Stefano Accorsi, Luci ed Ombre di un Decamerone dei Giorni Nostri

Creato il 16 aprile 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine

"Siam quivi giunti, nello mutevole loco dello teatrar sentire, onde far dono alle eccellenze vostre d'alcune favolette, carpite con benevolenza allo antenato nostro Messer Giovanni Boccaccio, acciocchè di molto diletto vi siano in codesta serata".

Con queste parole si è alzato il sipario su Decamerone. Vizi, Virtù, Passioni, spettacolo tra i più attesi del cartellone 2014-2015 del Teatro Astra di Bellaria Igea Marina, quarta edizione di per aspera ad astra - temporary emporium of the arts. Una rassegna, conclusasi nei giorni scorsi con un grande riscontro di pubblico, che ha spaziato tra adattamenti teatrali e letture sceniche, proiezioni e conversazioni, e si è contraddistinta per la contaminazione tra le arti, la ricerca di generi inusuali e contenuti originali.

Non ha fatto eccezione il Decamerone di Boccaccio, portato in scena da Stefano Accorsi per la regia di Marco Baliani, che ha avuto la sua prima nazionale nello scorso dicembre al Teatro della Pergola di Firenze: il secondo passo di un ambizioso percorso teatrale sui grandi scrittori italiani, cominciato con Ariosto e che proseguirà con Machiavelli; con il deliberato intento, annunciato dal regista, di tramandare e tenere in vita il nostro straordinario patrimonio linguistico.

Un obiettivo, diciamolo subito, centrato solo parzialmente.

Da lodare l'idea, il clima frizzante della commedia, il linguaggio utilizzato, vivace ed accattivante per merito di un certosino lavoro di adattamento; e poi la realizzazione ordinata e quasi "scientifica" delle sette novelle rappresentate sul palco, pescate tra le cento di Messer Boccaccio, con un personaggio diverso, a turno, nelle vesti di narratore: Panfilo, Filostrato, Elissa, Pampinea, Dioneo, Fiammetta, ciascuno a rappresentare vizi e virtù del genere umano. Gli attori, con costumi essenziali e cambi di scena rapidi, interpretano i racconti di situazioni erotiche, scabrose, grottesche, ridicole: da quello di Lisetta e del finto Arcangelo a quello del geloso mercante Arimino e della sua astuta moglie; dalla tragica vicenda di Lisabetta da Messina, prevaricata dai fratelli ed ostacolata nel suo amore per un garzone di bottega, alla pruriginosa storia di Masetto, finto giardiniere muto ed unico ospite maschile di un convento di monache.

Da sottolineare la performance di un Accorsi coinvolgente, straordinario nei panni del capocomico, ad elevarsi sul resto della compagnia (Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo), ad impressionare per carisma e poliedricità, ad attrarre in sala un pubblico di giovanissimi.

Così come è geniale la scenografia, con un carrozzone-furgone al centro del palco a fungere, alternativamente, da convento, alcova, casolare, e coperto da tende per rimpiazzare il classico sipario.

Ciò che non convince, invece, nonostante l'utilizzo di un linguaggio gradevole, è l'energia: lo spettacolo non sempre decolla per ritmo, con una comicità solo a tratti contagiosa e con passaggi persino noiosi; così come non convincono appieno alcuni spunti in dialetto siculo ed emiliano. Ma, soprattutto, il nobile intento di raccontare, con le metafore boccaccesche, i problemi dei tempi moderni, con una preziosa riflessione sugli attuali vizi della nostra società, non sembra realizzato: la "pestilonza" esiste ancora oggi, con le forme della corruzione, della falsità, del malaffare, è il chiaro leitmotiv dell'adattamento teatrale, ma l'analisi non si rivela profonda ed il pretesto dello spettacolo viene in fretta dimenticato.

Quello che, di sicuro, è da salvare, è il merito di avvicinare il pubblico ai grandi classici della nostra letteratura; così come è degno di nota il bel messaggio finale, consegnato da Stefano Accorsi alla platea gremita, con l'ammonizione a non cedere all'avarizia ed alla superbia, privilegiando l'onestà e dedicando la vita all'amore, unico valore che non passa mai di moda: "Madonne e messeri, ricordatevi sempre di amare".


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