Speculano sulla fame, l’Onu: tagliamo i viveri alla finanza

Creato il 11 aprile 2012 da Tnepd

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Un mercato poverissimo, pieno di prodotti d’importazione: non in Norvegia, ma in Senegal, nel cuore verde dell’Africa. Un sacco da 50 chili di riso importato costa 14.000 franchi Cfa, la moneta delle ex colonie francesi. «Di colpo, la zuppa della sera è sempre più liquida», scrive il grande antropologo svizzero Jean Ziegler: «Solo pochi chicchi sono autorizzati a galleggiare nell’acqua della pentola: presso i mercanti, le donne acquistano ormai riso al bicchiere». E’ il risultato della finanziarizzazione delle derrate alimentali: la speculazione globalizzata sta affamando anche i paesi africani meno poveri. Miliardi di tonellate in pochissime mani, che si palleggiano i prodotti facendoli rincarare. Così tutto aumenta ogni giorno, accusano le donne africane intervistate da Ziegler per un reportage apparso su “Le Monde Diplomatique” e ripreso da “Micromega”. L’Onu dispone aiuti alimentari, ma il problema è un altro: sottrarre al sistema speculativo le materie prime agricole.

«È così che, lentamente, la finanza affama le popolazioni, senza che queste ultime comprendano sempre i meccanismi su cui si fonda la speculazione». Un dispositivo perverso, perché lo scambio dei prodotti agricoli non funziona come gli altri: su questo mercato, si consuma più di quanto si venda. Così, stima l’economista Olivier Pastré, il commercio internazionale di cereali rappresenta poco più del 10 % della produzione, comprendendo tutte le colture, fino al riso (7 %). Secondo Pastré, «uno spostamento minimo della produzione mondiale in un senso o nell’altro potrebbe fare tremare il mercato». Davanti alla crescente domanda, l’offerta (la produzione) si scopre non soltanto frammentata, ma estremamente sensibile alle variazioni climatiche: siccità, grandi incendi, inondazioni. Per questo, all’inizio del XX secolo, a Chicago, apparvero i prodotti finanziari derivati, per permettere agli agricoltori del Midwest di vendere la loro produzione ad un prezzo fissato in anticipo: contadini garantiti in partenza in caso di crollo dei prezzi al momento del raccolto, e investitori pronti a incassare profitti in caso di impennata. Ma, all’inizio degli anni ’90, questi prodotti a vocazione prudenziale si sono trasformati in prodotti speculativi.

Heiner Flassbeck, economista alla guida della Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), ha stabilito che tra il 2003 e il 2008 la speculazione sulle materie prime per mezzo di fondi indicizzati è aumentata del 2.300%. L’impennata dei prezzi degli alimenti-base ha provocato le famose “rivolte della fame” che hanno scosso 37 paesi. Hanno fatto il giro il mondo le immagini delle donne della bidonville haitiana di Cité Soleil che preparavano gallette di fango per i loro figli. Violenze urbane, saccheggi, manifestazioni che radunavano centinaia di migliaia di persone nelle strade del Cairo, di Dakar, di Bombay, di Port au Prince, di Tunisi, che reclamavano pane per assicurarsi la sopravvivenza, hanno occupato per diverse settimane la prima pagina dei giornali.

L’indice 2008 dei prezzi stilato dalla Fao era in media superiore del 24% rispetto a quello del 2007, e del 57% rispetto a quello del 2006. Nel caso del mais, la produzione di bioetanolo americano – dopato da circa 6 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro) di sovvenzioni annuali erogate ai produttori di “oro verde” – ha considerevolmente ridotto l’offerta statunitense sul mercato mondiale del mais. Dal momento che questo serve in parte all’alimentazione animale, la sua scarsità sui mercati, mentre la domanda di carne cresce, ha contribuito ad aumentare i prezzi del 2006. Un altro economista, Philippe Chalmin, rivela che «l’altro grande cereale coltivato, il riso, ha conosciuto all’incirca la stessa evoluzione, con prezzi che, a Bangkok, sono passati da 250 a oltre 1.000 dollari per tonnellata».

