Trama di Splice
Gli ingegneri genetici Clive (Adrien Brody) ed Elsa (Sarah Polley) portano avanti in segreto un esperimento per creare un ibrido umano/animale. Quando Dren nasce, quasi per sbaglio, Clive and Elsa si rendono conto che ciò che stanno facendo metterà alla prova molti altri aspetti della loro vita, oltre a quello scientifico.
Recensione di Splice
Se non si patiscono danni cerebrali di qualche tipo, ci si accorge in tre secondi che Elsa ha un istinto materno frustrato (forse
I due lavorano in un centro di ricerca di nome Nerd (non sto scherzando). Tra le altre cose, pare che i dipendenti facciano a gara a chi sfoggia i vestiti più alla moda e che siano banditi i semplici camici bianchi che rendono famosi i centri di ricerca per essere pallosi. Insomma, incassata la percentuale dallo stilista a cui si fa pubblicità occulta, non ci resta che calarci nei panni della felice coppietta, rassegnandoci al pensiero che presto la loro quiete verrà turbata da qualcosa di terribile.
Se si chiude un occhio sulla sceneggiatura non brillantissima, ma comunque funzionale alla storia, il film è paragonabile a body horror come La Mosca e, per certi aspetti come la dinamica di coppia dei personaggi, addirittura superiore.
Brody, con la solita faccia da pesce-spada fuor d’acqua, si appresta a monopolizzare le inquadrature con il suo nasone. Lo so che non è carino sparare sulla croce rossa, ma con un bersaglio così enorme…
Va bene, la smetto.
Tra le altre cose Brody è un ottimo attore, peccato che non abbia un briciolo di buon gusto quando si tratta di scegliersi le parti. In un paio d’anni ha recitato in obbrobri come Predators e The Experiment (la versione americana, mentre quella originale, Das Experimente è un film indigesto quanto godibile).
Tornando a Splice, il film tratta la tematica etica un po’ come potrebbe farlo un film della Disney: “Non ci importa più di tanto, noi abbiamo una storia da raccontare, mica perdiamo tempo con le seghe mentali.” Lo scienziato che rompe le regole di Madre Natura paga ed i cocci sono suoi. Il mostro è visto come creatura innocente, vittima della hybris dei creatori. Anche senza anticipare nulla, il film evolve, almeno parzialmente – quasi seguendo la crescita della creatura – verso qualcosa di diverso. Da elemento estraneo, Dren (questo il nome dell’ibrido, la parola “Nerd” letta al contrario), comincia a fare parte del nucleo familiare. La sua presenza non potrà che fare leva sulle debolezze della coppia e stimolarne i nervi già scoperti.
Tutto ciò che invece è esterno alla coppia e alla loro creazione è tratteggiato in maniera decisamente superficiale. I personaggi secondari, quando va bene, sono stereotipati e piatti anche rispetto alla media di un film americano (quindi tantissimo). Ecco, forse l’ambientazione risente di un gusto un po’ troppo urbano. Troppo “in” i personaggi, troppo poco sporco sotto le unghie per tutti. Grazie a dio, questa superficialità ci risparmia anche il solito dibattito Fede Vs. Scienza.
La partecipazione emotiva è però quasi assente, causa caratterizzazione psicologia non troppo profonda. Per dirne una, ci s’intristisce con facilità quando la Creatura è lasciata da sola e comincia ad accudire un gatto, ma si rimane pressoché impassibili a qualsiasi disgrazia capiti al protagonista, le cui motivazioni non pervenute, e il ruolo molto passivo non aiutano certo l’identificazione.
Anche sul piano tecnico Vincenzo Natali (Cube) non offre molti appigli ad eventuali detrattori. Non è scialbo, ma non è uno stile definibile come personale.
Sintesi della recensione
Tutto questo, insieme ad un paio di scene memorabili per la repulsione e l’attrazione che riescono a suscitare, fanno di Splice un film riuscito nel genere a cui appartiene. Un horror-fantascientifico ibrido, di certo disturbante da più di un punto di vista.
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