Speciale Massimo Carlotto: un’intervista

Creato il 13 febbraio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 3

20 marzo 2012.

Genova, Palazzo Ducale.

La rassegna “Città del Noir – La letteratura racconta l’Italia” apre i battenti e ospita una triade da pelle d’oca: Bruno Morchio, “papà” dell’investigatore genovese Bacci Pagano e curatore della manifestazione, incontra Massimo Carlotto e il giallista internazionale Veit Heinichen. Tema della serata: “Il Nordest: Padova e Trieste”… 

… bando agli indugi, l’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire!

Supero in qualche modo la timidezza e chiedo a Massimo Carlotto, vera e propria colonna portante del noir italiano, la cortesia di rispondere ad alcune domande: ricevo un sì infinitamente generoso e disponibile (del quale non mi stancherò mai di ringraziarlo) e la chiacchierata può cominciare…

Benvenuto a Genova, signor Carlotto.

Grazie!

Genova e le Città del Noir”… Lei ha raccontato come nessun altro il cuore nero del Nordest e ha avuto modo di affermare in diverse occasioni che il territorio è un personaggio, che conoscere i luoghi di cui si ha in animo di scrivere è fondamentale. Quali altre caratteristiche deve avere, secondo lei, un buon noirista? E un buon romanziere in generale?

Secondo me un buon noirista deve conoscere molto bene il territorio in cui ambienta le storie. Anche perché è una cosa che ci siamo già… voglio dire, “divisi” tempo fa: l’idea che ognuno scriva del luogo dove vive e dove lavora presuppone il fatto di essere dei profondi conoscitori del luogo, al punto che bisogna saperne interpretare anche i profumi, i sapori… Questa è una dimensione che ci deve essere nel romanzo, perché è proprio vero che il luogo dev’essere un personaggio, non è più possibile che sia solo lo sfondo… dev’essere un personaggio che si muove all’interno della narrazione. E questa tra l’altro è stata la cifra che ha fatto conoscere e apprezzare il poliziesco e il noir italiano a livello internazionale.

In un intervento pubblicato sul Manifesto nel maggio dell’anno scorso ha descritto il genere italiano come “un pentolone di idee” in continuo e multiforme subbuglio. E’ sempre grande la confusione sotto il cielo?

(ride, N.d.I.)

Detto altrimenti: che cos’è il noir?, e fino a che punto lo si conosce? La sensazione è che la gente comune, anche i lettori cosiddetti “forti”, abbiano un’idea abbastanza vaga, a riguardo.

C’è un’idea vaga e confusa che secondo me è suggerita da un’arretratezza della critica che non riesce a interpretare quello che sta accadendo, nel senso che ci sono delle modificazioni profonde a livello letterario che non vengono percepite… cioè di fatto vengono più percepite dai lettori, anche se in maniera confusa, che dalla critica. E questo ha portato a una serie di errori secondo me “di definizione”, e questo come effetto collaterale ha purtroppo l’effetto che c’è confusione, spesso, tra i lettori meno attenti; e quindi c’è anche un discorso di capacità di apprezzare meno un genere che in Italia sta producendo molto, al di là del soliti nomi.

Un genere che ha altresì una funzione sociale?

Assolutamente ha una funzione sociale, che è quella di raccontare il reale in maniera molto, molto precisa. E questa, voglio dire… una cosa che si evince sempre di più è che proprio c’è un uso anche sociale dei romanzi, nel senso che molte volte vengono usati proprio per raccontare delle situazioni, anche da parte di istanze popolari.

A proposito di questo ci sarebbe tanto da dire su “Perdas de fogu” (romanzo frutto di una lunga inchiesta condotta da Carlotto e da un gruppo di scrittori uniti nella sigla Mama Sabot, fortemente voluto dai cittadini che vivevano nei pressi del poligono del Salto di Quirra, N.d.I.), se solo avessimo più tempo…

Il punto è che il lettore ha sempre un doppio binario davanti a sé, la possibilità di andare oltre la lettura d’intrattenimento. Dopo aver raccontato la crisi, la sfida del noir sarà sempre più quella di raccontare il conflitto.

