Ho preso parte allo Sportability Day organizzato dall'Universita di Salerno il 14 dicembre scorso. Mi si chiedeva di intervenire sul tema: "Diversabilità e sport per l'integrazione: possibili alleanze formative".Non sono uno specialista di pedagogia speciale. Mi sono lasciato sfidare dall'idea delle traiettorie non lineari di ricerca, che da' il titolo al ciclo di seminari organizzati da Maurizio Sibilio all'Università di Salerno. La sfida consiste in questo: quando viene chiamato a discutere di qualcosa che non appartiene strettamente alla sua ricerca, uno pesca dal suo repertorio, dalla sua enciclopedia di riferimento, cerca un costrutto che possa funzionare anche nel contesto di cui gli viene chiesto di occuparsi e poi opera di transfert cognitivo. Nasce così l'dea, la tesi, che voglio condividere. E intendo ragionare di abilità diverse in senso largo: ciascuno di noi sa fare alcune cose, non ne sa fare altre. Lo dimostra il quasi 20% di drop out che la nostra scuola produceEcco l'idea. Lo sport (come i media, come qualsiasi attività che non coinvolga direttamente le prime due intelligenze di Gardner, la matematica e la linguistica) costituisce da sempre un terreno privilegiato di esercizio di quella che Jacques Gonnet chiamava "pedagogia della diversità".Una pedagogia della diversità è una pedagogia capace di:- predisporre un campo di apprendimento in cui le regole si apprendono implicitamente, giocando, discutendo, facendosi correggere dai compagni. Un campo diverso da quello delle materie scolastiche, dove si apprende per forza in maniera esplicita. Un punto di accesso al sapere divergente rispetto a quelli tradizionali. Nello sport è il corporeo che guida il cognitivo, non è grazie al cognitivo che sviluppiamo il corporeo;- creare le condizioni perché le abilità diverse possano essere valorizzate (chi va male in matematica, spesso è bravo a calcio!);- creare le condizioni perché le abilità non adeguatamente espresse si possano manifestare (chi è negato per l'attività motoria trova nello sport uno spazio di training per provare a elaborare i propri limiti).Questi tre sensi dello sport come dispositivo pedagogico hanno a che fare con i suoi elementi costitutivi. Per dirla con Gee:- le grammatiche interne - le regole del gioco;- le grammatiche esterne - i discorsi e le pratiche che attorno al gioco si organizzano tra i giocatori;- l'identità, quello che noi siamo e che decidiamo di investire nel gioco.L'integrazione che dallo sport passa ha a che fare con tutte e tre:- con le grammatiche interne (l'accessibilità);- con le grammatiche esterne (l'apprezzamento sociale);- con l'identità (la tecnologia del sé).La condizione perché tutto ciò avvenga è la guidance, la presenza educativa del coach, che deve essere educatore sportivo, non solo trainer tecnico.
Ho preso parte allo Sportability Day organizzato dall'Universita di Salerno il 14 dicembre scorso. Mi si chiedeva di intervenire sul tema: "Diversabilità e sport per l'integrazione: possibili alleanze formative".Non sono uno specialista di pedagogia speciale. Mi sono lasciato sfidare dall'idea delle traiettorie non lineari di ricerca, che da' il titolo al ciclo di seminari organizzati da Maurizio Sibilio all'Università di Salerno. La sfida consiste in questo: quando viene chiamato a discutere di qualcosa che non appartiene strettamente alla sua ricerca, uno pesca dal suo repertorio, dalla sua enciclopedia di riferimento, cerca un costrutto che possa funzionare anche nel contesto di cui gli viene chiesto di occuparsi e poi opera di transfert cognitivo. Nasce così l'dea, la tesi, che voglio condividere. E intendo ragionare di abilità diverse in senso largo: ciascuno di noi sa fare alcune cose, non ne sa fare altre. Lo dimostra il quasi 20% di drop out che la nostra scuola produceEcco l'idea. Lo sport (come i media, come qualsiasi attività che non coinvolga direttamente le prime due intelligenze di Gardner, la matematica e la linguistica) costituisce da sempre un terreno privilegiato di esercizio di quella che Jacques Gonnet chiamava "pedagogia della diversità".Una pedagogia della diversità è una pedagogia capace di:- predisporre un campo di apprendimento in cui le regole si apprendono implicitamente, giocando, discutendo, facendosi correggere dai compagni. Un campo diverso da quello delle materie scolastiche, dove si apprende per forza in maniera esplicita. Un punto di accesso al sapere divergente rispetto a quelli tradizionali. Nello sport è il corporeo che guida il cognitivo, non è grazie al cognitivo che sviluppiamo il corporeo;- creare le condizioni perché le abilità diverse possano essere valorizzate (chi va male in matematica, spesso è bravo a calcio!);- creare le condizioni perché le abilità non adeguatamente espresse si possano manifestare (chi è negato per l'attività motoria trova nello sport uno spazio di training per provare a elaborare i propri limiti).Questi tre sensi dello sport come dispositivo pedagogico hanno a che fare con i suoi elementi costitutivi. Per dirla con Gee:- le grammatiche interne - le regole del gioco;- le grammatiche esterne - i discorsi e le pratiche che attorno al gioco si organizzano tra i giocatori;- l'identità, quello che noi siamo e che decidiamo di investire nel gioco.L'integrazione che dallo sport passa ha a che fare con tutte e tre:- con le grammatiche interne (l'accessibilità);- con le grammatiche esterne (l'apprezzamento sociale);- con l'identità (la tecnologia del sé).La condizione perché tutto ciò avvenga è la guidance, la presenza educativa del coach, che deve essere educatore sportivo, non solo trainer tecnico.
Potrebbero interessarti anche :