L’incipit in cui il vecchio papero sente notizia di un tesoro, arruola i nipoti e parte alla volta di una terra lontana è diventato così famigliare al lettore di “Topolino” da risultare quasi un cliché ormai abusato.
La verità, come afferma giustamente Roberto Gagnor in questo suo pezzo, è che non è per niente semplice scrivere una storia in cui Paperone va alla ricerca di un tesoro.
O perlomeno, preciso io, non è facile scriverla con un certo rispetto per i personaggi, per le loro intenzioni e per il lettore.
Isole sperdute, pianeti lontanissimi, terre selvagge, oceani inesplorati… ma rigorosamente introvabili sul nostro mappamondo e mai ipotizzati da nessuna antica leggenda o fiaba. I luoghi in cui il Paperone di Cimino si reca si trovano in quella fertile zona del cervello umano che risponde al nome di fantasia, e c’è da dire che Cimino ne aveva proprio tanta!
Dall’isola del Paperzucum alla terra delle montagne trasparenti, dal pianeta Pacificus alla Fossa del Moloch, Cimino ha sempre saputo creare terre fantastiche in cui far arrivare i Paperi.
Ma ci sono almeno altre due caratteristiche che val la pena esaminare in riferimento ai viaggi ciminiani: i mezzi con cui si arriva alla meta e i popoli che abitano queste terre.
Sono tutte macchine che sanno unire la realizzazione economa con le caratteristiche utili per affrontare il percorso necessario a giungere alla destinazione di turno. Posso solo immaginare il divertimento dei disegnatori nel dover rappresentare marchingegni così inusuali.
Sui popoli che i Paperi incontrano nei loro viaggi c’è da dire che una delle loro caratteristiche è la semplicità: gli autoctoni, come Cimino stessi li definiva spesso e volentieri ricorrendo come suo costume a parole ricercate e meravigliose, rappresentano il più delle volte gente genuina, non intaccata dal progresso e dallo stile di vita occidentale, perlopiù insensibile al richiamo della ricchezza e spesso dediti al contatto più originario con la natura.
Il contrasto con le mire di Paperone appare subito evidente, dunque, ed è proprio su questo infatti che gioca l’autore per cercare di trasmettere una specie di morale tanto al protagonista quanto al lettore. Non è un caso che in questi popoli ci sia spesso un vecchio saggio, altra figura ricorrente nella narrativa ciminiana, che ha il compito di ricordare allo Zione l’importanza della correttezza e del rispetto verso gli altri.
Per questo l’immagine di Paperone che studia antichi manoscritti nella sua biblioteca, e che parte lancia in resta verso nuovi, improbabili tesori è quanto di meglio rappresenta il personaggio.
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