I bastardi che un bambino riesce a cambiare formano senza se e senza ma, un genere filmico a parte.
Ne è pieno il mondo di esempi non certo all'altezza (fatevi un giro su La5 i venerdì o i sabato sera), ma per fortuna, nel mucchio, qualcosa riesce a prevalere.
Come non citare infatti un About a Boy che mescola l'ironia british ai sentimenti di buon cuore?
La storia è più o meno sempre quella: un egoista, asociale e felice di vivere a suo modo, viene in qualche modo costretto dalla vita/dalla vicina/dalla famiglia che viene a mancare, ad occuparsi di un bambino.
Inizialmente riluttante, inizierà ad instaurare poco a poco una sintonia, insegnando e allo stesso tempo imparando da chi gli è affidato, finendo per cambiare, in meglio, e il più delle volte anche a trovare l'amore.
Così funziona.
Perchè allora St. Vincent dovrebbe essere diverso da questo filone collaudato ed essere visto?
Prima di tutto per il protagonista che incarna quell'egoista e asociale di cui sopra è Bill Murray, estremamente sfatto, burbero e balordo, che beve a dismisura, intrattiene una soddisfacente relazione con una prostituta ucraina ora incinta, e che se ne frega di tutto il resto, almeno apparentemente.
A cambiare il ritmo delle sue giornate ci pensa la nuova vicina di casa, un'infermiera fresca di separazione che si ritrova a dover coprire turni extra e a dover affidare a qualcuno il suo Oliver, 12 anni, mingherlino e deboluccio.
Vincent non sembra la scelta più saggia, ma vista la vicinanza e che lo stesso Vincent ha bisogno di denaro (per ripagare debiti e per pagare le sue bevute) Oliver inizia a passare le giornate dopo scuola con lui, con il suo gatto altrettanto apparentemente burbero, tra ippodromi dove scommettere, bar dove bere e ospizi in cui far visita.
Ed immancabile parte la sua trasformazione
Ma, aspettate un attimo prima di vederci del buonismo spiccio e del già visto, perchè a ben guardare Vincent non è quel bastardo che vuole far vedere.
Vincent è un uomo di buon cuore, e anche se il cuore ce lo ha debole, ha sempre battuto sulla strada giusta, anche quando si trattava di farsi una prostituta che con il suo pancione non richiama più troppi clienti.
A rendere St. Vincent qualcosa di diverso è poi l'universo di personaggi folli che attorniano i protagonisti, la cui sintonia e la cui naturalezza (soprattutto per un ragazzino come il giovane Jaeden Lieberher) rappresentano già una marcia in più: quella prostituta divertente e non scoraggiata dalla vita interpretata da una perfetta Naomi Watts, una madre single che se si preoccupa tardi a cui sono riservati gli immancabili monologhi sulla responsabilità, e pure un prete, irriverente insegnante di Oliver, che lo spinge a trovare nella sua vita qualcuno da potersi definire santo.
Da qui parte il titolo, e da qui sta anche l'idea del film, che lo rende non tanto zuccheroso quanto godibile.
Tra una risata e l'altra, tra colori sgargianti e una fotografia molto indie style, si insinua lentamente una certa malinconia, che esplode in un discorso pubblico in cui vi sfido a trattenere le lacrime.
St. Vincent non sarà quindi il più originale dei film in uscita, ma offre una piacevole ora e mezza di distrazione, accompagnata da buona musica, e da interpreti che si finisce, inevitabilmente, per adorare.
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