Lei si chiama Serena, lui Felice.
Erano fidanzati da qualche tempo e avevano deciso di sposarsi. Lui era impiegato presso una banca cittadina e lei lavorava presso un asilo nido della città insieme ad altre tre colleghe. Lui era bruno e lei era bionda. Lui era alto e lei gli arrivava all’altezza degli occhi. Formavano una bella coppia ed erano innamorati l’uno dell’altro.Decisero di sposarsi e cercarono casa. Ne trovarono una con un grande giardino che girava tutto intorno alla costruzione, un poco fuori della città perché ambedue erano amanti della natura e desideravano vivere in un ambiente che non facesse rimpiangere loro le comuni origini contadine. Lui si fece anticipare la liquidazione maturata e con quella pagò l’acconto per la casa. Per il resto accese un mutuo pluriennale che avrebbe pagato con il suo stipendio. Lo stipendio di Serena sarebbe servito invece per far fronte a tutti gli altri problemi familiari non escluso quello relativo alla prole che avrebbero voluto subito in almeno due esemplari per costituire un prototipo della famiglia italiana. Iniziarono l’avventura matrimoniale con l’entusiasmo di chi ha tutto l’avvenire in mano e la certezza di un futuro altrettanto sicuro e appagante. Passato il primo anno di matrimonio decisero che era arrivato il momento per avere il primo figlio e si apprestarono a mettere in atto i loro propositi. Avevano collaudato il funzionamento del loro rapporto coniugale e controllato le capacità di spesa per assicurarsi senza problemi la nascita di un figlio. Però un giorno Serena tornò a casa con le lacrime agli occhi. L’asilo nido in cui lei lavorava aveva dovuto ridurre le spese a causa della spending review che aveva colpito tutti gli enti pubblici e, non potendo contare su certe entrate comunali, aveva deciso di ridurre il personale. Aveva deciso di fare a meno di lei in quanto era quella che avrebbe avuto minori ripercussioni negative dal licenziamento.
Passato il primo momento di disperazione, Serena e Felice non si persero d’animo. Deciso di rimandare un poco più in la acquisizione di un figlio e si approntarono a supplire il lavoro perso da Serena con uno analogo che la stessa avrebbe fatto nella loro casa. Questa infatti ben si prestava a ospitare dei bambini dato il grande giardino, tra l’altro curato molto bene sia da Serena che da Felice, che gli dedicavano tutto il loro tempo libero. Così trasformarono la loro casa in un facsimile di asilo nido dove trovarono accoglienza tanti bambini, le cui madri, Serena, aveva avuto modo di conoscere durante la sua precedente attività. Le cose andarono bene, tanto che, dopo un po’, il rimpianto per il posto perso si trasformò in gioia perché le entrate andavano a gonfie vele e qualche bambino si aggiungeva di tanto in tanto a quelli già presenti. Un giorno però arrivò a casa loro una raccomandata con ricevuta di ritorno con l’avviso che gli uffici finanziari avevano rilevato la illiceità dell’attività esercitata in quanto priva di regolari autorizzazioni, per cui avrebbero dovuto cessarla immediatamente e corrispondere subito una pesante sanzione, con l’avvertenza che il mancato pagamento entro i termini indicati avrebbe comportato l’aggravio di interessi e ulteriori spese. Serema e Felice accusarono il colpo e per qualche settimana il malumore serpeggiò nella loro casa. Avrebbero dovuto sottrarre i soldi per la multa da quelli necessari per il loro menage quotidiano perché lo stipendio di Felice era già impegnato con le rate del mutuo per la casa e, in più, furono costretti a rimborsare i soldi a quelle mamme che già avevano pagato anticipatamente l’asilo dei loro bambini. Ma erano giovani e forti e non erano certo dei piagnucolosi. Decisero di fare una ulteriore rateazione per pagare la multa e pensarono che avrebbero potuto trasformare il loro giardino in una fonte di reddito. Incominciarono, infatti, a sostituire i fiori e a coltivare, al loro posto, pomodori, verdure e frutta. Serena si armò di coraggio, comprò sementi varie, attrezzi per la campagna e diede inizio ai lavori. Naturalmente era meglio non pensare per il momento ad avere figli. Ma erano giovani e con tanto tempo davanti a loro. Ben presto il giardino prese un'altro aspetto e nacquero finocchi, sedani, indivia, carote, rape, e tutto quello che è coltivabile in un campo attrezzato. L’origine contadina permise loro una padronanza abbastanza completa del lavoro da eseguire e così ottennero una buona produzione che riuscirono a vendere quasi completamente perché moltissima gente, conoscenti e colleghi del marito, andavano direttamente al giardino a comprare sul posto la verdura fresca di giornata. Le