Stavolta mi vesto da viaggiatore in una notte d’inverno

Da Gioacchina @disoccupingegna

Ovvero “Storie di incompatibilità fra lettore e libro”

Ovvio che dal basso della mia scala socioculturale non mi permetterei mai e poi mai di recensire il romanzo di un maestro come Italo Calvino. Quindi, in sostanza, questo post è un pretesto per raccontarvi un paio di cose. Tra l’altro, aggiungo, la “notte d’inverno” è parecchio calzante nonostante siamo in giugno, viste le quantomeno autunnali temperature presenti sulla nostra penisola in questi giorni. E quando poi arriverà il caldo tutti si lamenteranno del caldo, dell’afa, della siccità. Ok, fine della modalità Colonnello Guido Guidi (metereologo).
Forse non lo sapete ma Italo Calvino è lo scrittore che più la fondatrice di questo blog, Gioacchina, ha detestato nella sua vita. Il romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è stato per lei un’autentica impresa, una guerra, una sfida contro se stessa. Aveva sviluppato una sorta di allergia, anzi peggioriamo, una sorta di malattia autoimmune nei confronti di questo libro. Essa si manifestava con orticaria al contatto con la copertina, gonfiore delle estremità degli arti che toccavano il libro, arrossamento e lacrimazione della congiuntiva che leggeva le parole contenute nel libro, anestesie degli arti superiori, nevralgie, nausea, vomito incoercibile, diarrea, sudorazione, febbre, disidratazione. Potrete ben capire che provare a leggere quel romanzo con questi sintomi non era per nulla facile. E infatti, per più di un anno e mezzo le nostre telefonate hanno avuto il tenore del paziente che telefonava al medico. “Come farò? Non ce la faccio! Aiuto! Mi ripugna! E’ fisicamente impossibile per me anche solo prenderlo in mano! Ce l’ho sul comodino e ogni volta che lo guardo mi viene un attacco di panico! Non ce la farò mai…”. Nel frattempo Gioacchina leggeva qualsiasi libro presente sulla faccia della terra, anche la schifosata più assurda, anche la mocciata più mocciosa pur di impiegare il suo tempo e riempirlo con qualcosa che non fosse il satanico vessillo del male “Se una notte d’inverno un viaggiatore”.

Un serafico Italo Calvino si fa beffe del dramma umano di Gioacchina

Così io, per cercare di sviarla dalla sua percezione errata del romanzo di Italo Calvino, inventai questa triste storia:
(Ovviamente non funzionò, nel senso che Gioacchina lesse sì il romanzo, ma non per merito mio…)

“Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino è tanto che volevo leggerlo. L’ho comprato più di un anno fa, ma ho sempre rimandato, ho letto altro, qualcosa di più superficiale, di più immediato, mettiamo anche di più stupido. Ora è quasi inverno, fuori il vento porta via tutto, foglie, buste, cartacce, ti porta via anche l’anima, se non ti copri bene.
Andrea si è addormentato da un pezzo, da qualche mese è così: torna da lavoro, mangia, si fa la doccia e va a letto, e basta, e io non ci sono più, lui non sa come sto, che cosa ho fatto. Lui non mi conosce più.
Adesso che c’è silenzio, che quelli del piano di sotto hanno salutato gli amici che erano venuti a cena, adesso che io ho spento il televisore, che mi sono infilata nel letto, sotto le coperte che Andrea scalda diligentemente, adesso che sento solo il vento, mi metto comoda, apro il libro e inizio a leggere.

E’ mattina, il vento è cessato, ma l’aria è gelida e appesantisce il respiro. Oggi è il mio giorno libero, Andrea è andato via mezz’ora prima che mi svegliassi, fa il pendolare, duecentoventidue chilometri tra andata e ritorno. Il libro ieri sera l’ho quasi finito e ho intenzione di passare la mattinata in libreria, a colmare il vuoto che è rimasto sullo scaffale dello studio, a colmare il vuoto che forse mi lascia anche Andrea, quando le giornate passano senza vederlo e quando lo vedo è come se fossi invisibile perché vorrei almeno abbracciarlo, almeno quello, ma non lo faccio e lui non lo fa.

Quando entro in libreria, il sangue ricomincia a scorrere nelle dita e le sento calde e presenti di nuovo. Chiedo al commesso dove si trovi lo scaffale degli autori italiani contemporanei e lui mi indirizza a quello in fondo a sinistra, “guardi, lì dove c’è quel ragazzo con il giubbotto chiaro”. A passi svelti lo raggiungo, mi sfrego silenziosamente le mani e comincio a cercare Calvino, dato che il libro letto ieri sera mi è piaciuto tanto.
Ma non lo trovo.
E dopo un po’ comincia a girarmi la testa.
Forse è lo sbalzo di temperatura o perché ho cercato troppo velocemente o perché non ho messo gli occhiali da vista, così li prendo dalla borsa e li indosso.
“Qualcosa non va?” – chiede il ragazzo con il giubbotto chiaro.
“Io…non… (non so che dirti, chi ti ha chiesto nulla?) Io cercavo Calvino, ma non lo vedo…”
“Ah, Calvino?”
E sorride e mi rivela i suoi denti bianchissimi e i suoi occhi luminosi e in un momento capisco che ci voglio sprofondare in quegli occhi, restare in apnea.
“Anch’io sono qui per Calvino, non lo vedeva perché c’ero io davanti. Ho appena finito di leggere la trilogia.”
“Io Se una notte d’inverno un viaggiatore. Lei l’ha letto?”
“Sì, un libro straordinario. Calvino riesce sempre a sorprendere…e…”
Si ferma, mi guarda e mi sorride, di nuovo. E io aspetto impaziente che continui.
“…e inoltre lì due persone si incontrano in libreria, proprio come noi.”
Sorrido anch’io.
“Non ci avevo pensato. Cioè, ci avevo pensato, ma non volevo…” – mi impasto.

“Questa è casa mia, mio marito non…mmm”
Anche adesso mi impasto e non riesco a parlare, ma perché il ragazzo con il giubbotto chiaro mi è saltato addosso e mi sta baciando e io non mi tiro indietro, anzi chiudo la porta alle mie spalle e glielo tolgo il giubbotto chiaro, gli tolgo anche il maglione e lui fa lo stesso con me e mi bacia e io lo bacio e mi spoglia e io lo spoglio.
E mentre facciamo l’amore, per un attimo penso che voglio che Andrea torni prima da lavoro e mi scopra, per sputargli addosso tutto il mio rancore.

Quando mi sveglio, la luce sul comodino è ancora accesa e il libro rovesciato sulla coperta a pagina 47. Andrea dorme con il volto girato verso di me e il vento soffia ancora. Prepotente.
Ripongo il libro nel cassetto, spengo la luce e abbraccio Andrea.
Che non se accorge. Perché sono invisibile.



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