Stanisław Baliński

Da Paolo Statuti

Stanisław Baliński

Stanisław Baliński, poeta, prosatore, saggista e diplomatico polacco, nacque a Varsavia il 2 agosto 1898. Studiò filologia polacca all’Università di Varsavia e teoria e composizione musicale presso la Scuola Superiore di Musica a Varsavia. Nel 1920 entrò a far parte del celebre gruppo poetico Skamander, i cui membri sono tutti presenti nel mio blog: Antoni Słonimski, Kazimierz Wierzyński, Jan Lechoń, Julian Tuwim e Jarosław Iwaszkiewicz. Fu diplomatico in Cina, Brasile e Persia. Nel 1939, allo scoppio della guerra, era a Parigi, e successivamente si trasferì in Gran Bretagna. Negli anni 1940-45 lavorò presso il Ministero degli Esteri del governo polacco in esilio a Londra. Durante la guerra scrisse questi due versi: “La mia patria è la Polonia Clandestina,/che lotta oscura, sola e peregrina”. Negli anni ’50 collaborò con le radio Europa Libera e Voce dell’America. Scrisse 5 raccolte di poesie, due di racconti, saggi e numerosi feuilleton. Benché lo desiderasse tanto, non gli fu concesso di tornare in Polonia. Restò in esilio come Lechoń e Wierzyński. Morì il 12 novembre 1984 a Londra in miseria e in solitudine.

Scrive lo scrittore, poeta, traduttore ed editore Paweł Hertz (1918-2001) (1) nel suo commento alla raccolta poetica Peregrynacje (Peregrinazioni) di Stanisław Baliński, edita nel 1982 dalla casa editrice PIW di Varsavia: “Tra i poeti della sua generazione, Baliński è rimasto forse il più fedele al compito della poesia, che rievoca per noi ed estrae dal fondo del tempo trascorso immagini e pensieri, forme e ombre, colori e suoni, li salva dalla morte e dall’oblio e, presentandoli di nuovo, fa sì che ricordando ciò che è passato in modo diverso, più saggio e più vero, vediamo ciò che è e prevediamo ciò che sarà. La poesia così intesa non crea nuovi mondi, ma è un saggio commento del mondo reale, mentre esso ad ogni istante muta nella nostra memoria. Il poeta dunque, fedele al compito così inteso della poesia, fa sì che esso duri. Risponde a questa attività il classico, capiente ed ampio andamento del verso, e soprattutto la lingua limpida e comune, attinta dalle forme pure, organicamente legata alla storia e alle sorti della comunità che di essa si serve. La poesia di Baliński non teme la commozione né la riflessione, a volte essa rasenta perfino i confini dai quali così superstiziosamente si guardano i parvenu della modernità, e di proposito tratta di cose e questioni per così dire banali e sentimentali. Ma sia le cose che le questioni in Baliński non appaiono mai né banali né sentimentali, come accade quando esse escono da una penna rozza e maldestra, da una mente piatta e fredda. Nelle poesie di Baliński ciò che è piccolo e ciò che è grande, ciò che è importante e ciò che è apparentemente futile, ha in sé il pregio della profondità ed esprime il vero sentimento, comune a noi tutti esseri mortali, limitati dal nostro proprio destino”.

(1) Vedi due sue poesie nella mia versione in “Caleidoscopio di poeti polacchi” (musashop.wordpress.com)

Poesie di Stanisław Baliński tradotte da Paolo Statuti

Flirt serale

Nel mio paese romantico, musicale,

E’ rimasto uno stagno, ove le ballate non muoiono,

Avvolto da vaporose betulle,

Circondato da un triplice ontaneto.

Lungo la riva dello stagno chiari calami

Si arrampicano verso l’ondulato sentiero,

Dove due ombre, occhi non spenti,

Ancora oggi corrono, per incontrarsi ancora.

In mezzo allo stagno, coperta dai vimini,

Una vecchia barca scorre sicura,

Dove due ombre, incrociando due remi

Ancora oggi pensano che l’amore dura in eterno.

Cala la sera. Anche le viole annegano

Nello stagno, come lacrimose dumki.

E due ombre tra scuri ranuncoli

Ancora oggi sussurrano: buonanotte per sempre.

Torno di notte lungo lo stagno e l’edera,

Come in sogno vago dalle stelle ai mattini,

Ascoltando se l’acqua non scroscia,

E se non incontrerò nuovi amanti.

Ma là è silenzio. Il verde si secca,

Gli alberi tarlati biancheggiano come ossa,

L’acqua tace e chiude gli occhi,

Fedele alle ombre e al primo amore.

L’altro nome della solitudine

Com’è bello a volte allontanarsi dalla gente

E accogliere la solitudine tra meste riflessioni,

Quando vicino, con la casa, ci sono amici e parenti,

Dai quali si può tornare, se la solitudine stanca.

L’hanno cantata i poeti di quasi tutti i tempi

E hanno scelto per essa i più sottili rasi,

E la gente, toccando queste parole rasate,

Chinava il capo commossa dalla loro bellezza.

Ma c’è un’altra solitudine, senza pianto e sentimento,

Quella che non conosce spettatori e pietà,

Che il mondo come abisso senza scopo scopre,

Affinché tu ti specchi in essa. La solitudine vera.

In un albergo straniero, a uno dei piani,

Una lettera sopra un rozzo tavolo: interno di deserto.

