Speciale Philastiniat: IDENTITA’ PLURALI DALLA PALESTINA ALLE PAGINE DELLA LETTERATURA

Creato il 06 ottobre 2012 da Chiarac @claire_com_

Questo articolo è stato scritto per editoriaraba da Cristina Dozio che ha partecipato a Philastiniat. Arte e cultura dalla Palestina, la 4 giorni di eventi organizzata a Milano per celebrare la cultura e l’l'arte palestinese.

di Cristina Dozio

Parla Amjad Nasser (foto di C.D.)

E’ ancora in corso Philastiniat, la manifestazione che sta mettendo in contatto la città di Milano con l’arte e la cultura palestinese. All’interno di un programma ricco di eventi, il 4 ottobre si è parlato di identità palestinese, anzi di identità plurime, e della loro espressione in letteratura.

Questo infatti era il tema del convegno organizzato presso la scuola di Mediazione Linguistica e Culturale dell’Università Statale di Milano, che ha visto la partecipazione di Letizia Osti, Ramona Ciucani, Isadora D’Aimmo, Nijmi Edres, Simone Sibilio e Amjad Nasser.

In apertura, abbiamo ripercorso con Isadora D’Aimmo le principali fasi dell’evoluzione del romanzo palestinese, le quali coincidono con gli eventi storici che hanno segnato la coscienza nazionale di questo popolo. Così, le opere scritte prima del 1948 portano traccia dei timori dell’arrivo di immigrati ebrei e della loro azione di acquisto delle terre; poi il disastro del 1948 determina la dispersione dei palestinesi e riempie la letteratura del tema del frettoloso abbandono, mitigato dalla speranza del ritorno. Lo spazio non può che essere la patria, la casa, la terra perduta. Il tempo… è il tempo dei sogni. Con la naksa del 1967, anche gli scrittori “abbracciano” le armi dando vita alla cosiddetta letteratura della resistenza.

Secondo la medesima scansione si sviluppa la letteratura dei palestinesi con cittadinanza israeliana, ovvero coloro che vivono in Israele su di una terra che considerano la loro patria, in una condizione identitaria sicuramente peculiare. La studiosa parla di un’identità binaria, in bilico tra l’appartenenza nazionale palestinese e il conseguimento di una piena uguaglianza di diritti attraverso la cittadinanza israeliana.

In entrambi i casi, però, si tratta di aspirazioni frustrate: nel primo caso per l’accusa di tradimento che talvolta è stata rivolta a questa parte della popolazione; nel secondo caso perché Israele porta avanti un progetto assolutamente opposto e non manca di considerare queste persone “nemiche” in casa. In conclusione si può parlare della somma di due mancate identità.

Questa coscienza è espressa dagli scrittori palestinesi d’Israele con risultati particolarmente interessanti nel caso della nuova generazione, che abbiamo modo di leggere per la prima volta in italiano in Qui finisce la terra. Antologia di giovani scrittori arabi d’Israele (Ala Hlehel, Muhammad Ali Taha, Hisham Naffa‘, Suheir Abu Oksa Daoud, Raja’ Bakriyyah, Bashir Shalash)”, volume curato dalla stessa D’Aimmo e presentato in serata presso la libreria Feltrinelli di piazza Duomo.

Se questo gruppo di scrittori esprime la propria condizione di minoranza nella minoranza utilizzando un arabo contemporaneo e stilisticamente di pregio, non bisogna dimenticare l’uso della lingua nella vita quotidiana. Di questo si occupa Nijmi Edres, che ha sottolineato la discrepanza fra la condizione formale dell’arabo in Israele (che è lingua ufficiale) e la sua concreta marginalizzazione all’ambito d’uso familiare e locale, cioè nei villaggi e nelle città a maggioranza palestinese. Oltre alle associazioni laiche attive sul piano socio-legale, è l’associazionismo islamico a svolgere il ruolo principale nel mantenere viva la conoscenza della lingua, che è uno dei pilastri portanti del senso d’appartenenza.

In un incontro sulla Palestina, non poteva mancare la poesia. Abbiamo avuto l’onore di conoscere Amjad Nasser, poeta e giornalista giordano che attualmente vive a Londra dove è redattore culturale del quotidiano Al-Quds al-Arabi. Con tono appassionato, ci ha parlato della poesia composta dopo l’espulsione dei palestinesi da Beirut: in questa fase cambia il linguaggio poetico e si apre finalmente uno spazio per parlare dell’individualità. Ancora una volta è Darwish a marcare il passo, con la raccolta “Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine”, che in Italia è edita da San Marco dei Giustiniani, Genova 2002. Una citazione ci ricorda come l’identità attraversi le frontiere, come viva nell’esilio: Al-tarìq ilà ‘l-bayt ajmal min al-wusùl ilayhi: Mettersi in cammino verso casa è più bello che arrivarci…

Su questa scia, Simone Sibilio ha esemplificato, anche con delle letture, come la poesia palestinese non si possa definire solo poesia nazionale. Said con i suoi scritti teorici, e Darwish con i suoi versi, hanno conferito al palestinese lo status di cittadino del mondo. L’apparente allontanarsi dalla terra non è sintomo di disinteresse, ma volontà di indagare secondo nuove prospettive lo spazio fisico ed esistenziale, il tempo e la memoria.

Infine, Ramona Ciucani ha condiviso con noi il suo lavoro di traduttrice nell’ambito di un ambizioso progetto editoriale: la pubblicazione di una trilogia di scritti di Darwish che vedrà la luce per Feltrinelli nel 2013. Questa include Yawmiyyàt al-huzn (Diario della tristezza ordinaria) pubblicato ben 40 anni fa, Dakirah li-l-nisyàn (Una memoria per l’oblio) già tradotto in italiano per Jouvence, e Fi hadrat ‘l-ghiyàb (In presenza d’assenza) del 2006. In queste opere Darwish problematizza l’identità, partendo dal ruolo di poeta della patria per andare alla ricerca di un’identità estetica.

Ma che succede quando un poeta – di questo calibro – scrive in prosa? Il risultato è un genere molto difficile da definire che è sì prosa, ma una prosa fortemente incisa dalla poesia nel ritmo e nelle figure retoriche, che non vediamo l’ora di gustare in traduzione.


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