Il ritorno dopo una settimana di pausa. Non ho scritto molto negli ultimi sette giorni, anzi, per niente. Ma è difficile scrivere quando si fa fatica persino a respirare. E' la vita che ogni tanto ti sommerge e tutto quello che si può fare, in quel caso, è battere forte le braccia e le gambe cercando di tornare in superficie. Allora concentri tutte le tue forze in quello e te ne sbatti del resto. Un blog è e resta comunque un accessorio.
Era però arrivato il momento di tornare e mi sembrava giusto farlo con una recensione cattiva su un film che non mi è piaciuto, che non avevo neanche visto ma che per mia sfortuna ho trovato e subito in tv: Splice, di Vincenzo Natali (2009).
Gli ingegneri genetici Clive e Elsa lavorano por il centro Nerd e portano avanti, parallelamente ad un progetto per la creazione di cellule staminali, un esperimento segreto per creare un ibrido umano/animale. Nascerà Dren, un piccolo essere deforme che crescendo cambierà le vite dei due moderni Frankestein.
Il mito di Prometeo, gli scienziati come nuove divinità che creano la vita (nuove forme di vita) e in questo modo sconvolgono gli equilibri della natura. Fin qui tutto bene, anzi no. Perché siamo nel campo del già visto, del già sentito, del già provato. Nulla di nuovo, semplicemente incartato in maniera diversa. Chi infatti si aspettava originalità dalla penna di uno dei cineasti più originali degli ultimi anni si è messo subito il cuore in pace: Splice è il solito film per dinamiche e intenzioni. E non ha nulla da dare.Ma questa non è una novità, non si riesce più a trovare roba originale nel cinema contemporaneo neanche a pagarla oro. Eppure lì dove sarebbe bastato procedere per sottrazione, senza spiegare, cercando di fare il contrario di quel che ci si aspetta, abbiamo trovato un polpettone che dice troppo e ancora di più mostra. Ed è qui che riscontriamo i due principali problemi del film: quello di mettere sul piatto troppa carne, troppi temi troppo complessi e poi scegliere di portare avanti quello più facile in maniera semplicistica; quello di voler per forza stupire con effetti visivi che a conti fatti non stupiscono per niente, anzi.
Clive e Elsa (interpretati rispettivamente da Adrien Brody e Sarah Polley) dovrebbero essere due scienziati atipici, per modo di apparire e di fare. Sono fashion, lavorano a tempo di musica, amano apparire sulle copertine dei giornali. Capiamo già tutto di loro perché sono sottili come pagine di un libro: non c'è spessore, non c'è immedesimazione. Personaggi di un film, appunto, che creano la vita e poi ne perdono il controllo. Ma la catena di eventi avviata non può più essere fermata, come ci spiega il finale aperto (?) che per contrappasso punisce i due scienziati. Solo che tutti questi passaggi, tutta questa concatenazione di eventi, è scontata, intuibile, noiosa. Splice vorrebbe essere un body movie di ultima generazione ma quel che racconta l'hanno già raccontato registi come Cronenberg (La Mosca) e Lynch (Eraserhead), l'ha già fatto la letteratura (Frankestein l'Immortale). Non c'è nulla che salvi questo film dalla mediocrità e infatti è già caduto nel dimenticatoio, cosa terribile per un prodotto di consumo. Meglio fare schifo allora che diventare invisibili.
Alla fine è tutto sbagliato, la scelta degli attori (e soprattutto quella trasformazione mostruosa di Delphine Chanéac, modella, non attrice), dei coo-sceneggiatori (Antoinette Terry Bryant eDouglas Taylor, forse i veri responsabili?) che non approfondiscono nulla: la psicologia dei personaggi, le dinamiche tra questi, gli importanti temi sfiorati e poi abbandonati. Persino la fotografia di Tetsuo Nagata non incanta come suo solito. Inutili i riferimenti a tanta fantascienza (Alien, Specie Mortale, La Mosca), si salva solo qualche guizzo alla regia, perché il talento c'è e si vede. Poi uno va a guardare chi è il produttore esecutivo e scopre Guillermo del Toro. Tutto torna, a sto punto, perché il nostro non ne ha mai imbroccata una giusta, da produttore. Ma inutile piangerci troppo sopra, la storia del cinema è piena di film di cui nessuno si ricorda, forse nemmeno chi li ha fatti.