Per la prima volta ho deciso di partecipare al Blogstorming di Genitori Crescono (non un mommy blog, ma un blog per genitori e c'è molta differenza).
Il tema proposto è la competizione. La prima che viene in mente in tema di figli è quella fra neogenitori alle prese con le performance dei nuovi nati. Io non la trovo molto interessante, frutto più che altro di insicurezza e legata a inesperienza e cieco innamoramento per i propri piccoli.
La competizione che mi interessa è piuttosto quella che si osserva come istinto nei proprio figli, il cosiddetto spirito di competizione.
Innanzitutto la domanda, che credo molti genitori si pongono più o meno apertamente: mio figlio è competitivo? Domanda secondo me legittima, perché è inutile negarlo, i bambini di oggi hanno davanti un futuro complesso e un po' di sano spirito di competizione e strategia, oltre a moltissimi altri "strumenti", li aiuteranno di certo a percorrere la loro strada. Io non ci trovo niente di male nella competizione se è giusta, ovvero se nasce dal confronto e dal desiderio di ottenere un risultato eccellente (magari impegandosi con dedizione). Lo avevo già detto qui, quando si parlava di formazione e Super Persone, tra buon senso e aberrazioni.
E poi l'altra questione: dove voglio/preferisco che mia figlio sia competitivo? Credo che qui, nel rispondersi, non possano non emergere i retaggi e l'esperienza di ciascun genitore. Nel mio caso, la scelta più volte discussa in questo blog di instradare Luigi (il primogenito) verso lo sport è tutt'altro che casuale.
Non ho mai avuto problemi nello studio, sono sempre stata "una brava" (non "la più brava"), non ho mai sofferto di particolari blocchi emotivi durante gli esami universitari. Ad animarmi e portarmi al risultato scolastico non lo spirito di competizione ma il piacere dello studio e il mantra di famiglia: fai il tuo dovere. Mantra che non funzionava però nelle performance sportive. Pur amando lo sport, da sempre l'agonismo mi ha depresso: le mie peggiori prestazioni avvenivano se c'era di mezzo una competizione, sia che si trattasse di una partita di pallavolo da campionato studentesco, di una pseudo gara di sci o di un torneo di bocce sulla spiaggia. E questa cosa l'ho sempre sofferta, tanto che negli anni ho adottato un approccio "granturismo" allo sport, evitando accuratamente cronometri, punteggi, partenze a arrivi.
Il mio tentativo di guidare Luigi verso lo sport non è dunque casuale, c'è un mio vissuto che mi fa considerare questo settore come un banco di prova. Inevitabile la domanda: è giusto o non è giusto riversare antiche insicurezze sui figli volendoli più competitivi proprio là dove noi ci sentivamo più deboli? Il buon senso ci fa dire che non è giusto, ma anche che è umano che un genitore più o meno consapevolmente voglia evitare alla propria prole le frustazioni patite in gioventù (errare humanum est!).
Concludo: la competizione non deve essere un tabù nell'educazione dei figli, piuttosto va insegnato loro come gestirla e ottimizzarla, tenendo comunque conto che il vissuto di ciascun genitore potrà portare a qualche storpiatura.
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