Oltre a quella di anticipare la realtà…

Il noir anticipa sempre. E’ proprio la caratteristica più importante del noir la capacità di anticipare quello che verrà raccontato dopo due o tre anni, è sempre così. Perché di fatto, usando gli strumenti del giornalismo investigativo, si arriva ad analizzare e indovinare alcune cose che accadranno dopo…

… questo dipende anche dal fatto che il giornalismo d’inchiesta ha abdicato alla propria funzione?

Il giornalismo d’inchiesta non esiste più, purtroppo, rispetto alla criminalità. E questo sta provocando questi guasti… che noi noiristi stiamo cercando di colmare, insomma (ride, N.d.I.). Con fatica.

Lei ha affermato che “il cosiddetto noir non è affatto l’unica letteratura in grado di raccontare il reale” e che la letteratura “più che di generi è fatta di contenuti”. La nuova collana editoriale da lei curata, Collezione Sabot/AGE (Edizioni e/o, N.d.I.), va in questa direzione? Nella direzione cioè di superare gli steccati di genere per “sabotare” la menzogna e occuparsi delle storie che nessuno ha il coraggio di raccontare?

Esattamente. Io sono profondamente convinto che oggi non esiste un genere in grado di raccontare la realtà nella sua complessità e che bisogna affidarsi a più generi e a più forme espressive, e credo che questo abbia portato a uno sviluppo diverso, molto forte e robusto di alcune concezioni proprio rispetto all’uso della realtà nel romanzo. Questo ha portato alla collana Sabotage o Sabot Age (pronuncia francese o inglese, N.d.I.) – è uguale, sono due modi diversi di vedere la stessa cosa[1] – e questo però ci conforta molto perché stanno arrivando dei romanzi, che verranno anche pubblicati, dal fantapolitico al romanzo più “bianco” e però così profondamente ancorati alla realtà e ai contenuti che sembrano quasi dei romanzi di genere.

Il romanzo poliziesco classico – à la Agatha Christie, per intenderci – è morto e sepolto?

No, perché Agatha Christie continua a vendere poco meno della Bibbia… quindi non è così! E anche guardando le classifiche si vede che è un tipo di romanzo che piace molto. D’altra parte è un romanzo che risponde alle domande come-dove-quando…

… senza curarsi troppo del “perché”…

(annuisce, N.d.I.) ed è comunque profondamente consolatorio, e la gente giustamente in questo periodo ha tutto il diritto di consolarsi rispetto agli effetti collaterali della crisi dal punto di vista umano, che sono veramente forti e difficili da vivere.

Lei ha scoperto e promosso diversi autori esordienti. Nel primo numero di “Fralerighe” abbiamo intervistato Matteo Strukul, che con la sua “ballata di Mila” inaugura la Collezione Sabot/age. Cosa consiglia a uno scrittore alle prime armi che vorrebbe pubblicare?

Pubblicare è difficilissimo, sempre più difficile. Bisogna credere fermamente nel proprio lavoro, questa è la prima regola: crederci così tanto che alla fine si riesce a spuntarla. Io credo che però bisogna anche avere la capacità di ascoltare molto: ascoltare i buoni consigli che in questo mestiere sono fondamentali.

E leggere molto?

Ah beh, sì. Solo i forti lettori possono essere dei buoni scrittori.

Manifestazioni come “Città del noir” sembrerebbero testimoniare il contrario ma in Italia si legge poco. Perché, secondo lei? Come si potrebbe motivare la gente a leggere di più? Mi riferisco in particolare alle giovani generazioni cresciute a pane, tv e tecnologia.

