Stanco e quasi arreso (Giorgio)

Da Pamirilla

Non sono andato neanche oggi alla Scuola. A far che? Mi sono chiesto.
A rimpastare le briciole rinsecchite della mia vita sgretolata? Patetico.
Io sul divano a far finta di essere vivo, magari leggere il giornale.
Lei, nella stanza accanto, a far finta di essere tranquilla, magari controllare carte, mettere in ordine.
La guardo e ricordo del suo corpo, del suo calore, del suo odore.
La donna che ho amato, che amo, la posso sfiorare solo con gli occhi, ora, e da lontano.
Non c’è altro tra noi che uno spazio vuoto: l’abisso profondo del suo disinteresse.
Quello che ci tiene ancora insieme è solo la mia paura di perderla, anche se so, senza volerci credere, che è già persa.
Tutta la mia determinazione si scioglie nel tentativo di non lasciarla scivolare via.
Uno sforzo tanto immenso quanto inutile, senza frutto, senza costrutto.
Le nostre disperazioni sono di materia diversa e non ci fanno complici.
Quanta solitudine in un rapporto rotto!
Me ne sto qui, solo, e la guardo. Distante, cattiva.
Basterebbe un leggero soffio di vento per farla volare via; per questo non mi muovo;
trattengo il minimo movimento, non emetto parola.
Anche un alito potrebbe essere fatale.
E mentre trattengo i muscoli e le parole, osservo il silenzio, tra noi due, scavare la fossa al nostro amore morto.