Detesto l’idea di ridurre un’opera della creatività umana a uno schema. D’altronde è anche stupido negare che ci siano, gli schemi. Questo perché, se un autore sa quello che sta facendo, l’opera compiuta è il risultato di tale controllo, nelle minime sfumature.
D’altronde, c’è la controparte di ogni creazione, il destinatario del messaggio, lo spettatore. Nel caso di un testo scritto, il lettore.
E il lettore assorbe il contenuto del messaggio e lo fa proprio, filtrandolo attraverso i propri schemi, recependolo nella sua interezza, se evidente, o interpretandolo.
I dolori, per l’autore, vanno a braccetto con l’interpretazione del lettore. Spesso, i significati estrapolati dal lettore/spettatore esulano completamente dalle intenzioni dell’autore. Non è una novità.
Ne consegue che, alcune volte, critiche feroci vengono mosse sulla base di elementi inesistenti. Non vuol dire che siano sbagliate o inutili, fanno dibattito, ma non c’è universalità. E chiunque vi dica il contrario, ha letto i libri sbagliati. Sì, esistono anche i libri sbagliati.
La colpa di questo articolo è da attribuire a Lucy e Marina che, neanche spesso, ma sempre, quando parlano di ciò che leggono, accusano il manifestarsi di lacrimoni, che nel gergo vuol dire che si son commosse per questa o altre sfumature. La discussione s’è svolta su twitter.
Io sono una specie di caterpillar, non credo, a memoria, di aver mai pianto per qualcosa che ho visto/ho letto. Solo la vita, da quel punto di vista, è riuscita a piegarmi. Non ad abbattermi, ma a piegarmi.
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Mi viene detto, altresì, che la commozione di fronte ad alcune scene è prettamente soggettiva. E posso pure crederci. Però, è indubbio che ci siano scene che toccano più di altre.
Ecco, Drive, mi dicono che faccia piangere. E io vi dico che tutto ho visto in Drive, tranne che una fonte di commozione. Forse perché tendo a viverlo dalla parte del Ragazzo e capisco ciò che lo muove. O m’illudo di capirlo.
Credo che, nell’agire del Ragazzo, non ci sia un sentimento divorante, che lo porta a rischiare tutto. Non funziona così, dal punto di vista maschile. C’è, invece, la volontà netta e assoluta di difendere un amore nascituro, potenziale, che mai vedrà la luce.
Perché? Perché a un certo punto la vita viene da ciascuno di noi con l’idea di fare il rendiconto. E si fanno delle scelte. La scelta di afferrare un martello e fare quello che fa il Ragazzo di Drive, senza, e ribadisco senza, versare una lacrima.
Quindi, io Drive lo vedo dal punto di vista dell’epica, dell’eroismo in forma pura, che non vuole una ricompensa. Ad altri fa piangere. Ed è un tipo di reazione che non capisco.
Quello che mi chiedo, dunque, è:
a) si può studiare a tavolino una scena che susciti commozione?
e
b) tale scena, contenuta in un libro o un film, è considerata un valore aggiunto rispetto a un’opera in cui manca?
Ovvero, per farla breve, le opere che fanno commuovere sono migliori?
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A parte Devilman, di cui ho parlato ieri, la morte di Miki che, ancora adesso, è capace di scuotermi, una delle ultime scene che ho trovato coinvolgenti dal punto di vista emotivo l’ha scritta la mia amica e sparring partner Marina, nel suo Epidemic Egonomic. Difficile restare indifferenti a un’unica scena, per quel che mi riguarda: il bacio del Chimico da sopra la maschera anti-gas e la domanda che la protagonista gli pone, nel sogno, tutte le notti. Gli chiede quale sia il suo nome. Lui non risponde mai.
Ecco. Questa è una scena. Ed è stata la prima, a farmi effetto, dopo anni. È stata anche l’ultima.
Quello che mi chiedo è se sia stata scritta con l’intenzione, o meno, di colpire come un maglio. Forse avrò la risposta, forse no.
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Veniamo a due scene scritta da me, invece. La scena della telefonata e quella degli anelli, in GfH. Moltissime persone mi hanno detto che sì, quelle scene fanno venire i lacrimoni.
E, riguardo la prima, io posso pure essere d’accordo. Le lacrime di commozione ci sono anche nel testo, esplicite. Direi, quindi, che trattasi di scena riuscita. Scritta e percepita (dal lettore) correttamente.
Per quanto concerne la seconda, lì sorgono i dubbi: la scena degli anelli rappresenta, per chi non ha mai letto il mio eBook, la sconfitta del protagonista. Lui si arrende alla realtà di essere un uomo mediocre che vive d’illusioni e che non diventerà mai oggetto di amore per la donna che lui ama. È con senso di frustrazione, che io ho scritto quella scena, che poi va a fare da contraltare all’altra scena, che nega quel ricordo. La realtà, complici gli eventi nel frattempo trascorsi, distrugge l’impossibilità passata, per rivelarci un presente diverso, complesso e opposto a quello previsto.
Da questo punto di vista l’ho concepita e realizzata. Eppure, commuove.
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E allora, un abbraccio tra due amanti, prima della fine. Un gesto di tenerezza. Una morte disperata, ineluttabile o imprevista. Direi che, queste cose, se scritte bene, possono commuovere.
Il resto dipende dalla soggettività. Quando e perché accade è un mistero personale.
I miei film e libri preferiti non contengono, per quanto possa ricordare, scene in tal senso. Ciò che adoro di più, infatti, sono i temi che sfiorano l’esistenzialismo e l’assoluto. 2001: Odissea nello Spazio, per intenderci, analizza misteri tali da soprassedere a qualunque sentimentalismo. Di fronte al mistero della vita stessa e della morte, il pianto è superato. L’esistenza è alla sbarra, incomprensibile e sublime. Inutile frignare.
E poi, vado matto per il pulp, per la commedia intelligente, anche ricca di humour nero, per il noir e l’hard boiled, senza ironia in eccesso.
Insomma, tutti ambienti, più che generi, che con il sentimento hanno poco a che vedere.
Il drammatico è il più difficile, per resa e messinscena, ed anche lì preferisco sentimenti forti come la vendetta, più che il dolore.
Ragione per cui, per quel che mi riguarda, la commozione non è un valore aggiunto, che mi porta a preferire un libro a un altro di pari livello, ma privo di tale coinvolgimento.
E un capolavoro può essere tale anche se non fa piangere. Ma a questo riguardo, mi piacerebbe tanto sentire la vostra.