Parla con lei, Iris, ore 23,52.
Quando lo girò, nel 2001, Pedro Almodóvar veniva dal successo enorme e anche inaspettato di Tutto sua mia madre. Anziché proseguire sulla strada del melodramma, scelse una storia volutamente più sottotono e dimessa come questa, quasi un kammerspiel fatto di emozioni trattenute. Prologo a teatro, dove si dà Café Müller di Pina Bausch, e già questo rende altamente raccomandabile la visione del film. In platea si incrociano due uomini, Benigno, infermiere, e Marco, scrittore. Si ritroveranno in una clinica, dove Marco veglia la donna di cui è innamorato, una torera finita in coma, e Benigno una studentessa di danza, anche lei priva di conoscenza. I destini dei quattro si influenzeranno e muteranno. Una delle due ragazze muore, l’altra rimane incinta di Benigno, che l’ha violentata durante il coma. Avrà il figlio e riprenderà coscienza, in una scena che non può non ricordare quella, analoga anche se più radicale e religiosa, del risveglio in Ordet di Dreyer. Forse il film più eccentrico di Almodóvar, il meno classificabile, in un certo senso il meno almodovariano, rimasto un episodio isolato nella sua filmografia. Straniante.