Splendori e miserie delle locandine di cinema italiano

Creato il 13 aprile 2015 da Redatagli

C'era una volta - ed è esistita per un bel po' - l'arte della cartellonistica di cinema italiana. Arte a cui hanno dato il loro contributo nomi come Martinati, Capitani, Ballester, Symeoni, Casaro (che tiene uno spazio su “Ciak” in cui spiega la genesi delle sue opere) ma anche tanti meno noti.
Se non sapete di chi e cosa si stia parlando, la rete offre delle risorse: ad esempio qui oppure qui.

Esiste anche un museo (Fermo Immagine, a Milano) e del resto la galleria di manifesti del Museo del Cinema torinese val bene una visita. Si tratta di lavori di “cine-pittori” professionisti, dal background solido. Figli di pittori e/o studenti all'Accademia delle Belle Arti i cui manifesti erano uno dei più importanti elementi attraverso cui lo spettatore prendeva da una parte conoscenza di un film e dall'altra un primo contatto col fascino del cinema. 
Al cinema questi manifesti hanno dato una mano, come possono testimoniare generazioni di spettatori – tra cui quelli poi fattisi registi. Ovvio che nel corso del tempo siano stati partoriti anche lavori più superficiali, ma la qualità media era alta, e chi colleziona lo sa.
Poi qualcosa è cambiato.

Se si fa una rapida ricerca tornando a trent'anni esatti fa, si trovano ancora immagini per manifesti con una loro forza, perlopiù concepite per un cinema che si vedeva... al cinema. Tali immagini erano pensate per essere viste e apprezzate anche stampate su grande formato.
E oggi?
Quell'arte pubblicitaria non esiste più, e non si può neppure parlare di “pallido ricordo”.
A essere severi ma franchi, chi scrive pensa che il tardivo, quasi completo abbandono del manifesto dipinto a favore di quello fotografico non abbia costituito una evoluzione felice, che qualcosa di bello si sia perso e non si sia guadagnato nel cambio.
Anche accettato che il mondo va avanti (per non parlare dell'ovvia considerazione che non tutto può essere un'opera d'arte), da queste parti lo standard ormai è tristanzuolo.

Limitiamoci quindi, per ora, al cinema italiano e agli ultimissimi anni. Lo spunto per questo articolo è venuto dall'ultimo caso eclatante. A poche settimane dall'uscita è iniziato il “rilascio” - come si usa dire oggi con un terribile calco dall'inglese - dei materiali promozionali del nuovo film di e con Nanni Moretti, Mia madre.
Il manifesto del film è questo:

Poteva pure essere “rilasciato” prima, viene da pensare: sul forum di una rivista di cinema ho letto che “sembra una campagna per aiutare gli anziani colpiti dall'Alzheimer”. In effetti, sì.
Può colpire che un manifesto così sia di un film d'autore - e di un autore che, poco più di 20 anni fa, aveva legato un suo film a una locandina con una immagine divenuta un simbolo (Caro diario col suo Vespino, per essere chiari).

Ma Moretti a parte, a scorrere tante nostre locandine del periodo 2013-15 sembra che il film non si venda più (anche) attraverso il manifesto. O meglio: non importa affatto che questo sia bello: basta che renda chiaro chi c'è nella pellicola.
E allora, vai di faccione (La mossa del pinguino), mezzibusti di attori in coppia (Indovina chi viene a Natale?), di singoli attori poi affiancati (Colpi di fortuna, Mi rifaccio vivo, Soap opera, Un ragazzo d'oro – in bianco e nero, variante – , Tutta colpa di Freud) o di un singolo protagonista (più inusuale; L'intrepido), facce collocate in fasce, magari trasversali come a volte fanno gli americani (Passione sinistra), foto tagliate in quadri (I nostri ragazzi), attori raggruppati (Fratelli unici, Confusi e felici) o ritratti – e si nota – in scatti effettuati separatamente, con un effetto di superficialità (Scusate se esisto!, Un boss in salotto).
Sospensione di giudizio per le immagini naïf dei film con Checco Zalone (però i manifesti di due nostri comici redditizi di un tempo, Franco & Ciccio, che di film ne facevano caterve e impersonando pure loro degli ignoranti, di solito erano belli) e per il Maccio Capatonda de Italiano medio che ha puntato sul brutto consapevole e – qui tanto di cappello – sul nonsense (un orso al posto del protagonista...).

Insomma, un antropocentrismo noioso in cui quel che conta è solo che ci siano i protagonisti e talora i comprimari. Tutto questo dà vita a una produzione di manifesti privi di alcun fascino, la cui finalità di utilizzo è nuda e cruda, ma la resa dubbia (perché rispetto al passato non “producono bellezza”, e non sono un bel biglietto da visita per un film).