La notte copre intorno il senso vero della vita,

E l’unica sua voce è il sussurro degli infelici,

Che fluisce dagli interminabili confini della sofferenza,

Eternamente uniti all’enigma dell’esistenza.

“Aiuto” – gridi, meravigliato della tua parola

E afferri la cornetta. E la posi di nuovo.

Perché non c’è chi chiamare, né perché chiamare.

Ah, non c’è neanche a chi la tua miseria celare

E non c’è come destarsi, come assopirsi,

Salvo col passare del tempo respirare e spegnersi.

Ed ecco in tali notti senza Padre né Spirito

Qualcuno si ferma sulla porta e bussa tre volte

E lentamente apre la porta, e resta sulla soglia.

Proprio lei è venuta: brutta, non più giovane.

La guardi, il polso lacerato dal timore.

Sorella minore della morte – è il suo nome.

Il destino

Camminava un romantico in ritardo, con una valigia di versi.

La valigia si frantumò

E tutti i versi si rovesciarono…

Il vento li sparse, la nebbia li pianse

Come turbine atmosferico –

Versi di rivolta contro di sé e il mondo,

Versi di confessioni con fiori e senza fiori,

Versi che dovevano essere fama,

Un tempo eroici, oggi maledetti,

Un tempo semplici, oggi incomprensibili…

Tutto si frantumò, si disperse

E si smarrì, come dissenso

Che batte sulla vita.

Calava la notte, e all’indomani all’alba

Rimase sulla strada una sola, unica

Metafora scampata:

Era a forma di rametto

Di lillà, che dormiva sulle foglioline del verde.

Qualcuno lo trovò. Se lo mise in tasca.

Addio

   Alla memoria di Stefan Napierski (2)

 

Addio, luce rosata di serate che si spengono,

E tu, stella, che brilli in un sonetto ispirato,

E tu, cuore, che ami per tua propria scelta,

Per la quale ogni uomo ti fu patria nel mondo.

Addio, meditazione del saggio che nella notte scura

Ti sporgevi dalla finestra, dove fiorivano le rose,

E cercavi nei cerchi della tua segreta scienza,

Come prolungarci la vita di una notte almeno.

Addio, pallida melodia dell’età trascorsa,

Che cantavi la libertà e l’amore delle nazioni,

E nel brusio della città e nel silenzio dei giardini,

Cercavi, instancabile, la verità sull’uomo.

Ci chiniamo su di voi come sulle bellezze,

Che sono state elevate, onde abbatterle poi,

E sono state chiamate nuvola e canti,

Per unirle alla sofferenza e calpestarle col fango.

Ma chi si dissetò con la forza dell’ispirazione,

E adesso deve contare sconfitte e ferite,

Appartiene alla schiera dei deboli e invincibili,

E le tenebre e il silenzio più non teme.

Le tenebre non lo tradiranno, e il silenzio ascolterà,

Andrò con lui sul sentiero dei frateli immortali

E gli daranno un giorno, trascorsa la fonda notte,

Tutto ciò cui anelava, tutto ciò che ha perduto.

All’orizzonte della notte frusciano gli alberi neri,

Cui hanno messo nelle radici le spine dell’odio,

L’ombra degli amici morti ti dice addio e canta

Con voce più quieta del sussurro di foglie dimenticate.

(2) Stefan Napierski, poeta, traduttore e saggista polacco, nato a Varsavia nel 1899, e ucciso in una esecuzione di massa dai tedeschi nel 1940.

Sull’Oceano Atlantico

O stella nel cielo scuro, cosa stai cercando?

Da dove vieni, misteriosa, e dove sei diretta?

Sento il tuo trepido respiro, la tua ansia ascolto,

Che mi penetra nel cuore e nelle vene scorre.

Reggendomi alla ringhiera del cielo sulla nave sorda,

Avvolto nel nero mantello dell’atlantica notte,

Navigo dietro a te lentamente, aspetto lo scongiuro,

Il segnale, che tranne noi nessun altro udrà.

Prima che l’alba col primo soffio sfiori la volta

E ti spenga, o stella, come fioco lumino,

Rispondi, cosa cerchi? – Cosa cerco, – mio caro? –

Baluginò la stella – io cerco il mio nome.

Ninnananna da cortile

Gli abiti estivi di mia sorella, bianchi abiti estivi,

Prendono aria sul balcone – ringhiera del cielo,

Il vento di primavera li sfiora dolce e mesto,

Quasi fossero nuvolette da sollevare.

Alla finestra siedono i genitori. Il profilo severo

E gli occhi offuscati dal lungo vegliare,

Guardano i bianchi serti intrecciati per mia sorella,

E guardano i bianchi abiti per lei acquistati.

Il vento scorre sul balcone. Il sogno ruota

E sventola come mussola stesa ad asciugare…

Ma mia sorella non c’è. Mia sorella viaggia.

Gli abiti li ha dimenticati. E mai tornerà.

Illusioni

Quando il crepuscolo fluisce adagio alla finestra,

E spegnendo la luce del cielo, le lampade accende,

C’è un istante in cui si desta l’amore impulsivo,

Per sussurrare che ben presto sparirà.

Se la melodia della vita sfugge alla vita,

Il crepuscolo sfugge alla notte e proprio quest’attimo

Si china su di me come riflesso di speranza,

Per sussurrare che si spegnerà all’istante.

Fermato alla finestra in quel minuto morto,

La pagina del giorno giro verso la notte,

E mi dico che tornerò alle luci,

Ma non torno.

(C) by Paolo Statuti