Uno spogliarello molecolare: colpita della luce, una grande molecola PAH si sveste di tutti gli atomi di idrogeno esterni, fino a mostrare lo scheletro nudo di carbonio. Da questo, con ulteriorI contorsioni, si può formare la ‘Buckyball’ di fullerene C60 rappresentata in basso a destra. Crediti: Leiden University Linnartz/Tielens
Se si mettono assieme un po’ di atomi di carbonio nelle appropriate condizioni chimico-fisiche, saltano fuori delle combinazioni (ovvero delle forme molecolari allotropiche) piuttosto interessanti. La grafite e il diamante sono le più note, ma da qualche decina d’anni sentiamo parlare anche di fullereni, nanotubi di carbonio, grafeni: a forma di pallone da calcio (C60) o da rugby (C70) i primi, ovviamente tubolari i secondi, di struttura planare i terzi. Tutte sostanze – non occorre dirlo – da Premio Nobel.
Gli scienziati si aspettavano da tempo di trovare fullereni nello spazio, ma per la conferma definitiva, ottenuta grazie al telescopio spaziale Spitzer della NASA, hanno dovuto aspettare fino al 2010 (leggi qui su Media INAF), quando è stato osservato il C60 Buckminsterfullerene, una molecola caratteristica che rappresenta anche la più grande identificata finora nel mezzo interstellare. Rimaneva il problema di come fosse possibile che una molecola così grossa si potesse formare all’interno di un crogiolo cosmico piuttosto rarefatto. A causa della natura altamente diluita della materia nello spazio, risulta infatti molto improbabile che il fullerene si possa formare attraverso una serie di fasi sequenziali, a partire da costituenti di taglia più piccola. Ora una possibile risposta a questa domanda è stato trovata grazie a una ricerca svolta nel Laboratorio di Astrofisica all’Osservatorio di Leiden, in Olanda, i cui risultati sono in via di pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters.
Per arrivare al risultato, i ricercatori di Leiden hanno, per così dire, costretto a una “danza dei sette veli” alcune molecole grassocce di idrocarburi policiclici aromatici (PAH nell’acronimo inglese), la cui struttura può essere descritta come reticoli planari di carbonio punteggiati da atomi di idrogeno ai bordi. Si tratta di molecole prodotte in grandi quantità dalle stelle morenti e che nello spazio sono piuttosto comuni e ubiquitarie. Sulla Terra si formano come sottoprodotti della combustione, ad esempio nei gas di scarico delle autovetture.
In laboratorio, molecole di idrocarburi policiclici aromatici sono state colpite selettivamente con dei fasci di luce molto precisi, scatenando una sorta di striptease in cui le PAH si spogliavano progressivamente di ogni singolo atomo di idrogeno, fino a far rimanere solamente il nudo scheletro di carbonio. Questo non è altro che un fiocco di grafene che, attraverso un’altra serie di trasformazioni nella struttura geometrica, può “arrotolarsi” nelle tipiche forme a palla dei fullereni.
Junfeng Zhen, autore principale della ricerca, assieme agli studenti di dottorato Pablo Castellanos e Daniel Paardekoope, spiega: «L’esperimento inizia con una grande PAH, ad esempio C66H26, quindi la molecola viene ionizzata e quindi intrappolata in una trappola ionica. I campioni intrappolati vengono irradiati con luce e si frammentano. Una volta che la trappola viene aperta, uno spettrometro di massa molto sensibile viene utilizzato per visualizzare che tipo di sostanze si sono formate. E troviamo tutti i passaggi, dalle specie precursori fino alla molecola completamente spogliata, nonché nuovi prodotti di reazione».
I responsabili del progetto, Xander Tielens e Harold Linnartz sono particolarmente entusiasti del fatto che tra i prodotti di reazione sia stato trovato anche il fullerene C60. «Gli esperimenti dimostrano che è possibile trasformare dei PHA planari in molecole sferiche cave, e questo può spiegare perché troviamo il fullerene C60 nello spazio», ha detto Tielens. «Gli esperimenti mostrano anche che la complessità chimica nel mezzo interstellare non deriva necessariamente dalla fusione di componenti più piccoli, ma anche la frammentazione di un precursore più grande può essere ugualmente importante».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo Laboratory formation of fullerenes from PAHs: Top-down interstellar chemistry, di Junfeng Zhen, Pablo Castellanos, Daniel M. Paardekooper, Harold Linnartz, Alexander G. G. M. Tielens
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini