Spotlight è un film che rasenta la perfezione. Mette d’accordo tutti, convince senza se e senza ma, in una lezione che è di cinema e giornalismo allo stesso tempo. E persuade tutti scegliendo però quel tema di cui (quasi) nessuno vuole parlare: la pedofilia “tra le panche” della Chiesa.
La regia osserva con calma i fatti e la storia, con occhio denso e asciutto, proprio come i giornalisti del film scartabellano con attenzione i faldoni di carte alla ricerca della verità. Spotlight funziona anche perché non cede mai all’action né ad epicismi di molto cinema contemporaneo. Rimane duro e puro come uno stoico giornalista. Allo stesso modo la macchina da presa non si prende mai la licenza di “colpi di testa”. Il risultato? L’illusione di realtà è così profonda che lo spettatore ci scivola letteralmente dentro.
Insomma, Spotlight ha la solidità di un film d’altri tempi, sorretto con forza da una vera e propria sceneggiatura di ferro e d’acciaio, oltre che da una sorprendente prova corale dell’intero cast artistico (tutti intensi e morigerati, da Mark Ruffalo a Michael Keaton, da Rachel McAdams a Stanley Tucci).
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