Spoon River d’Ogliastra 11: Peppina e le donne di Arzana.

Creato il 15 novembre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Rina Brundu. Se dovessi darle un nome la chiamerei Peppina perché il nome vero non mi torna alla mente e perché forse non l’ho mai saputo. Il suo ricordo è sepolto nella memoria imbrogliante di diverse vite fa ma è come facesse punto di non sparire mai. Peppina doveva essere vedova, ma non aveva figli. Si spiegherebbe così il suo vestire a lutto; che le donne sarde di quei giorni passati il lutto lo mettevano istanti dopo che la dolce metà era passata a miglior vita e se quella anziché dolce era stata bastarda, adultera, imbriaca, inetta, inutile non faceva differenza. Il lutto diventeva, nel tempo, la loro seconda pelle e a salvarle dalla penitenza poteva intervenire soltanto un secondo matrimonio o la morte che spesso, molto spesso, la seconda opzione era da preferirsi e risultava persino allettante. Si spiegherebbe così anche quella sua solitudine di figura allampanata e dimessa che ogni giorno dell’anno, piovesse o tirasse il vento, percorreva il lungo stradone di paese in giù o in su a seconda dell’ora che con puntualità dimenticata batteva il campanile della chiesa, di ritorno o in visita ai parenti. Che Peppina parlava di rado, non si perdeva mai in convenevoli e recitava bene il ruolo che meglio le si addiceva e che gli altri, tutti gli altri, avevano preparato per lei da tempo immemore. Che a ricordarla seduta sulla scalinata esterna della sua unica stanza al secondo piano, circondata da piantucole di cactus che non avevano mai visto un giorno migliore, colpisce la dolcezza e la spigliatezza del suo spirito. Che adesso, soltanto adesso, mi domando che pensieri avesse, oltre quello di visitare i parenti, piangere un uomo che probabilmente non aveva mai aggiunto un granello di sale alla sua vita, percorrere veloce il grande stradone e vivere nel silenzio. Che Peppina aveva un senso della discrezione unico e visite alle comari ne faceva poche, meno che meno si faceva vedere in giro quando venivano sù le donne di Arzana che erano diverse da lei come il sole dalla luna. Che le donne di Arzana erano belle ed eleganti più delle altre e a guardarle non si faceva fatica a capire perché Samuele avesse preferito “bandiare” tutta una vita piuttosto che rinunciare alla sua, perché avesse preferito rischiare la libertà pur di rapirla malata e portarla fin sulle cime più slavate del Gennargentu, dentro i canyon ventosi, seppellirla tra gli anfratti gelosi di cui solo lui sapeva e perché si fosse infine preso una pallottola del Duce alle spalle con una certa serenità. Che i costumi delle donne di Arzana erano splendidi davvero, con corpetti bianchi e colorati e impreziositi da gioielli rari, con gonne lunghe delicate fatte spesse da strati su strati di stoffa sapientemente trattata. Che parlavano con un accento strano, da gentildonne di mondo e sapevano della malizia. Che Peppina maliziosa non lo era stata mai e non avrebbe saputo da dove cominciare. Che in fondo il problema non era suo ma con tutti gli altri. Che in quella Sardegna matriarcale anche lo status di donna “ci balede” bisognava guadagnarselo. Con fatica e spesso con un dato coraggio. Come il coraggio che aveva avuto Giuanna che in luogo posizionato molto più a sud rispetto a quello dove era nata Peppina, dopo che il marito era venuto a mancare e dopo che un bastardo le aveva ammazzato la figlioletta per nascondere il suo lurido operare, si era determinata a continuare a vivere nella sua casetta di campagna. Aveva imparato a cavalcare, a curare la proprietà, a fare ogni pesante lavoro di uomo allevatore, di uomo agricoltore, di uomo nato per fortuna e per dileggio sotto il cielo impertinente di Sardegna, finanche a sparare e poi aveva sistemato il vecchio fucile del padre di traverso e in bella vista sulla spaziosa cappa del suo caminetto in guisa di gioiello da esporsi senza mai toccarsi. Che quel fucile era il primo “mobile” che si notava entrando in casa ed era monito che affatturava e non necessitava di molte parole. Che Peppina, la dolce Peppina, un simile coraggio non l’avrebbe avuto mai ma segretamente ammirava la forza di Giuanna, la sua risolutezza nel ribadire il suo ruolo “de femmina ci balede” e la sua determinazione a trovare in solitudine un posto nel mondo. Che oggi come oggi i pensieri di Giuanna risultano chiari come neve al sole ma quelli di Peppina somigliano a foglie cadute, portate via dal vento, a rose perdute di cui non si è mai conosciuto il profumo e il rapimento di ciò che avrebbe potuto essere infesta i tuoi sogni e diminuisce i tuoi giorni, fino alla fine.

Featured image stemma del comune di Arzana.

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