Origine: USA, UKAnno: 2015
Durata: 122'
La trama (con parole mie): attraverso tre episodi chiave della sua carriera - la presentazione del Mac nell'ottantaquattro, quella di Next nell'ottantotto e dell'IMac nel novantotto - scopriamo l'uomo dietro la leggenda di Steve Jobs, creatore e direttore d'orchestra di una delle realtà industriali e di cultura pop più importanti dell'ultimo secolo, Apple.Dall'ego smisurato ai complicati rapporti con i colleghi e la figlia, così come con il suo passato di bambino adottato, passando per i confronti che l'hanno portato sotto i riflettori sia da un punto di vista umano che lavorativo, scopriamo i fiumi di parole ed i rari, intensi silenzi di un innovatore che seppe sfruttare al meglio il suo talento di sfruttare ed organizzare il talento di altri.
Non sono mai stato un patito di tecnologia.
Ricordo i tempi delle cassette riavvolte con le Bic, il passaggio al lettore cd, internet visto come un mondo da scoprire la prima volta che lo provai in ufficio, quando ancora averlo in casa era quasi fantascienza, almeno in Italia, il primo cellulare, ma di fatto, niente che mi abbia fatto emozionare davvero.
Personalmente, ho memoria dell'IMac soltanto perchè, nei primi anni zero, tutti i disegnatori con i quali lavoravo ai tempi della mia scellerata avventura come sceneggiatore di fumetti l'avevano: e penso di avere totalmente ignorato la vita e le imprese di Steve Jobs - fatta eccezione per i riferimenti alla Pixar - fino alla sua morte.
Curioso, in questo senso, che io sia e sia stato un utente Apple, almeno in parte.
E che tutta l'intuitività dei prodotti della Mela non abbia fatto mai particolarmente breccia, qui al Saloon.
Non troppo tempo fa, nonostante i suoi palesi limiti ed una certa banalità di fondo, avevo finito perfino per sopportare, come fosse un film d'intrattenimento senza pretese, il primo biopic - piuttosto scialbo - dedicato a quella che è stata l'anima di un'azienda che ha cambiato a suo modo il mondo, il "direttore d'orchestra" di un gruppo di ragazzi che da un garage di Cupertino, in California, ha di fatto conquistato l'intero pianeta.
Ma è stato come non avere il polso della situazione, del personaggio, della quadratura del cerchio, fino alla visione dello Steve Jobs di Danny Boyle - per una volta imbrigliato e sobrio con la macchina da presa - ed Aaron Sorkin, che si conferma uno degli sceneggiatori più mostruosi che il Cinema americano abbia in forza attualmente: personalmente, le aspettative rispetto a questo anomalo biopic erano piuttosto basse, complici il recente fallimento del suo regista - al quale ho sempre voluto bene, sia chiaro -, In trance, e l'idea dell'inutilità di fondo di un secondo lungometraggio dedicato al guru dell'Apple nel giro di un paio di stagioni cinematografiche, dunque ho finito per approcciare la pellicola nel modo più distante e critico possibile.
E cosa orchestrano, sfruttando un cast in stato di grazia - dalla conferma Fassbender all'ormai veterano caratterista Jeff Daniels, passando per un sorprendente per il ruolo Seth Rogen e la garanzia Kate Winslet - i già citati Boyle e Sorkin?
Un vero e proprio tripudio di classe, una versione backstage di un biopic classico, che punta più a mostrare i fantasmi del personaggio che racconta che non il personaggio stesso - in questo senso, parliamoci chiaro, Steve Jobs era decisamente un sacco di merda -, una sorta di versione realistica e travolgente di Birdman che, spogliato dai manierismi e dalle lungaggini, interpreta una delle realtà più importanti della società attuale - e parlo in termini pop, non tecnologici - ed il suo fautore, un uomo che non ha avuto paura di farsi odiare finendo, di fatto, per costruire un impero e farsi amare da più generazioni di utenti che, di fatto, lo hanno consacrato quasi al livello di un'icona religiosa.
Ed è davvero un'impresa non da poco, inchiodare alla sedia con un ritmo forsennato il pubblico incentrando l'intera ossatura di un film su un personaggio che, in termini di empatia, non ha davvero nulla da dare, affidandosi esclusivamente a dialoghi serrati, montaggio ed una regia che è una rasoiata, più che a retorica o facili stratagemmi: ci si appella a meccanismi istintivi ed umani, al non detto che, nella vita di tutti i giorni di ognuno di noi, direttori d'orchestra o no, finisce per influenzare in modo definitivo anche tutte le parole che buttiamo su qualsiasi palco della nostra esistenza.
E questo è il vero miracolo di un film di questo genere, che sento già in molti considerare freddo, distaccato, verboso, noioso, lontano, egocentrico: un pò come il suo protagonista.
Onestamente, non mi è mai fregato un cazzo, di Steve Jobs, se non come monito che tutto lo status, i soldi e l'influenza possibili non riusciranno mai e poi mai a salvarci dal Destino almeno quanto l'ultimo dei poveri stronzi.
Eppure, nel corso di queste due ore, Steve Jobs l'ho sentito sulla pelle.
Più di quanto il Mac o l'IPod siano mai riusciti a fare.
MrFord
"Outside of the window
I was sticking with you
we were only kids then
I was staying at yours
sheltered in our own worlds."
The Maccabees - "Grew up at midnight" -