Spero che una legge così non ritorni mai più
Creato il 15 dicembre 2011 da Archeologo
@archeologo
Non faceva molto freddo, quel giovedì di gennaio quando i rappresentanti del Consiglio d'Europa firmarono un documento sull'isola di Malta perché le politiche urbanistiche dei loro stati fossero coerenti con la tutela del patrimonio archeologico. Il Presidente del Consiglio italiano era Andreotti, e Berlusconi ancora doveva scendere in campo: era il 1992. Vent'anni più tardi, 13 governi dopo, il ministro Lorenzo Ornaghi ha formalmenteproposto la ratifica della convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, dichiarandolo nel corso dell'audizione odierna alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati.
La storia della convenzione è misteriosa e affascinante al tempo stesso: la ratifica fu inizialmente propostanel febbraio 1997 dal senatore leghista Francesco Speroni: due anni dopo Speroni fu eletto al Parlamento Europeo - dove siede tuttora - e non seguì più i lavori della ratifica, che si erano arenati nelle commissioni del Senato che dovevano esaminarne i contenuti. La fine della legislatura, che fa decadere tutti i provvedimenti non trasformati in legge, ne affossò definitivamente l'approvazione nel 2001. Da quel momento il trattato sparì dalle proposte legislative, dimenticato da qualsiasi partito politico, nonostante l'attenzione degli addetti ai lavori e dei diretti interessati, gli archeologi. Bisogna attendere quasi dieci anni perché la convenzione torni alle luci della ribalta: nel settembre 2011 l'Associazione Nazionale Archeologi lancia una petizione perché l'Italia ratifichi l'accordo europeo. Si legge qualche momentanea presa di posizione, ma la situazione economica ha la meglio, e l'appello resta inascoltato. L'arrivo di un governo ed un sottosegretario tecnico ai beni culturali, che indubbiamente conosce la situazione archeologica in Italia, portano a compimento una storia lunga vent'anni, o almeno si pongono il problema.
Ma cos'è questa Convenzione? Quella di Valletta serve ad aggiornarne una omonima precedente, firmata a Londra il 6 maggio 1969 e che il parlamento italiano convertì come legge propria nel giugno 1973. La nuova - che comunque è stata rivista nel 1995 - definisce per la prima volta la natura non rinnovabile del bene archeologico, definendolo alla pari di un bene naturale: idea, per dire, largamente condivisa dall'UNESCO. Inoltre impone ad ogni tipo di intervento sul territorio, anche edilizio, di finanziare e promuovere la tutela di ciò che trova, con precise garanzie per l'aspetto scientifico ribadendo l'importanza della pubblicazione dei risultati ottenuti. Nel 2004 è nato il Codice dei Beni Culturali che non ha incluso la convenzione, nonostante il diritto italiano - soprattutto relativo ai beni culturali - tenda ad adeguarsi alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali. Ad oggi solo due nazioni firmatarie, oltre la nostra, non hanno ancora ratificato la convenzione: Lussemburgo e San Marino, che di certo non hanno le nostre stesse esigenze in materia di beni archeologici. In totale sono 42 gli stati ad averla convertita in legge, compreso il Vaticano (che non è neanche membro del Consiglio d'Europa, ma si è adeguato al trattato nel 1999).
Nell'immagine: in azzurro gli stati che hanno firmato e ratificato la Convenzione, in arancione quelli che hanno firmato e non ratificato (Italia, Lussemburgo, San Marino), in verde quelli che non hanno firmato ed appartengono al Consiglio d'Europa (Austria, Islanda, Montenegro).
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