Il problema di fondo è che in questo Paese si stanno chiudendo molte librerie, soprattutto nei paesi, dove al limite resiste una cartolibreria. Se non hai familiarità con l’oggetto libro non hai familiarità con la lettura, e questa è una cosa che nessun e-book può colmare. E credo che la questione della lettura proprio rappresenti questo, cioè c’è una difficoltà enorme da questo punto di vista perché le librerie, soprattutto quelle indipendenti, stanno soffrendo moltissimo all’interno di un mercato sempre più spietato. Però noi ci stiamo giocando la cultura di un Paese, al di là dei generi e delle passioni. Ci stiamo proprio giocando la cultura di un Paese. Questo è un Paese dove si dimenticano sempre i classici… ormai alcuni classici fondamentali non vengono nemmeno più ristampati: questa è veramente una vergogna.

E-book in fabula. “Fralerighe” è una rivista in formato esclusivamente digitale: qual è la sua opinione in merito agli e-book? In che modo stanno cambiando il volto dell’editoria?

Mah, l’e-book… io leggo molti e-book. Nel senso che ormai leggo e-book, leggo cartaceo… anche se la mia generazione è più legata al cartaceo; è una cosa assolutamente normale. Penso però che l’e-book non sia automatico come passaggio ma sia il passaggio invece a un formato più agile da parte di un lettore già affermato, ma che il passaggio iniziale sia sempre attraverso il cartaceo. Io credo che almeno in questo momento storico sia così.

Nel prossimo numero di “Fralerighe” recensiremo “Arrivederci amore, ciao” e “Alla fine di un giorno noioso”: ci descrive brevemente la parabola di Giorgio Pellegrini?

(ride di gusto, N.d.I.) Se lo recensite lo sapete meglio di me! Comunque è una storia di formazione criminale nel primo romanzo e una storia invece di affermazione criminale nel secondo. Sono due momenti a distanza di dieci anni nella vita di un criminale quasi perfetto.

Provo ad estorcerle qualche anteprima sul nuovo romanzo targato Einaudi, “Respiro corto”, in uscita il prossimo 10 aprile. Ho letto sul suo sito ufficiale che la vicenda si svolgerà fra i vicoli della vecchia Marsiglia: dici Marsiglia e il pensiero corre subito a Jean-Claude Izzo…

Sì, ma la Marsiglia di Izzo non esiste più… quindi io racconto un’altra Marsiglia completamente diversa. Però non c’è solo Marsiglia ma c’è anche l’India, c’è la Russia, c’è il Paraguay… è una dimensione di criminalità molto diversa. Diciamo che i destini di alcune persone s’incrociano a Marsiglia, Marsiglia che oggi è sempre di più il crocevia di una criminalità sempre più globalizzata, una città dove è in atto uno scontro quasi militare molto, molto accentuato.

Il mondo è di chi corre veloce quanto il denaro?

Assolutamente sì. Nella criminalità chi corre più veloce vince. Una cosa che una volta non c’era, la dimensione della velocità nel crimine, oggi invece è fondamentale.

*

Dobbiamo salutarci in fretta e furia, l’incontro sul Nordest sta per iniziare…

La mano scivola inavvertitamente sul pulsante di “stop” e la videocamera perde per sempre la cascata di ringraziamenti che faccio in tempo a snocciolare.

La vera e propria colonna portante del noir italiano deve aver captato qualcosa, tuttavia, perché si volta e mi regala un ultimo sorriso: “grazie a te”, mi dice allontanandosi.

Grazie a te, signor Carlotto. A nome mio e di tutta la Redazione di “Fralerighe”.

Simona Tassara e Massimo Carlotto


[1] Il nome della collana contiene infatti un doppio significato: sabotaggio (se letto alla francese) o “Era del Sabot” (Sabot Age, in inglese); il “sabot” è lo zoccolo di legno che gli operai esausti lanciavano negli ingranaggi delle macchine ai tempi della rivoluzione industriale.



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