Il mondo, osserva Ziegler, ha preso bruscamente coscienza del fatto che nel XXI secolo decine di milioni di persone muoiono di fame. Poi il silenzio ha ricoperto nuovamente la tragedia. «Ma, dopo lo scoppio della crisi finanziaria, la speculazione sulle materie prime alimentari non ha fatto che accelerare: fuggendo dal disastro che essi stessi avevano provocato, gli speculatori – in particolare i più importanti, gli hedge funds, o fondi speculativi – si sono spostati sui mercati agroalimentari». Per loro, continua l’antropologo elvetico, tutti i beni del pianeta possono diventare oggetto di scommesse sul futuro: allora perché non gli alimenti “di base” – riso, mais e grano – che, insieme, coprono il 75% del consumo mondiale (50% per il riso)? Secondo il rapporto 2011 della Fao, solo il 2% dei contratti a termine sulle materie prime si conclude effettivamente con la consegna di una merce; il restante 98% è rivenduto dagli speculatori prima della data di espirazione.

Questo fenomeno, prosegue Ziegler nel suo reportage, ha assunto una tale ampiezza che il Senato americano se ne è preoccupato: nel luglio 2009 ha denunciato una «speculazione eccessiva» sui mercati del grano, criticando in particolare il fatto che alcuni trader detengono fino a 53.000 contratti contemporaneamente. Il Senato ha anche denunciato il fatto che «sei fondi indicizzati sono attualmente autorizzati a tenere 130.000 contratti sul grano nello stesso momento, per un ammontare superiore al limite autorizzato per gli operatori finanziari standard». Il Senato statunitense non è l’unico ad allarmarsi. Nel gennaio 2011, un’altra istituzione – il Forum economico mondiale di Davos – ha classificato l’impennata dei prezzi delle materie prime, soprattutto alimentari, come una delle cinque maggiori minacce che pesano sul benessere delle nazioni, allo stesso livello della guerra cibernetica e della detenzione di armi di distruzione di massa da parte dei terroristi.

Una condanna che ha del sorprendente, quella di Davos, dato il meccanismo di reclutamento di quel “cenacolo”: «Il fondatore del Forum economico mondiale, l’economista svizzero Klaus Schwab, non ha lasciato al caso la domanda di ammissione al suo “Club dei 1.000” (nome ufficiale del circolo): sono invitati esclusivamente i dirigenti di società il cui bilancio supera il miliardo di dollari. Ognuno dei membri paga 10.000 dollari per l’entrata nel Forum. Essi solo possono avere accesso a tutte le riunioni. Tra loro, evidentemente, gli speculatori sono numerosi. I discorsi di apertura tenuti nel 2011 nel bunker del centro congressi hanno tuttavia indicato chiaramente il problema. Essi hanno condannato con tutte le loro forze gli «speculatori irresponsabili» che, per il puro richiamo del profitto, rovinano i mercati alimentari e aggravano la fame nel mondo».

Per vincere una volta per tutte gli speculatori e preservare i mercati delle materie prime agricole dai loro attacchi a ripetizione, Flassbeck propone una soluzione radicale: «Togliere agli speculatori le materie prime, in particolare quelle alimentari». E rivendica un mandato specifico dell’Onu, per riprendere il controllo mondiale sulla formazione dei prezzi di Borsa delle materie prime agricole, relegando gli “investitori” al solo intervento sui mercati a termine, come accadeva un tempo nel Midwest per tutelare gli agricoltori. Inoltre: «Chiunque negozierà un lotto di grano o di riso, degli ettolitri di olio, dovrà essere costretto a consegnare il bene negoziato. Converrà anche instaurare – per gli operatori – un’elevata quota minima di autofinanziamento. Chi non farà uso del bene negoziato verrà escluso dalla Borsa». Il “metodo Flassbeck”, se venisse applicato, allontanerebbe gli speculatori dai mezzi di sopravvivenza dei dannati della terra e ostacolerebbe seriamente la finanziarizzazione dei mercati agroalimentari. La proposta di Flassbeck e della Unctad è energicamente sostenuta da una coalizione di Ong e organizzazioni di ricerca. Ciò che manca, osserva Ziegler, è la volontà degli Stati.


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