Ritratto di Stefan Zweig da giovane
Parlando al Roma Film Festival
del suo imminente The Grand
Budapest Hotel, Wes Anderson
ha detto di essersi ispirato
“ai racconti di Stefan Zweig e al
suo memoir Il mondo di ieri“.
Platea abbastanza allibita: Zweig
chi? Così da un regista assai di
culto arriva il rilancio di
uno scrittore grande e non così
popolare da noi della Vienna
tra le due guerre. Ma ci sono
altri due film nuovi-nuovi
ispirati alle sue opere, Una
promessa di Patrice Leconte (presentato a Venezia) e Mary,
regina degli Scozzesi di Thomas Imbach (in concorso al
Locarno Festival). L’amore del cinema per il viennese
del resto è antico, con film come Lettera da uno sconosciuta
di Max Ophüls e La paura di Roberto Rossellini.
‘Una promessa’ di Patrice Leconte
Ralph Finnies è Gustave H in ‘The Grand Budapest Hotel’ di Wes Anderson
‘Mary, Queen of Scots’
Mi sa che il libro che nei prossimi mesi dovremo leggere o rileggere, e tirar giù da polverosi scaffali o scaricare sul nostro ebook, sarà Il mondo di ieri – Ricordi di un europeo di Stefan Zweig (se ne trovano due edizioni: la solo digitale eNewton Classici e la digitale e cartacea Mondadori). Tutta colpa, anzi merito, dell’ineffabile Wes Anderson, il cultizzato regista dei Tenenabum, di Moonrise Kingdom, del Fantastico Mr. Fox. Il quale Anderson qualche giorno fa al Roma Film Festival, durante l’incontro con il pubblico seguito alla proiezione del suo corto Castello Cavalcanti, ha detto a una platea abbastanza sorpresa che il suo prossimo The Grand Budapest Hotel non sarebbe nato senza quel libro. “La più grande ispirazione sono i romanzi e le short stories di Stefan Zweig e il suo memoir Il mondo di ieri“, ipse dixit. Tanto basta a rilanciare uno dei più popolari, amati, venduti (a milioni di copie) scrittori tra le due guerre, produttore instancabile di una serie lunghissima di racconti, anzi novelle (moltissimi), biografie di personaggi famosi e un po’ meno famosi (non poche), romanzi (quasi zero), testi teatrali, libretti d’opera. Figlio della cultura ebraica centroeuropea, nato e cresciuto nella Vienna della Finis Austriae, nella capitale segnata dal genio e dalle visioni di gente come Freud, Musil, Karl Kraus, Zweig è stato amatissimo dai suoi lettori – un esercito -, meno da critici e letterati. Eppure pochi come lui hanno saputo raccontare e divulgare in storie di massima presa e appeal e fruibilità un mondo alle soglie della crisi definitiva, venato di inquietudini e presagi della propria dissoluzione. Tutto ci si poteva aspettare, ma non che l’eternamente fanciullesco Wes Anderson lo citasse come sua fonte di ispirazione, e vista l’abissale distanza (finora) esistente tra i loro due mondi, c’è da restare allibiti. Ma anche enormemente incuriositi da come il regista di Moonrise Kingdom riuscirà a tradurre nel suo imminente The Grand Budapest Hotel – la prima è al festival di Berlino il prossimo 6 febbraio – lo spirito Zweig e, in particolare, Il mondo di ieri: autobiografia quasi testamentaria ultimata nel 1941, un anno prima che lo scrittore si suicidasse nel suo esilio in Brasile insieme con la seconda moglie. Anderson non arriva primo nella riscoperta cinematografica di Stefan Zweig. Lo scorso settembre alla Mostra di Venezia s’è visto, proiettato fuori concorso, Una promessa di Patrice Leconte, il regista francese di Il marito della parrucchiera, Monsieur Hire e La ragazza sul ponte. Alla base, proprio una novella di Zweig, Il viaggio nel passato. Film che ha parecchio deluso e che non riesce ad andare oltre certo calligrafismo di maniera, ma che resta pur sempre un’occasione per riscoprire l’opera e il mondo di SZ. Siamo nel 1912. Un ragazzo del popolo, diventato segretario personale di un signore dell’acciaio, si innamora della sua giovane moglie, e lei di lui. Ma ci si metteranno di mezzo prima un trasferimento in America del Sud e poi la grande guerra. Qualche settimana prima era stato presentato invece in concorso al Festival di Locarno il più che decoroso Mary, Queen of Scots, film di destinazione televisiva del tedesco Thomas Imbach tratto, con qualche libertà, da una delle tante biografie di gran successo scritte da Zweig, quella di Mary Stuart di Scozia, la cugina e rivale di Elisabetta I finita giustiziata per decapitazione. Tre film nel giro di pochi mesi, e tutti collocati in festival di prima fascia, che in vario modo rilanciano un autore mai davvero popolare nel nostro paese. Autore, invece, da sempre amato dal cinema. Sono tanti i film, fin dai tardi anni Venti, basati sulle sue opere maggiori o minori, e sarebbe impossibile citarli tutti. Va ricordato soprattutto Lettere da una sconosciuta girato da Max Ophüls nel 1948 a Hollywood, con una meravigliosa Joan Fontaine, forse il migliore di tutti, anche per l’affinità del regista – anche lui figlio del mondo ebraico centroeuropeo – con Zweig. Pochi se lo ricordano, ma l’ultimo film del sodalizio Roberto Rossellini-Ingrid Bergman, La paura, del 1954, nasce proprio da un testo letterario di Zweig, Angst (di cui c’erano state precedenti versioni cinematografiche). Dal romanzo incompiuto Estasi di libertà deriva invece Felicità proibita, un nobile anche se ormai dimenticato film inglese di Maurice Elvey del 1946 con Lilli Palmer. Adesso aspettiamo Anderson, e la curiosità è tanta.
‘Una promessa’