Se è vero che non è evoluto basarsi solo su un manifesto per decidere se vedere o meno un film (ma su questo torneremo), pure all'occhio non dispiacerebbe la sua parte.
Provando a mettersi nei panni di chi ha interesse che un dato film funzioni, è difficile non pensare “Ma non si poteva far di meglio?”.
È vero, noi italiani siamo specialisti nell'essere all'occorrenza "specialisti di tutto", ma... insomma, basta avere un qualche senso estetico e vaghe cognizioni di marketing per restare perplessi.
Perché la pigrizia e una professionalità dubbia sembrano avere la meglio.

Il cinema d'essai o giù di lì, quello che ha gli incassi meno sicuri, potrebbe avere maggiori motivazioni per creare manifesti curati, chissà che non risulti un modo per incuriosire qualche spettatore in più.
Ma non succede spesso.
È andata così (almeno: il manifesto è stato curato. Sul risultato economico, sorvoliamo) con Bellas mariposas, La prima neve, Come il vento, Anime nere, Perez.. Delle tre fotografie che costituiscono la locandina di Neve non si può dire altrettanto.
Quella di Hungry Hearts è palesemente una delle poche decenti che si sono viste in giro di recente, sebbene non sia nulla di così elaborato.
A qualcuno piacciono ancora disegnate: Arance e martello a opera di Makkox, La sedia della felicità e quella, molto originale nel nostro panorama, di Song e'Napule; ma anche la rielaborazione grafica dei componenti la grottesca fauna umana che vanno ad affollare la locandina di Belluscone-Una storia siciliana.

Allargando un poco lo sguardo, c'è una pratica che suscita altri punti interrogativi: se di norma in Italia recepiamo la locandina originale di un film straniero, sebbene spesso con piccole modifiche inutili (o peggiorative), ogni tanto interveniamo creando ex-novo un poster brutto. Come se si sentisse il bisogno di mettere le mani sui materiali quando non è necessario, per farli adattare a uno standard basso.

Un notevole caso di questi giorni riguarda il film francese in uscita Les combattants. Del quale si è ritenuto opportuno cambiare titolo (e metterne uno in inglese, pratica che meriterebbe un altro articolo); ma anche sostituire, con una scelta che si stenta a credere, il manifesto originale bello con uno che sembra deliberatamente insignificante.
Un esempio precedente è quello di Solo Dio perdona, anche se pure gli originali, teaser poster a parte, non brillavano.
E il pensiero torna al decennio scorso, e a quando la casa di distribuzione Eagle pareva essersi specializzata in una creatività penosa che aveva suscitato incredulità e proteste da parte cinefila (creatività esercitata anche nel rititolare, ma qui ci si riferisce alle immagini per La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo).

Prima.

Dopo: ma perché?!? 

Si dirà: i tempi sono cambiati, una volta andare al cinema aveva un'altra aura, e se ormai l'importanza della sala è assai relativa figuriamoci quella di un poster.
Pure l'estrema riduzione dei flani (le pubblicità dei film in sala) e gli annunci sui quotidiani sono sicuramente collegati, e sembra che la partita non si giochi più con determinati mezzi.
Ma anche senza essere idealisti, i conti non tornano del tutto: perché c'è, purtroppo, una considerevole fetta di spettatori, quella a cui si pensa quando si usa l'espressione “da multisala”, che vanno al cinema come bendati, scegliendo in quale sala entrare all'ultimo momento.
Avrebbe senso se questa fetta decidesse anche in base ai manifesti. Eppure non solo quelli esposti fuori da molte sale sono piccolini, hanno l'aria di essere lì giusto perché qualcosa deve pur esserci (ci sono invero, più grandi e all'interno delle sale, i cartonati di quel che uscirà), ma è evidente come la loro qualità media in teoria sia a tutti gli effetti un deterrente.

Con cattiveria si potrebbe pure buttare lì che c'è dietro una questione visiva più generale, che le immagini banali con cui un film si presenta corrispondono alla frequente piattezza visiva del nostro cinema, che deliberatamente si siano abbassati gusto estetico e pretese del pubblico.
In ogni caso, prendendola più bassa (ed esperienza di sala a parte), si compatisce un po' uno spettatore giovane di oggi e ci si chiede se essere conservatori, passatisti sia sempre sbagliato.

Alessio Vacchi
@twitTagli

(L'autore non risponde della nascita di eventuali voglie collezionistiche dopo l'apertura dei link a inizio articolo).


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