Statua in onore del Papa Karol Wojtyla - Quello che non è stato detto

Da Webnewsman @lenews1

Non sempre l’Arte riesce  ad evocare e  inculcare il suo fragore vitale. È ciò che accade a Roma nella primavera del  2011. Dalle mani dell’artista italiano Oliviero Rainaldi  nasce la statua dedicata al Papa  Karol Wojtyla. L’Opera scultorea, oltre 5 metri in altezza, realizzata in bronzo, venne situata davanti la stazione termini di Roma,  in Piazza del Cinquecento. Milioni sono state le critiche riversate al monumento e, purtroppo,  sempre accompagnate da  eccezioni negative, poiché ritenuta nella raffigurazione poco simile alle sembianze del Papa. Si espresse anche la politica  regionale del Lazio definendola categoricamente brutta. Morale: la statua fu respinta e rifatta, Oliviero Rainaldi operò nuovamente sull’Opera  e con la destrezza di un chirurgo  ne trasforma l’aspetto, ammorbidendo, ristrutturando e modificando i tratti. Dal 22 Settembre 2012 la scultura, (chiamata  Rivelazioni), dopo nove mesi di “ritocco”, rierge nuovamente in piazza del Cinquecento e pare che nelle sue nuove fattezze sia gradita  di più.

Il mantello, con lo scopo di ottenerne un drappeggio più naturale, è stato completamente rifatto e  ripartito attraverso un panneggio più  morbido e sinuoso.  Nella ricerca di un’ immagine che rispecchiasse  fedelmente la fisionomia autentica  del  Papa anche il volto è stato ammorbidito e definito  nei lineamenti. Tuttavia,  nonostante la statua nelle sue fattezze originali non è stata voluta, questo non pregiudica non  poterne evidenziare  il fascino di cui era composta, un fascino che nessuno, fino ad oggi, ha sottolineato. L’ Opera si allontanava dalla visione percettiva tradizionale, si offriva agli occhi del pubblico  superando la visione abituale dell’ immagine, la quale  si concede con dei codici visivi chiari, oggettivi ed espliciti per tutti.  La  statua risultava ai nostri occhi piuttosto ambigua nelle fattezze, enigmaticità  in cui risiede, però, un  tono allusivo di forte impulso simbolista. Ed è a questa corrente  artistica (Nata alla fine dell’Ottocento ) che dobbiamo guardare per poter comprendere appieno la scultura che tutti hanno rifiutato. Nell’Arte Simbolista l’immagine acquista dei valori fortemente idealistici. Grazie a questa corrente si è rivoluzionato il legame tra natura e arte. Gli artisti simbolisti compresero che  la rappresentazione visiva non aveva necessariamente bisogno di affidarsi alle reali  sembianze  mimetiche per essere caratterizzata da significati, poteva essere ridotta, trasformata  e  possedere addirittura anche  più significati dell’ immagine imitativa. E’ l’idea  quindi che caricava la forma, traducendola in forma sensibile ,attraverso appunto il simbolo, il quale diviene elemento chiave per evocare valori trascendentali.  Non bastava più riportare nelle raffigurazioni artistiche  i dati reali,  si era compreso che essi erano  solo il segno  di una realtà più oscura, mistica. Attraverso il simbolismo l’arte intesse con la natura un legame più  profondo, più spirituale e per farlo la lacera,la smembra, così da scorgerne i  luoghi  dell’oscurità, del mistero e delle leggi invisibili. In quest’arte per individuare “il respiro estetico” bisogna andare oltre il dato reale. Azione necessaria anche per comprendere e amare  l’opera di Oliviero Rainaldi. Il volto  del Papa, dai tratti  fortemente incavati tanto da risultare quasi inumani, le linee sintetiche del corpo   e le curvature del drappeggio prive di plasticità,  erano in realtà un concentrato di potenza  mistica. Il distacco  con la naturale realtà della raffigurazione umana  aveva lo scopo di avvicinare  la rappresentazione  in una dimensione spazio temporale indefinita , un  processo  utile per accentuare  le componenti  sacre della figura rappresentata .  È stata modificata anche la patina cromatica dell’opera, prima era di un colore verde sfumato, colore originale del bronzo, dopo il suo rifacimento presenta, invece, un colore bianco puro. Il  bronzo lasciato nel suo colore naturale, nel suo stato cromatico grezzo, era un chiaro simbolo di umiltà e disinteresse del Papa ai beni e lussi materiali. La costruzione del mantello, tanto disapprovata , definita nella forma una scatola, era una formulazione modulare che, seppure priva di anatomia umana,  condensava in sé  il concetto ideale  più importante dell’Opera. Il mantello frontalmente si sviluppava con un’apertura  quadrangolare, un taglio sapiente,  poiché aveva il compito di raccogliere  le ombre  e   amplificare   l’effetto di straniamento dell’opera dalla realtà. L’ effetto era stato ricercato da Olivieri per evidenziare il valore spirituale che il Papa Wotjyla rappresentava sulla terra. Osservando  la statua  si potrà scorgere che il taglio del mantello, per merito della forma quadrangolare, dava l’ idea di un’ entrata.  Metaforicamente racchiudeva un invito  ai fedeli ad attraversare, mediante la preghiera,   quel  varco  per  abbandonare, anche per un solo  istante, la dimensione terrena ed essere trasportarti  all’interno di una incommensurabile  dimensione mistica. L’artista desiderava che lo spettatore avesse  un colloquio intimo con l’opera e per farlo realizzò un’ immagine  che non istituiva solo un rapporto “tra chi guarda e ciò che è visto”, ma anche tra “ciò che è visto e ciò che non si vede”. L’opera Oggi non esiste più nel suo stato originale,  la sua sensibile bellezza non è stata accettata . Rifiutata perché allontanatasi da quel rapporto mimetico con la natura. Semplicemente perché non era la materia in sé protagonista,  ma lo spirito.

Nota Critica: Mattea Micello


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