Stalin+Bianca – Iacopo Barison

Creato il 28 luglio 2014 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

di Emanuela D’Alessio

«In un angolo del locale, una ragazza giovane sta disegnando a matita. Quando mi alzo per andare in bagno, do un’occhiata al disegno e il soggetto sembra essere un arcobaleno. Un arcobaleno in bianco e nero disegnato a matita. Tornato dal bagno, chiedo al ragazzo della dubstep se ha mai visto un arcobaleno. Lui risponde di no, perché siamo quasi coetanei, e intanto giocherella con l’allarga lobo».

Dopo aver letto queste parole mi sono resa conto che sulla copertina di Stalin+Bianca, il secondo titolo della collana Romanzi che Tunué ha affidato a Vanni Santoni, c’è proprio un piccolo arcobaleno senza colore, disegnato a matita. Nessuno, nel romanzo di Iacopo Barison, ha mai visto un arcobaleno, se ne parla, si cerca di scoprire le ragioni della sua scomparsa, al massimo lo si disegna in bianco e nero.
Già dalla copertina, quindi, possiamo farci un’idea di che cosa ci aspetta all’interno, a voler interpretare i segni. L’arcobaleno è l’emblema collettivo di armonia e speranza, e al suo cospetto è difficile non provare almeno un fremito di emozione e stupore. Un arcobaleno in bianco e nero, invece, sembra la negazione di tutto questo, la fine della speranza perché si è smarrito il futuro. Ma se ad aver visto un arcobaleno solo in fotografia sono adolescenti, ci accorgiamo che anche il presente è stato compromesso.
È così che si sentono i due giovani protagonisti Stalin e Bianca, vivono un presente contaminato dall’assenza di certezze e prospettive, circondati da adulti indifferenti se non ostili, da un contesto sociale desolato e degradato.

«Nel nostro quartiere ci sono persone, finestre aggiustate col nastro adesivo, lampioni spenti. Le persone guardano sempre in basso, e vanno di fretta. Non vedranno la pioggia radioattiva, o il meteorite che supera la stratosfera pronto a trasformarli in cenere. Oggi, ad esempio, non hanno visto la neve cadere dal cielo. Nel nostro quartiere ci sono negozi chiusi, firme sui muri e topi che attraversano la strada col semaforo lampeggiante. Il nostro quartiere rappresenta il tramonto della classe media».

Stalin sta per compiere diciotto anni, gli piacerebbe avere qualche certezza, sapere che la sua vita prima o poi cambierà. Ogni mattina cerca di rendersi presentabile ma non si sente mai felice. Lui e Bianca sono più fragili e vulnerabili degli altri, lui non riesce a tenere a freno la rabbia, lei è cieca, ma hanno le loro insensate o straordinarie passioni: per Stalin è una videocamera, la porta con sé ovunque per girare i frammenti di quel film che lo renderà famoso; per Bianca sono le poesie ed «è innamorata di un mondo che non ha mai visto». Insieme si compensano e si sostengono, e insieme decidono di intraprendere il loro viaggio verso un futuro imprecisato, perché non è importante dove andare ma quello che si vuole abbandonare.

«Lasceremo la Vespa e ci metteremo in viaggio. Andremo dove vogliamo, e faremo le nostre esperienze e non avremo né vincoli, né obblighi, né orari da rispettare. Ci dissolveremo nell’aria, e i chilometri ci faranno crescere. Io scriverò poesie e tu, invece, girerai dei film e diventerai famoso».

Non è così che ci si sente di fronte alle scelte rese inevitabili dallo scorrere del tempo? E quando, se non l’adolescenza, è il momento delle scelte irrevocabili ed estreme? Ma Barison non ci racconta solo una storia di adolescenti in fuga, ambisce a qualcosa di più complesso e a volte ci riesce.
Mettendo a fuoco solo Stalin e Bianca e lasciando tutto il resto in secondo piano, sfocato e sfumato, ci accompagna attraverso luoghi privi di qualsiasi indizio geografico, ci fa incontrare persone senza volto e senza nome, quasi sempre adolescenti in fuga e alle prese con vite precarie e marginali oppure adulti relegati al ruolo di tristi comparse su una scena spettrale, distopica. Ci fa sentire il freddo e la fame, il sonno e la stanchezza, la disperazione e l’attesa di un domani che stenta a svelarsi, «perché il mondo ha smesso di girare, è arrivato a un punto morto». Ci avverte che la realtà è una grande bolla che ovatta i suoni ed è sempre pronta a diventare un incubo. Ci fa assaporare un’aria che sa di sconfitte.
Così facendo ci racconta un’altra storia, quella di un’epoca contemporanea che mostra i segni di un declino inarrestabile. Ci mostra fabbriche abbandonate e palazzi incompiuti, città fantasma e baracche in rovina, addirittura un museo del degrado ambientale e un locale dedicato alla fine del mondo, per confermare il fallimento universale di una promessa. «Il progresso è come un boomerang. Questa è l’epoca in cui il boomerang ritorna indietro».
Ma nemmeno questa è la storia più importante né la migliore del romanzo, a mio parere, troppo pervasa da atmosfere apocalittiche e perturbanti che appesantiscono il ritmo narrativo, altrimenti veloce ed efficace, asciutto e anche poetico.
La storia più bella, che ci commuove e un po’ ci rassicura, è proprio quella di Stalin+Bianca, dove il + del titolo riassume con straordinaria semplicità il senso, anch’esso universale, dell’esistenza. È una storia d’amore quella che Barison ha voluto raccontare, perché Stalin e Bianca sono una sola entità, a dispetto delle loro diversità e dell’insostenibile difficoltà di vivere, si prendono per mano e provano a non spaventarsi di fronte all’assenza di un arcobaleno.
E noi, congedandoci dalla lettura, ci chiediamo: siamo ancora in tempo per tornare a vedere gli arcobaleni insieme ai nostri figli?

Nota sull’autore
Iacopo Barison è nato a Fossano (Cuneo) nel 1988. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo, 28 grammi dopo (Voras) tratto dal suo blog. Suoi racconti e articoli sono apparsi su numerosi siti e riviste. Collabora con minima&moralia. Stalin + Bianca (2014 ) è edito da Tunué, nella nuova collana Romanzi.

Per approfondire
La recensione  su Patria Letteratura
La recensione su Linkiesta

L’intervista su Via dei Serpenti a Vanni Santoni, il curatore della collana Romanzi

Stalin+Bianca
Iacopo Barison
Tunué, collana Romanzi, 2014
pp. 175, € 9,90


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