S’è alzato il vento. M’è tornato in mente che provengo da un luogo diverso da quello che accompagna questi miei giorni contorti. A volte me ne dimentico, mi dimentico di non appartenere a questa città bulimica. Mi scordo che, da qualche parte, c’è un piccolo borgo fatto di vento ed erba bruciata dal sole e salsedine che corrode ogni cosa. E io, per tanti anni, l’ho chiamato casa.
Il vento tira così forte da far mulinare le foglie e oscillare pericolosamente la moto mentre procedo lentamente lungo la corsia preferenziale; la visiera del casco integrale è abbassata e mi protegge dal mondo. E’ notte e sembra che la città stia per essere spazzata via. E io con lei. Magari.
In questi giorni, mi sento pervasa da una malinconia atavica. E’ colpa del vento – a ricordarmi le mie radici e un’adolescenza senza colpi di scena e perduta per sempre. E poi, ci sono i tramonti color pesca, che mi trafiggono lo stomaco e rendono commovente la periferia che ogni sera mi accoglie, scarna e desolata, infestata di gru e studenti pendolari svogliati. E – of course – ci sono le serate insieme a Gabriele, fatte di passione, carezze e risate; Gabriele che, tra poche settimane, non ci sarà più. Restano le ultime immancabili serate in discoteca – prima dell’estate, con L tutto preso dalle sue donne inerpicate su tacchi dodici e io che improvviso balli sensuali con LFB n. 2 e intanto rispondo alle lunghe occhiate serie e incomprensibili di Alessio. C’è Andrew che mi telefona alla sera e io resto a guardare il display del telefono che lampeggia, finché non si spegne.
Ai miei occhi, ogni cosa o situazione è attutita e crepuscolare e mi osservo dal di fuori e ho la sensazione che alla fine di questa primavera, tutto andrà perduto. Smetteremo di giocare – io e tutti gli altri. Gabriele andrà via, incontro al suo futuro luminoso da giovane genio della finanza. L’afa calerà sulla città, come una cappa, e io passerò l’estate tra l’ufficio semivuoto, il ritorno nei luoghi in cui sono nata e lunghi giorni in barca a vela a prendermi il vento in faccia. So già che farò molti tentativi per superare l’assenza di Gabriele e saranno diversivi che, nella migliore delle ipotesi, mi anestetizzeranno ma, di certo, non mi salveranno.
Mi pervade una sensazione senza fondo e senza origine. Come se qualcosa stesse per spezzarsi. Come se stesse per finire ogni cosa. Penso che, a giugno, sarò ancora diversa. E così ogni cosa intorno a me.
Gabriele, ancora per poco, resta la parte buona della mia vita. Gli ho sussurrato in un orecchio Non voglio che ti scordi di me, quando sarai andato via. E m’è scappato un lacrimone grosso e tondo. E mi sono sentita sciocca e piccola e smisuratamente infelice. A volte, tra noi due, quello più grande sembra lui. Mi ha detto Vieni qua e mi ha abbracciato stretta e ha aggiunto Sono felice che le cose tra noi abbiano preso questa piega e la piega era l’essermi innamorata di lui.