Sembrano nane brune
di Silvia Fracchia
In una di queste osservazioni a distanza, eseguita per mezzo del Telescopio Spaziale Hubble, l’astrofisica Loredana Spezzi, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e un team di suoi collaboratori hanno notato qualcosa di strano, come spiegano in un articolo in attesa di pubblicazione su “The Astrophysical Journal” e disponibile su arXiv. Qualcosa che ha dato loro molto su cui riflettere.
L'ammasso aperto NCG 3603: nove stelle divoratrici di pianeti sono state scoperte al suo interno. (Cortesia: NASA/ESA/R. O'Connell/University of Virginia/F. Paresce/Istituto Nazionale di Astrofisica/E. Young/Universities Space Research Association/Hubble Heritage Team)
L’oggetto di studio è l’ammasso aperto NGC 3603, distante 20 mila anni-luce dalla Terra. Dalla loro emissione nell’infrarosso, il Telescopio Spaziale ha messo in evidenza la presenza di nove stelle decisamente fredde, la cui temperatura superficiale varia tra 1.700 e 2.200 gradi: 4.000 gradi meno del nostro Sole, che di certo non è una delle stelle più calde. La prima deduzione degli astronomi è stata quella di credere di avere a che fare con delle nane brune, ossia degli oggetti celesti a metà tra una stella e un pianeta. Le nane brune sono una rarità nelle osservazioni astronomiche a causa della loro bassissima luminosità, che le rende difficilmente rivelabili. Esse, al pari delle stelle ordinarie, sono il risultato della contrazione gravitazionale di una nube di gas, ma non possiedono una massa sufficiente per innescare i processi di fusione termonucleare al proprio interno. L’ipotesi delle nane brune, però, non è molto verosimile. “Come è possibile”, si sono chiesti Loredana Spezzi e i suoi colleghi, “che degli oggetti così poco luminosi possano essere rivelati a distanze tanto elevate? Dev’esserci un’altra spiegazione”. E, a quanto pare, questa spiegazione è stata trovata.
L’idea di stelle affamate e divoratrici di pianeti non è una novità. Già in passato si era introdotta quest’ipotesi per spiegare l’insolita presenza, in alcuni astri, di quantità massicce di litio di probabile origine planetaria. Il punto chiave per capire come possa avvenire questo “inghiottimento” di pianeti è rendersi conto che il nostro Sistema Solare non è una peculiarità nell’universo. Esistono tanti altri sistemi formati da un certo numero di pianeti orbitanti intorno a una stella madre: attualmente se ne conoscono più di 500. Alcuni di essi, tra l’altro, sono oggetto di studi approfonditi per la ricerca di esopianeti simili alla Terra. Può accadere allora che l’orbita di uno di questi pianeti sia molto vicina alla stella. E il pianeta, incapace di resistere all’attrazione gravitazionale dell’astro, viene fatto a pezzi e i suoi detriti inglobati dalla stella. Ecco quindi la spiegazione: i detriti planetari formano una sorta di atmosfera intorno alla stella, che non deve essere necessariamente una nana bruna ma può avere una luminosità molto più elevata. La temperatura ricavata dai dati del telescopio è quindi quella dell’atmosfera di detriti, molto più bassa di quella superficiale dell’astro.
L’enigma pare dunque essere risolto. Ciò che più sorprende di questa scoperta è la presenza di così tante stelle divoratrici in un unico ammasso: non si può certo dire che i pianeti di NCG 3603 se la passino troppo bene.
L. Spezzi et al. (2011). Detection of brown dwarf-like objects in the core of NGC3603 arXiv DOI: arXiv:1101.4521v3