Dopo aver infuso nuova linfa vitale all’universo di Star Trek, donando al celebre franchise ideato e concepito per il piccolo schermo una dimensione cinematografica aggiornata ai nostri tempi, J.J. Abrams porta a casa un altro successo, eseguendo ciò che gli era stato richiesto dai produttori di un’altra delle saghe più amate e venerate di sempre. Sbagliano i delusi dal nuovo, attesissimo, capitolo di Star Wars ad incolparlo di mancanza di coraggio nell’osare strade nuove. La storia del cinema non è certo costellata di sequel che hanno l’audacia di distaccarsi con forza e personalità dal modello originale. In fondo, se così fosse, che senso avrebbe impegnarsi in un sequel (o prequel o remake o reboot che sia) anziché dedicare tempo ed energie nel creare un qualcosa di nuovo e di unico, ammesso che sia ancora possibile oggigiorno dar vita ad un qualcosa di mai visto prima. Abrams, ingaggiato dalla Disney dopo le iniziali perplessità e titubanze all’idea di confrontarsi con uno dei miti cinematografici con cui è cresciuto e si è formato, dirige e scrive il settimo capitolo insieme a Michael Arndt e soprattutto insieme a Lawrence Kasdan, che non a caso aveva già collaborato alla stesura degli script di L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, rispettivamente il quinto e il sesto capitolo della prima trilogia. Con la prospettiva già certa di non essere in cabina di regia dell’ottavo e nono episodio, affidati rispettivamente a Rian Johnson (Looper) e Colin Trevorrow (Jurassic World), J.J. Abrams centra il bersaglio laddove i prequel – tutti scritti e diretti da George Lucas, l’unico vero padre e creatore della saga interstellare – avevano fallito, ovvero riportare l’entusiasmo nei fan della prima ora e instradare al culto di Star Wars le nuove generazioni.
Il risveglio della forza è un film vintage, come giustamente sottolineato da molti, una sorta di libero rifacimento del capostipite realizzato nel lontano 1977. Già, perché come ampiamente annunciato questo settimo capitolo guarda solo ed esclusivamente alla vecchia trilogia, ignorando la nuova contraddistinta da una computer grafica a dir poco invasiva e ingombrante che limitava e intaccava il coinvolgimento emotivo del pubblico. Gli effetti speciali ci sono, certo, ma sono tenuti sotto controllo e imbrigliati proprio per riprodurre quell’effetto analogico che donava un cuore pulsante ai primi tre film girati a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Il ricorso ai mitici e amatissimi personaggi di allora (Han Solo, Luke Skywalker, Leia, Chewbacca e i droidi) serve come trait d’union tra le due trilogie, per gettare un ponte che unisca idealmente le due epopee, che in fondo sono e sono sempre state una ed una sola. Via allora tutto il sottotesto politico intessuto da Lucas nei prequel, che a dire il vero è più profondo e interessante di come sia stato recepito dai fan che l’hanno trovato troppo complicato oltre che eccessivamente cupo e pessimista.
Star Wars è una saga fantasy più che fantascientifica, che fa del puro intrattenimento e dell’avventura “spensierata e sbarazzina” uno dei suoi principali punti di forza. Ovvio allora che i prequel, che andavano a crescere toccando l’apice con La vendetta dei Sith (l’episodio conclusivo, tra i migliori dell’intera saga) non avessero smosso l’entusiasmo dei fan anche a causa di alcune clamorose scelte sbagliate ed infelici in fase di casting. Al contrario invece di questo nuovo capitolo che azzecca le new entry, specie per quanto riguarda i “buoni”. La protagonista de Il risveglio della forza è interpretata dalla giovane attrice inglese Daisy Ridley, brava e davvero sorprendente se si considera che è quasi al suo debutto in campo cinematografico dopo una brevissima gavetta in alcune serie tv. Chi è alla disperata ricerca di novità significative nel franchise ideato quasi quarant’anni fa da George Lucas dovrebbe riflettere sul fatto che questo nuovo episodio è declinato al femminile con un’eroina di grande spessore. Purtroppo non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda i nuovi cattivi che rappresentano una delle più grandi delusioni del settimo episodio, a maggior ragione se si pensa che sono interpretati da attori emergenti di grande talento. Domhnall Gleeson è decisamente sprecato nei panni del generale Hux, ruolo di contorno abbastanza insignificante mentre Adam Driver non riesce a dare abbastanza spessore e profondità a Kylo Ren, villain in divenire sulle (impossibili) orme di Darth Vader. Un personaggio che sulla carta poteva (e forse sarà nei prossimi capitoli) essere ben più complesso, interessante e stratificato.
Per dar forma e sostanza alla nuova trilogia e alimentare il mito di Star Wars, Abrams e soci guardano sì al modello originale ma anche ad altre saghe che nel frattempo si sono conquistate il favore del pubblico come ad esempio Il Signore degli Anelli, che ha ispirato alcune ambientazioni oltre a certe riprese aeree, come potrete constatare nello splendido e intenso finale.
In definitiva la sfida può dirsi vinta, superata con intelligenza e bravura nel dribblare le mille insidie insite in un’operazione di questo tipo, attesa spasmodicamente da oltre un anno da milioni di fan. Un film avvincente, che dosa e alterna scene spettacolari e divertenti a sequenze di puro pathos, forse più a suo agio con le prime, quando la materia narrativa si fa più lieve e brillante piuttosto che con le seconde, che richiedono una drammaticità e un’epicità che a volte sembrano latitare.
Boris Schumacher