimati democraticamente e non rispondono ai cittadini medesimi. E poi, in Italia, senza avere un presidenzialismo eletto dal popolo, abbiamo un presidenzialismo implicito, sotto traccia, con un Capo dello Stato elevato a regista dei ribaltoni politico-istituzionali. Fino a sospendere la democrazia e svuotare la sovranità popolare. A questo punto la democrazia va blindata con una corazza a due strati, decisionista e comunitaria: ovvero un presidenzialismo esplicito, decisionista, autorevole, con ampi poteri per tutto il mandato ricevuto; e sul piano della coesione sociale una democrazia comunitaria che tutela e promuove i valori e gli interessi comuni".