cose andarono a gonfie vele per diverso tempo tanto da non far rimpiangere il lavoro precedente. Ciò che guadagnavano con le verdure bastava a pagare la rata della multa e ne rimaneva abbastanza per tutti gli altri bisogni casalinghi. Fu allora che pensarono nuovamente di aumentare la famiglia. Ma non fecero in tempo. Arrivò una raccomandata con ricevuta di ritorno dell’Ufficio Generale delle Imposte in cui si faceva loro presente che, pur non essendo coltivatori diretti e nemmeno azienda agricola, risultava in essere una produzione e vendita di prodotti soggetti a tassazione. Poiché non vi era alcuna autorizzazione li convocava per spiegazioni. L’Ufficio Generale delle Entrate non si accontentò delle risposte di Serena e Felice e li accusò di evasione fiscale comminando loro una multa consistente. Felice e Serena erano giovani e forti, avevano il futuro davanti e reagirono. “Se non possiamo vendere la merce possiamo però darla senza chiedere soldi” s’inventarono. E così fecero. Non chiesero più un lira a nessuno e fornirono la loro merce in cambio di altri prodotti di prima necessità come quelli del macellaio, del panificio, del pescivendolo e di altri negozi compresi quelli necessari per continuare la produzione degli ortaggi. Risolvettero così i problemi della loro sussistenza giornaliera, ma non bastò. Il debito nei confronti dello Stato era aumentato notevolmente a causa delle multe ricevute così come erano lievitate le bollette della luce, del gas e dell’acqua. Si resero conto di aver comunque bisogno di soldi contanti.
Ma non si persero d’animo. “ Se è necessario iscriversi al registro dei coltivatori lo faremo” si dissero. E iniziarono le debite pratiche. Andarono nei vari uffici preposti e chiesero tutti i documenti necessari. Ci vollero un mucchio di carte da bollo, bisognò fare la fila in diversi uffici. Qualcuno li fece aspettare per niente e li rimandò da un’altra parte. I documenti non sempre erano sufficienti e dovettero completarli, sempre con esborsi di soldi per marche da bollo. Bisognò iscriversi ad una cassa mutua speciale, si trattò di destinare una parte dei ricavi futuri alle tasse per la pensione, ci volle il benestare sull’agibilità del terreno e del giardino, ci vollero le planimetrie dei terreni, della casa, bisognò andare al catasto edilizio. Quello urbano e quello extraurbano. Bisognò variare il contatore dell’acqua da uso familiare ad uso agricolo e tante altre incombenze che portarono via giorni e giorni di faticose e costose tribolazioni. Quando a casa fecero i conti di previsione delle entrate e delle uscite si accorsero che i proventi della la loro produzione non sarebbero mai potuti essere superiori alle spese. Serena e Felice però non si persero d’animo. Andarono da un uomo politico che loro conoscevano e gli esposero il loro caso chiedendogli consiglio. L’uomo li ascoltò attentamente ma fece una smorfia. Purtroppo la legge era quella che era e ad essa non ci si poteva sottrarre. Però se loro avessero dato a lui il voto, si era in periodo di elezioni, avrebbe pensato lui a proporre in parlamento una legge in favore dei casi come il loro. Che stessero pure tranquilli. “Se non possiamo fare i coltivatori faremo altro”. Dissero convinti . “In fondo siamo giovani e abbiamo tutto il futuro davanti.” Solo che le spese e le multe erano arrivati ora a un livello molto elevato e nell’ultimo mese lo stipendio di Felice, anziché essere utilizzato, come dovuto, per pagare la rata di mutuo in scadenza, servì, purtroppo, a coprire il pagamento di bollette e multe e anche spese di tutti i giorni.
Non appena la banca si rese conto del mancato pagamento della rata mandò loro una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno in cui sollecitavano l’immediato pagamento di quanto dovuto, in modo da non incorrere nell’addebito di ulteriori interessi ed eventuali spese legali per il recupero del credito. Felice non si spaventò. Era giovane, avveduto e aveva tutto il futuro davanti. Essendo impiegato nella stessa banca che gli aveva concesso il mutuo alterò i documenti interni facendo risultare che il numero delle rate ancora da pagare risultava sì sempre lo stesso ma solo spostato nel tempo di un mese. In pratica si prese una dilazione. “Non rubo niente a nessuno” si disse convinto. Nello stesso tempo prese il toro per le corna e parlò con Serena. Decisero che non potevano più permettersi quella casa e che l’avrebbero venduta per comprarsene una più modesta dove vivere con il suo stipendio e qualche lavoretto che Serena, essendo capace e volenterosa, avrebbe tranquillamente potuto eseguire senza altre dannose conseguenze.
Marzo 2013