Era il 15 marzo 2003, esattamente 10 anni fa, il giorno in cui il WHO dichiarò che una nuova malattia, chiamata con un acronimo SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave), era una minaccia per il mondo intero.
Tutto era iniziato verso la fine del 2002 con un'epidemia di polmonite atipica nella provincia cinese del Guangdong. Da settimane su internet si rincorrevano voci allarmate che qualcosa di preoccupante stava accadendo in questa ricchissima provincia del sud est della Cina. Nei ristoranti si serviva ogni genere di animali selvatici; zibetti e altre prelibatezze erano ricercati dai buongustai della selvaggina esotica... ma allora non si sapeva ancora che gli zibetti erano portatori di un virus che si era originato nei pipistrelli.
A inizio febbraio 2003, il WHO ricevette una mail anonima su una misteriosa infezione che nel Guangdong aveva già fatto un centinaio di vittime. Le autorità cinesi ammisero che era in corso un focolaio di polmonite atipica di cui non sapevano spiegare l'origine ma non c'era da preoccuparsi perché l'epidemia si stava progressivamente esaurendo. Non era vero, e nella terza settimana di febbraio...
Perché stiamo raccontando questa storia su questo blog? Perché è una storia fatta di storie diverse, che formano tutte assieme una storia più grande e sono concatenate l'una con l'altra come le mille notti arabe di Sheherazade.
Una di queste storie inizia il 21 febbraio 2003. Liu Jianlun è nefrologo alla Zhongshan University di Guangzhou, capitale del Guangdong. Il 21 febbraio è in viaggio diretto a Hong Kong, invitato a un matrimonio. Arriva nella metropoli a 45 minuti di aereo da Guangzhou e si dirige al Metropole Hotel, che oggi si chiama Metropark Hotel Kowloon. Fa il check-in, gli danno la chiave 911, nono piano. Prende l'ascensore. Quanti salgono con lui? Esce quasi subito: ha un appuntamento con suo cognato. Forse in corridoio, forse in ascensore, incrocia un giovane sui trent'anni che è andato a trovare un amico: anche lui al nono piano del Metropole.
Il giorno dopo Liu Jianlun si sente molto male, tanto male da non essere in grado di andare al matrimonio a cui è stato invitato. E' un medico intuisce la gravità dei sintomi e si precipita al Kwong Wah Hospital dove chiede una mascherina con cui coprirsi la bocca. Racconta al personale medico di avere curato alcuni malati a Guangzhou, una malattia che da novembre ha fatto molte vittime. Chiede di essere messo in quarantena in una stanza sigillata e depressurizzata per evitare la circolazione del virus. Viene ricoverato in unità di terapia intensiva. Muore il 4 marzo.
Al nono piano del Metropole aveva una stanza anche Johnny Chen, un businessman cino-americano. Sarà salito in ascensore con Liu Jianlun? Il 24 febbraio ha un volo per Hanoi. Due giorni dopo il suo arrivo in Vietnam si sente male e viene ricoverato al French Hospital.
Il 25 febbraio anche il cognato di Liu Jianlun si sente male e va al Kwong Wah Hospital ma viene dimesso subito; non lo collegano a Liu Jianlun, non sospettano che è in corso un'epidemia.
Una settimana dopo il ricovero al French Hospital, Johnny Chen, in condizioni stabili ma critiche, viene trasferito al Princess Margaret Hospital di Hong Kong, dove muore il 13 marzo. Il contagio ormai corre lungo le principali rotte aree. Gli ospiti del Metropole che sono entrati accidentalmente in contatto con Liu Jianlun viaggiano, si spostano.
Il 23 febbraio Sui-chu Kwan, 78 anni, e suo marito hanno il volo di ritorno Hong Kong - Toronto. Sono arrivati dal Canada per fare visita a uno dei loro figli e hanno preso una stanza al Metropole con un buono offerto dalla compagnia aerea con cui volano. Il 23 dunque fanno il check out e vanno in aeroporto. Stanno apparentemente bene, Sui-chu Kwan non immagina che sta portando nei suoi polmoni il virus della SARS.
Il primo marzo in un ospedale di Singapore viene ricoverata una giovane donna con problemi respiratori. Anche lei è stata al Metropole Hotel nei giorni tra il 21 e il 25 febbraio. E sempre il primo marzo il cognato di Liu Jianlun viene ricoverato al Kwong Wah Hospital. Per ironia della sorte, nessuno degli impiegati del Metropole Hotel è rimasto contagiato.
Nel frattempo 7 operatori ospedalieri che hanno curato Chen al French Hospital di Hanoi hanno sviluppato i suoi stessi sintomi. Nessuno capisce di cosa si tratta; tra i medici che si sono occupati di Chen c'è anche uno specialista italiano di malattie infettive che lavora per il WHO; è lui il primo a notare l'epidemia che si sviluppa tra il personale ospedaliero e sospetta che si tratti di influenza aviaria: comunica la cosa agli uffici del WHO di Manila. Ai primi di marzo i quartieri generali del WHO iniziano ad allarmarsi.
Al Metropole c'è anche un altro canadese di Vancouver. Al suo ritorno in Canada viene subito messo in isolamento. Ma siamo già verso la metà di marzo, quando il mondo sa della SARS. A Toronto, a inizio mese, invece, le cose sono andate ben diversamente.
Sui-chu Kwan muore a casa il 5 marzo, curata dalla sua famiglia. E' diabetica, nessuno sospetta che la causa del decesso possa essere dovuta a qualcosa di diverso. Due giorni dopo il figlio Chi Kwai Tse si sente male, non riesce a respirare e viene portato in ambulanza allo Scarborough Grace Hospital. I medici pensano ad una polmonite e lo mettono in una stanza insieme ad un 76-enne cardiopatico. Quella notte arriva al Grace Hospital anche Bruce Englund allarmato dalle chiamate dei colleghi del servizio medico. Bruce contrae la SARS quella notte. Tre giorni dopo Tse viene ricoverato in terapia intensiva con una diagnosi di sospetta tubercolosi. I medici che lo curano non usano protezioni di alcun genere.
Tse muore il 12 marzo, lo stesso giorno in cui il WHO lancia un allarme mondiale. Quattro giorni dopo il paziente che aveva diviso con Tse la stanza di ospedale ha febbre e difficoltà respiratorie. Morirà il 22 marzo.
Lo Scarborough Grace Hospital diventa l'epicentro canadese dell'epidemia. Personale medico e pazienti diventano gli anelli di una catena di trasmissione del contagio che verrà spezzata solo quattro mesi più tardi dopo la chiusura temporanea dell'intero ospedale e la messa in quarantena del personale medico e delle loro famiglie. In quei primi giorni di marzo a Toronto non si pensava che un nuovo virus che si stava diffondendo negli ospedali della città.
Oggi Bruce Englund, che ha 61 anni, è pensionato. Molti che hanno preso l'infezione sono guariti completamente, altri, come Bruce, continuano ad avere problemi cronici di salute. Dieci anni dopo, i sei mesi dell'epidemia di SARS rimane impressa nei ricordi delle persone che hanno vissuto quella crisi entrata negli annali della storia della medicina. Una saga incredibile che non ha risparmiato vite, che ha decimato famiglie intere; che fatto la carriera di alcuni e distrutto quella di altri, ma questa è un'altra storia ancora.
Read more:
SARS: Memories of global health crisis still fresh in the minds of the players
SARS legacy: outbreak reporting is expected and respected (richiede registrazione, gratuita, a The Lancet)
Severe acute respiratory syndrome (Wikipedia)
WHO: Update 95 - SARS: Chronology of a serial killer